Regionali in Lombardia: perché bisogna seguire cosa accade all’ombra della Madonnina

Il dibattito in corso per le regionali della Lombardia, con il Terzo polo di Calenda e Renzi già pronti a dare le carte, avendo scelto di scommettere su Letizia Moratti, può sembrare un fenomeno laterale rispetto alle vicende romane legate al governo e alla sua maggioranza. In realtà non lo è affatto. La regione governata da Attilio Fontana, leghista di formazione maroniana adattatosi alla liturgia salviniana, non è solo la locomotiva del Paese, nella lettura economica dell’Italia, ma sta diventando il laboratorio politico del Belpaese, anticipando mosse e strategie, riconducibili alle dinamiche dello scacchiere della politica nazionale. La Lombardia, quindi come incubatore di progetti, se non addirittura prezioso moltiplicare di processi in divenire. E non tanto per la logica territoriale della Lega, quanto per la contrapposizione fra Milano, governata da una giunta di centrosinistra guidata dal sindaco, Beppe Sala, e il resto del territorio, frastagliato e vario, sia politicamente che economicamente. Dunque sempre in fermento, oltreché in movimento.

Da qui la necessità di seguire quanto sta avvenendo sotto l’ombra della Madonnina, con la consapevolezza di vedere, molto presto, i risultati ottenuti in Lombardia applicati a Roma, in particolare nel centrosinistra. Il segretario del Pd, Enrico Letta, per esempio, mentre prova ad accelerare i tempi del congresso, deve fare i conti con le elezioni regionali di inizio 2023 in Lombardia, e poi nel Lazio. La segreteria del partito ha dato il via ufficiale al percorso che porterà alle primarie per la scelta del nuovo segretario: la data già fissata è quella del 12 marzo ma, in un intervento su “Repubblica”, Letta non ha escluso che possa essere anticipata. Nella giornata in cui è iniziato il percorso costituente per il nuovo Pd, a tenere banco sono state però le regionali. E’ ormai sulla via del tramonto l’obiettivo dei dem di andare al voto con alleanze larghe, dal M5s al Terzo polo. “In ogni caso”, è il commento, “andremo avanti per la nostra strada”. In Lombardia Carlo Calenda e Matteo Renzi hanno lanciato la candidatura di Letizia Moratti, che però è stata bocciata da larghissima parte del Pd. Compresa Base riformista, l’area ritenuta più vicina al Terzo polo: “Non si va lontano con i diktat”, sostiene il coordinatore della corrente, Alessandro Alfieri. Chi invece chiede di pensarci è il governatore della Puglia, Michele Emiliano: “Io non chiuderei la porta”. E non è il solo a pensarlo. Senza ammetterlo in pubblico anche alcuni big del partito sarebbero della stessa idea. Che non è detto che non faccia breccia, se davvero il centrosinistra vuol contendere la Lombardia alla Lega. Il che potrebbe aprire la strada ad una divisione interna al partito, se non addirittura ad una scissione.

Nel frattempo sia nel Lazio che in Lombardia, il percorso che porterà il Nazareno alla scelta dei candidati non è stato ancora definito: resta la via maestra delle primarie, che potrebbe mettere un freno alle divisioni interne a aprire la strada alla partecipazione dei candidati del Terzo Polo. Per la Lombardia, uno dei nomi in campo è quello di Carlo Cottarelli che, però, si era detto disponibile a condizione di essere appoggiato anche dal Terzo polo. “Un accordo su di lui già c’era – racconta un dem – poi Calenda e Renzi hanno fatto retromarcia”. Nel caso di corsa in solitaria, nel Pd c’è chi spinge per una figura che sia più direttamente identificabile col partito. Dunque il percorso intrapreso assomiglia ad una vera e propria officina, con libretti d’istruzione tutti da scrivere. Ma quello che potrebbe venire fuori dalla Lombardia potrebbe essere un segnale forte per il congresso del Pd, togliendo alla componente romana la storica golden share su tutte le scelte, come chiedono con forza i lombardi meno inclini a farsi masticare dai 5 Stelle di Conte. Come invece rischiano di fare i dem della Capitale.