Medea, il teatro per gli eroi antimafia: “La speranza è nella civiltà della vita”

Uno spettacolo di grande successo nel trentennale della strage di Capaci, firmato da Luciano Violante e diretto da Giuseppe Dipasquale: "Da una mitologi classica a un moderna"

Medea Strage di Capaci

Debutto nella chiesa di San Domenico, a Palermo. Il luogo in cui oggi riposano le spoglie del giudice Giovanni Falcone, ucciso nell’attentato di Capaci. Trent’anni esatti, durante i quali la memoria del sacrificio suo, di sua moglie Francesca e dei suoi tre agenti di scorta, non è mai venuta meno. Anzi, forse l’evoluzione della società contemporanea ci ha dato l’occasione di conoscere meglio il lavoro di coloro che, schierandosi in prima linea, hanno cercato di scavare a fondo nel fenomeno mafioso, cercando la chiave per sconfiggerlo. Il giudice Borsellino sintetizzò forse più di tutti il concetto di fondo, quello veramente necessario: “Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”. Il messaggio di Medea, spettacolo firmato dall’ex presidente della Commissione antimafia Luciano Violante e diretto da Giuseppe Dipasquale, va letto in quest’ottica qui.

La speranza è nel futuro. In quei figli che hanno il diritto di conoscere il volto migliore della loro terra. E, soprattutto, di coltivare e raccoglierne i suoi frutti più belli. “Se si continua a seminare morte – ricorda Dipasquale a Interris.it – non si farà altro che farla crescere”. Perché quella degli eroi antimafia è una mitologia moderna, un insegnamento dal quale trarre coscienza e dovere civile. Senza dimenticare il prezzo del sacrificio, quello imposto da una lotta che mira innanzitutto a creare negli uomini e nelle donne della società una consapevolezza del male che si affronta. Medea (interpretata da Viola Graziosi), rifiutando la schiavitù dei suoi figli, invita al dissenso. Un messaggio estremamente contemporaneo: contribuire a creare la società del domani negando il proprio futuro alla criminalità per ritornare a esserne padroni.

Dalla mitologia classica a un tema estremamente attuale come quello della mafia. Dalla strage di Capaci sono trascorsi trent’anni ma, per quanto la letteratura sia ampia, uno sguardo simile è decisamente inedito. Specie attraverso un personaggio come Medea. Come nasce l’idea?

“Accostando una mitologia classica e anche arcaica a una mitologia moderna, che è quella degli eroi morti per mano della mafia. Si potrebbe definire mitologia anch’essa se con questo termine intendiamo il racconto che può determinare un insegnamento morale. Testo e idea sono per mano di Luciano Violante. Lui ha avuto l’intuizione di mettere insieme il mito della donna regina, maga, semidea che uccide i propri figli per sottrarli alla schiavitù di Giasone, che aveva sposato la principessa di Corinto e che, ripudiando Medea, l’aveva rilegata a un tale stato. E lei, per sottrarveli, compie quest’atto orrendo di cui è consapevole. Non è vendetta né ferocia fine a sé stessa. C’è una sorta di ragione antropologica che ne determina il gesto”.

C’è una sorta di ponte fra l’arcaicità e il contemporaneo, un’analogia che accosta il concetto del sacrificio in due diverse letture…

“Questa Medea, per Violante, vaga sul carro del sole e arriva in una terra a tre punte, dove Dioniso, Demetra, Core danzano i riti eleusini. Incontrandola, le spiegano che non è diversa da questa terra, che uccide continuamente i propri figli migliori. E non per un fine come quello di Medea ma li uccide perché li sacrifica, gettandoli in pasto alla mafia. La quale, allo stesso modo, è prodotto di questa terra. Questa analogia si determina in una chiave nuova. Terra di Sicilia è non solo matrigna ma anche assassina dei propri figli. Ed ecco che questo confronto, anche con il pubblico, diventa risolutivo”.

