Dove nasce la “Chiesa in uscita” di Francesco. Intervista a don Luis Antonio Gallo

Intervista sulla "Chiesa in uscita" a don Luis Antonio Gallo, insigne teologo argentino dell’Università Pontificia Salesiana

La “Chiesa in uscita” di papa Francesco ha solide e antiche radici teologiche. Ad approfondirle per Interris.it è l’insigne teologo salesiano don Luis Antonio Gallo, argentino, storico docente di teologia dogmatica alla Pontificia Università Salesiana. Fin dagli inizi degli anni 80 teologo di riferimento di “Note di Pastorale Giovanile” (NPG), la rivista per educatori ed evangelizzatori ispirata dal carisma di don Bosco. NPG sollecita la riflessione e accompagna la pratica degli educatori che vogliono “stare significativamente” con i ragazzi e i giovani.pandemia

In uscita

Dove si vede il “segno” di una fede “in uscita”? “Nell’insistenza su una Chiesa non autoreferenziale– risponde don Gallo-. Bensì in uscita verso le periferie, non solo geografiche. Ma anche esistenziali. Nelle quali si trovano i poveri, gli ultimi, gli esclusi. E nella proposta concreta (anche se non letteralmente enunciata) del binomio comunione e partecipazione. Che richiede l’eliminazione di ogni accaparramento egoistico, singolo o di gruppo. Sia dei beni materiali che del potere, della cultura o dei privilegi sociali. E  verso l’abolizione di ogni forma di emarginazione ed esclusione“.Chiesa

Radici teologiche

Il rischio di ogni riflessione pastorale è sempre stato quello di essere (ingiustamente) ritenuta una riflessione di secondo livello. Poco teologicamente fondata. Come se solo la teologia fondamentale avessero diritto a considerarsi ‘vera teologia‘. E la pastorale giovanile unicamente come disciplina pratica. Il lavoro di don Luis Gallo è stato anche quello di mostrare le radici assolutamente teologiche della pastorale giovanile.

Modello solidale di Chiesa

Don Luis Antonio Gallo, teologo all’Università Pontificia Salesiana, offre a Interris.it una lettura originale del rapporto fra Francesco e la stagione aperta da Giovanni XXIII per aggiornare la Chiesa. “Fu un Concilio eminentemente ecclesiocentrico”, spiega Gallo. Il riferimento è al fatto che dopo i primi tentennamenti il Vaticano II trovò il fulcro delle sue riflessioni sull’idea di Chiesa grazie soprattutto agli interventi dei cardinali Léon-Joseph Suenens, arcivescovo di Malines-Bruxelles, e Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano. Il Concilio venne persino accusato da qualcuno di “narcisismo ecclesiologico”. Per smontare questa accusa fu necessaria l’allocuzione di Paolo VI nell’ultima sessione pubblica del Concilio il 7 dicembre1965. Anche su questo don Gallo esorta ad allargare lo sguardo.Chiesa

Profonda trasformazione

“Durante i quasi quattro anni della sua celebrazione la coscienza di gran parte dei partecipanti al Concilio subì una profonda trasformazione- evidenzia a Interris.it il teologo argentino-. Per influsso specialmente dei grandi movimenti sorti nella Chiesa stessa verso la fine del secolo XIX. E nella prima metà del secolo XX.  I fattori all’origine di questa trasformazione sono la ricerca di un ritorno alle fonti bibliche e patristiche. I rinnovati impulsi missionari. Il tentativo di un rinnovamento liturgico. Le aspirazioni verso un genuino ecumenismo. E verso una più piena partecipazione dei laici nella vita e nell’attività della Chiesa”.

Incontro tra Papa Francesco e il Celam (episcopato latinoamericano)

Al centro dell’attenzione

Stesso discorso, secondo don Gallo, per i “segni dei tempi” che si manifestarono nella società. E cioè “la tendenza verso la personalizzazione. Che portò a mettere la persona come soggetto pensante e libero al centro dell’attenzione. E verso la socializzazione. Intesa come progressivo moltiplicarsi di rapporti nella convivenza con varie forme di vita e di attività associata. Il risultato di tutte queste spinte e tensioni interne al Concilio Vaticano II fu che i padri conciliari sentirono il bisogno di abbandonare il modello di Chiesa-istituzione. Un modello in vigore dal tempo di Costantino. Ma che veniva ormai ritenuto da molti come superato e inadeguato”.Chiesa

Chiesa-comunione

Secondo la ricostruzione del teologo don Gallo, però, a questo abbandono non seguì un vuoto ecclesiologico. Bensì la proposta di un modello di Chiesa-comunione in un primo momento. E poi di quello di “Chiesa-serva-dell’umanità”, secondo l’espressione di Paolo VI. “Il primo spostamento trovò la sua formulazione nella Costituzione dogmatica ‘Lumen Gentium’. E negli altri quattordici documenti che si ispirarono ad essa- puntualizza il teologo salesiano-. E il secondo nella Costituzione pastorale ‘Gaudium et Spes’. Documento imprevisto e redazionalmente immaturo. Che nondimeno segna il punto più alto dell’evoluzione conciliare. E che assume quanto di innovativo comportava il precedente. Arendolo però al servizio de un mondo in pieno processo storico di trasformazione. Con tutti i pregi e i rischi che questo comporta”.Chiesa

