Manovra di bilancio o manovra di rilancio?

Il mese di ottobre è caratterizzato, da diversi anni, dalla presentazione del Documento Programmatico di Bilancio (DPB) che illustra il progetto di Legge di Bilancio per l’anno successivo da presentare alla Commissione Europea e all’Eurogruppo, contenente non solo gli obiettivi sui saldi pubblici ma anche le proiezioni su entrate e uscite finanziarie per i dodici mesi seguenti.

A questo, inoltre, va allegato un ulteriore documento che riporti le metodologie di redazione utilizzate, i modelli previsionali e le ipotesi sull’impatto delle misure che saranno adottate a livello di sistema economico e sui livelli di crescita.

La manovra dello scorso anno è stata emergenziale e, in effetti, non può fare testo nella comparazione da quanto presentato dal Governo Draghi che, comunque, si colloca nel solco aperto fin da inizio legislatura quando i saldi di bilancio sono sempre stati considerati come una quisquilia a latere di desiderata e provvedimenti clientelari che, spesso, non hanno ottenuto l’effetto desiderato ma non è questo il momento per criticare il pregresso (anche perché è già stato fatto in passato e senza grosse concessioni).

Un punto di discontinuità rispetto agli ultimi documenti pre-pandemici però c’è: non sono previste nuove imposte e, anzi, viene rimandata (probabilmente a babbo morto) l’applicazione delle imposte etiche, volute dal precedente governo, che avrebbero avuto un impatto devastante su alcuni settori economici; il rinvio alla legge di bilancio 2023 è, credibilmente, prodromico alla ricerca delle coperture per cancellare questi nuovi balzelli che, purtroppo, come da norma italica consolidata, erano già stati messi a bilancio illo tempore a giustificazione di nuovi capitoli di spesa che, con il progressivo ritorno alla normalità, dovranno avere una loro copertura.

Un punto di continuità è invece la manovra in deficit, benché di ordine di grandezza decisamente inferiore a quelle a cui gli ultimi anni ci avevano abituato e molto più indirizzata.

Il deficit previsto è pari a 23,4mld di euro, cioè un 1,25% scarso di PIL, e serviranno per finanziare dei punti programmatici ben precisi e cioè il riordino degli ammortizzatori sociali con circa 3mld, nuovi investimenti per circa 2mld, la partenza del processo di riforma fiscale per la riduzione del peso delle imposte con 6mld, 1,4mld tra rifinanziamento del Reddito di Cittadinanza e una “maggiore flessibilità” del sistema pensionistico, maggiori risorse alla sanità per 4mld, lotta al “caro bollette” con circa 2mld stanziati, infrastrutture e difesa con 2mld, 400mln per sostenere le famiglie e 114mln per i bonus green per auto non inquinanti.

Di primo acchito il progetto di legge di bilancio parrebbe molto più realistico e pragmatico rispetto ai “libri dei sogni” a cui ci avevano abituato le manovre dei due anni precedenti la pandemia e dell’improvvisazione che si era vista lo scorso anno, giustificabile, però, visto lo stato di emergenza che si stava vivendo, ancor più che non conta gli interventi ex PNRR che, ovviamente, sono stati previsti e finanziati in altro modo ma che, di fatto, vanno considerati come ossatura intorno ai quali questa manovra va a strutturarsi.

È evidente, infatti, che se i cantieri aperti sotto il cappello del piano NGEU portassero a una crescita strutturale una manovra prevista in lieve deficit come questa verrebbe ampiamente finanziata senza ricorrere ad alcun aumento dell’indebitamento pubblico, in caso contrario sarebbe interessante vedere che l’attuale governo possa avere la faccia tosta di Reagan quando, a una domanda diretta di un cornista sull’aumento del passivo statale, rispose quasi beffardamente “Non sono preoccupato del deficit, è grande abbastanza per badare a se stesso”.

Detto questo alcuni punti segnalati sono quantomeno importanti e, volendo vedere, di forte novità nel panorama politico italiano e che sono uno stanziamento per la riduzione del carico fiscale e uno per il contenimento dei costi energetici.

Non si tratta di cifre eclatanti, ovviamente, anche se vent’anni fa avrebbero fatto un altro effetto, nel parlare di 12’000 miliardi di lire per il taglio delle imposte e di 4’000 miliardi di lire contro il rincaro dell’energia ma sono un inizio, un inizio importante se diventasse strutturale anche a seguito di una vera spending review e al successo del PNRR nel rilancio della crescita del paese.

Non nascondiamoci dietro a sogni o a suggestioni, che purtroppo hanno costellato oltre un quarto di secolo di retorica politica, i problemi del paese, prima ancora della questione salariale e reddituale che ne è diretta conseguenza, sono quattro: una burocrazia asfissiante, una giustizia inefficiente, un fisco balordo e vorace e il costo dell’energia.

Da quello che si sembrerebbe l’attuale governo, sostenuto da un’inedita maggioranza trasversale, vorrebbe affrontare definitivamente questi punti: i primi due con le riforme già in iter e poste come condicio sine qua non per l’accesso al Recovery Fund e i secondi due uno programmatico e l’altro trainato da una esternalità, il rincaro delle materie prime e delle fonti energetiche sui mercati internazionali, che potrebbe diventare una vera opportunità per l’Italia.

Mentre il prelievo fiscale, prima di poter calare, deve essere razionalizzato, limitato e reso più semplice (per questo necessita obbligatoriamente di un intervento spalmato su più anni) la questione energetica diventa prioritaria.

Già in Italia il costo dell’energia era tra i più alti al mondo, pagando quasi quarant’anni di politiche energetiche ideologiche e inefficienti che hanno reso necessaria la completa dipendenza dall’importazione di energia e che obbligano a appesantire le bollette con elevati oneri di sistema volti, soprattutto, al sostentamento delle energie rinnovabili, a cui si deve aggiungere un prezzo dei carburanti folle, dovuto a un secolo di continui innalzamenti temporanei dell’accisa (ma nulla è più strutturale di un aumento temporaneo, come dimostra questo caso); la corsa verso l’alto del petrolio e del gas naturale spinge, così al rialzo anche i costi per cittadini ed aziende andando a erodere ulteriormente i redditi per i primi e a colpire la produttività e la redditività delle seconde.

Per contrastare questo aggravio si sta pensando di dare una sforbiciata alla componente fiscale dell’energia che, si spera, sia solo l’inizio di una normalizzazione del settore per spingere ogni attività verso livelli di produttività più elevati e permettere un risparmio alle persone fisiche. Luci e ombre su questa manovra, quindi?

Certamente, come su ogni azione di politica economica, non esiste, infatti, una manovra economica perfetta ma sembrerebbe che la direzione che si voglia intraprendere sia quella corretta… sembrerebbe, infatti, perché, si dice, che la strada per l’inferno sia lastricata di buone intenzioni e sarà la “messa a terra” del progetto a dirci se questo sarà, effettivamente, buono oppure meno.