Marinari (Amnesty International): “I matrimoni precoci danneggiano il processo di crescita”

Tina Marinari, di Amnesty International ha spiegato a Interris.it le cause per cui molte bambine sono costrette a sposarsi e le conseguenze

Tina Marinari
Tina Marinari con una giovane donna - Foto concessa da Amnesty International
Il Fondo delle Nazioni Unite comunica che nel mondo ci sono 650 milioni di giovani donne costrette a sposarsi e tra queste 12 milioni hanno un’età compresa tra i 12 e i 17 anni. Questi matrimoni precoci hanno conseguenze gravissime perché causano l’abbandono scolastico, favoriscono casi di violenza e abusi domestici e portano alla mancanza di indipendenza ed emancipazione. Inoltre, le gravidanze precoci hanno un elevato rischio di mortalità sia per la madre che per il bambino.

L’intervista

Interris.it ha intervistato Tina Marinari, coordinatrice campagne di Amnesty International che da anni si occupa del tema.

Quali sono i Paesi dove questo fenomeno delle spose bambine è più frequente?

“Ad oggi questo fenomeno vede in testa l’Asia meridionale, dove una bambina su quattro viene data in moglie a un uomo molto più vecchio e a seguire troviamo l’Africa subsahariana. Rispetto alle stime pubblicate cinque anni fa, la percentuale di giovani donne sposate durante l’infanzia è diminuita dal 21% al 19%. Il dato è però ancora troppo alto per arrivare a raggiungere l’obiettivo di Sviluppo Sostenibile di porre fine entro il 2030 ai matrimoni infantili”.

Quali sono le motivazioni che portano una bambina a sposarsi?

“Abbiamo collocato questo problema in determinati Paesi del mondo in cui le cause possono coincidere con la crisi economica, la povertà, i problemi sanitari, i conflitti armati e gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Tutte queste condizioni portano molte famiglie a cercare nel matrimonio precoce un falso senso di rifugio. Le ragazze che vivono in contesti fragili hanno senz’altro il doppio delle probabilità di diventare spose bambine rispetto alla media mondiale. Inoltre, come ci si aspettava la pandemia ha peggiorato la situazione in quanto ha fatto aumentare il tasso di povertà”.

A cosa vanno incontro queste bambine?

“I matrimoni precoci hanno conseguenze gravissime in quanto mettono in moto dei meccanismi molto delicati che vanno a danneggiare il processo di crescita di queste ragazze. Molte di loro  abbandonano la scuola e per cui non si formano e mettono un freno alla possibilità di emanciparsi e rendersi indipendenti. Alcune si trovano vittime di violenza domestica e ad affrontare una gravidanza precoce. Non dimentichiamo che ogni anno più di 22.000 bambine e ragazze muoiono durante gravidanze perché i loro giovani corpi non sono pronti per avere figli. In Africa occidentale e centrale ci sono quasi la metà dei decessi totali annui legati ai matrimoni precoci e il tasso di mortalità tra le madri adolescenti è quattro volte superiore a quello di qualsiasi altra parte del mondo. In Asia meridionale ogni anno si contano 2.000 decessi legati ai matrimoni infantili, ovvero sei al giorno, seguita poi dall’area dell’Asia orientale e del Pacifico con 650 morti annue e dall’America Latina e dai Caraibi con 560 decessi”.

Perché ci sono ancora Paesi che permettono tutto questo?

“Stiamo parlando di società con grandi fragilità e vulnerabilità in cui la donna non è considerata nel modo in cui per noi occidentali è normalità. In alcuni di questi Paesi una volta raggiunta la pubertà si è considerati adulti a tutti gli effetti e per questo motivo il matrimonio precoce non risulta essere qualcosa di anomalo”.

Come si deve intervenire?

“Bisogna lavorare per garantire i diritti di tutte le bambine e le ragazze, qualsiasi sia la loro razza o condizione economica, sviluppando politiche e programmi inclusivi. Noi di Amnesty International portiamo avanti campagne di sensibilizzazione a livello globale e programmi di advocacy dove il fenomeno è maggiormente diffuso. Inoltre, crediamo che queste giovani abbiano diritto di far sentire la loro voce e per questo chiediamo ai governi di garantire loro la possibilità di partecipare alle decisioni pubbliche del proprio Paese”.