Particolare che questa analogia venga fatta sul personaggio di una donna. A volte ci dimentichiamo il loro ruolo nel contrasto alla criminalità organizzata. Da Francesca Morvillo, anch’essa magistrato, a Rita Atria… La terra matrigna offre anche l’occasione di una via concreta di redenzione.

“La figura femminile è determinante in questo parallelo. Morvillo e Rita Atria sono le figure che, al pari degli eroi che sono caduti, hanno elevato a emblema tragico un fenomeno sociale diventato un cancro che continua a esistere, malgrado oggi se ne parli apparentemente meno. È un Proteo, un mostro che continua a esistere e mutare. Fra le figure femminili che abbiamo ricordato mi viene in mente la mamma di Peppino Impastato, fra coloro che hanno determinato un punto di opposizione al sistema patriarcale mafioso che ha oppresso e ucciso il nostro popolo. Con Medea vogliamo riportare l’attenzione su una linea che attraversa l’arco dei tempi ma che può ancora essere terribilmente contemporanea. La prima è stata appositamente nella chiesa di San Domenico, davanti alle spoglie di Giovanni Falcone. E questo acquista un importante valore simbolico”.

Violante, da ex presidente della commissione parlamentare antimafia, ha fornito una visione erudita sull’argomento. Ma la vostra lettura è importante anche perché l’accostamento della regina della Colchide con un’eroina moderna ne ribadisce il ruolo di rottura che già nella sua versione arcaica aveva assunto…

“Bisogna superare – è una sfida che ci viene posta dal mito anche ai nostri occhi contemporanei – l’orrendo crimine. Una madre contemporanea che vede lo spettacolo si pone di fronte a questa domanda: esiste una donna capace di uccidere i propri figli? Medea lo dice: ‘Come avreste reagito sapendo che i vostri figli sarebbero stati abbandonati alle braccia lascive di vecchi che ne avrebbero approfittato, perché ormai schiavi e non più principi?”. Una visione molto forte ma necessaria. Per questo Medea è una figura che supera anche la forza del gesto e la ripropone a una lucida coscienza nuova, quale può essere quella contemporanea. Assieme a Viola Graziosi abbiamo pensato una possibilità concreta di rappresentare questa figura associandola a un felino”.

Ovvero?

“Chi ama i gatti o i felini in genere sa che esiste un aspetto terribile di questa famiglia del regno animale: a volte uccidono i propri figli malati per sottrarli alla sicura morte e all’abbandono. Una logica terribile per noi ma del tutto naturale per il mondo animale. Abbiamo quindi pensato a questa Medea come se avesse una forza primitiva, animalesca nello stesso tempo. Per poi rivelarsi a una platea dell’oggi con la propria fisionomia umana”.

Il parallelismo ci pone di fronte alla domanda sul cosa si possa fare, nel concreto, per contrastare fenomeni come quello mafioso. Forse è vero che dalle stragi di Palermo c’è più consapevolezza ma l’impressione è che ci sia ancora da fare per creare una cesura fra i più giovani e quel mondo, specie nei contesti in cui appare più presente. In che modo il messaggio di fondo dello spettacolo può toccare le coscienze?

“Nell’ambito dello spettacolo avviene una sorta di ‘provocazione’: nel momento in cui Medea, incontrando Cerere, si pone a seminare del grano, prendendolo dalla cesta ne tira fuori dei proiettili. È un traslato metaforico che tende in qualche modo a far dire al pubblico ‘non seminiamo più solo grano ma morte’. Siamo ancora dentro, purtroppo, a una civiltà della morte. Mi auguro che questo, come la forza del testo, possa continuare ad allertare tutti noi sul fatto che in questa civiltà qui alligna solo la morte. Con la civiltà della vita, invece, tutto potrà avere fertili frutti. Io ricordo il monito di Giovanni Paolo II ad Agrigento: ‘Pentitevi, il giudizio di Dio arriva per tutti’. Era un grido potente, indirizzato sì ai mafiosi ma anche a coloro che credono nella vita e nella civiltà. Come a dire che se si continua a dare terreno alla semina di proiettili non si farà altro che farli crescere”.