Rilettura a partire dal popolo

L’impatto della prospettiva ecclesiale del Concilio Vaticano II, evidenzia don Gallo, arrivò a Jorge Mario Bergoglio attraverso le conferenze generali dell’episcopato latinoamericano del post-Concilio. Una “rilettura”, insomma, a partire dalla situazione dei popoli del suo continente. “Dopo il Vaticano II il seme conciliare trovò un terreno fertile per l’attuazione dei suoi orientamenti nel continente latinoamericano-sostiene il teologo argentino-. Situato nel Sud del mondo. E quindi in quello che venne chiamato ‘il mondo della povertà’. Unico continente allora massicciamente cristiano come risultato dell’evangelizzazione ispano-lusitana. E segnato allo stesso tempo da pesanti condizionamenti di tipo economico, sociale, politico, culturale. E non ultimo, religioso. Il Concilio vi arrivò in realtà già filtrato”.

Al servizio di quale umanità?

“Appena due anni dopo la conclusione del Concilio, infatti, attraverso l’enciclica ‘Populorum Progressio‘ (1967) Paolo VI volle dare una risposta all’incalzante domanda sollevata dalla presa di posizione del Concilio nella sua fase finale: ‘Chiesa al servizio, ma di quale umanità?’ E la diede con una chiaroveggenza e concretezza sorprendente, e persino inquietante”, analizza don Gallo. E “non mancò chi tacciò  Papa Montini di assumere una prospettiva comunista. Tale era il peso che Paolo VI attribuiva nell’enciclica al fattore economico per definire la situazione mondiale”, precisa il teologo.

Conferenze generali

“Su questa scia si collocarono, ognuna con sfumature proprie, le quattro Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano (più avanti con la aggiunta ‘e dei Caraibi’) che si celebrarono nel post-Concilio- racconta don Gallo-. Nel 1968 si celebrò a Medellín (Colombia), con la presenza iniziale di Paolo VI, la seconda Conferenza (la prima era stata celebrata a Rio di Janeiro nel 1955, quindi prima del Vaticano II). Essa, adottando il metodo già enunciato da Giovanni XXIII nella ‘Mater et Magistrae adoperato, specialmente nella sua prima parte, dalla costituzione ‘Gaudium et  Spes, segna la nascita del ‘profetismo ecclesiale’ all’insegna del numero 11 della costituzione. E il vero inizio di una nuova evangelizzazione del continente”. Chiesa

Visione della realtà

Medellín, secondo don Gallo, non fu, infatti, “una semplice applicazione del Vaticano II, come più di uno ha affermato, ma una sua vera ‘rilettura’. A partire dalla visione della realtà dei popoli latinoamericani. Figlio del suo continente e del Concilio, Jorge Mario Bergoglio non partecipò alla Conferenza di Medellín. E nei suoi scritti non c’è nessun esplicito riferimento ad essa. Ma dall’insieme dei suoi scritti e soprattutto dai suoi atteggiamenti e comportamenti pastorali posteriori, si può cogliere quanto ne abbia assimilato lo spirito. Tra i suoi scritti ne è un esempio emblematico la descrizione da lui fatta nel volume ‘Solo l’amore ci può salvare’, nel capitolo intitolato ‘Il coraggio di annunciare il Vangelo’ (2006), della figura di monsignor Enrique Angelelli”.

Chiesa
Bimbo brasiliano

Il martirio di monsignor Angelelli

“IL vescovo di La Rioja, monsignor Enrique Angelelli aveva incarnato pienamente lo spirito di Medellín fino a venire violentemente eliminato dal regime militare, nel 1976– rievoca don Gallo-. Per il suo impegno in difesa dei più poveri è stato, come asserì Bergoglio nel suo scritto, ‘testimone della fede versando il proprio sangue’. A Puebla, Bergoglio, che non era ancora vescovo, vi partecipò da superiore provinciale dei gesuiti argentini (1973-1979). Nel libro ‘Noi come cittadini noi come popolo ne fa una sola citazione esplicita. Ma si vede lungo tutto lo scritto e soprattutto nella sua prassi pastorale posteriore come vescovo, quanto egli abbia fatto suo il binomio-chiave ‘comunione e partecipazione’. Filo conduttore della Terza Conferenza nelle sue opzioni per una nuova evangelizzazione”.

Aparecida

“Bergoglio era invece vescovo da pochi mesi quando partecipò alla conferenza di Santo Domingo“, racconta don Gallo: “Qualche anno dopo, il 30 settembre 2009, parlando, già da cardinale, in un convegno organizzato dall’Università gesuita del Salvador a Buenos Aires, fece un riferimento al documento della Conferenza nel punto in cui esso afferma che ‘la povertà estrema e le strutture economiche ingiuste che causano grandi disuguaglianze‘ sono violazioni dei diritti umani. Ma fu soprattutto ad Aparecida che la sua partecipazione e il suo ruolo spiccarono in maniera rilevante. Fu relatore dell’Assemblea e anche estensore del suo documento. Successivamente, poco prima di essere eletto papa, nella Lettera all’Arcidiocesi di Buenos Aires per l’Anno della Fede intitolata ‘Varcare la soglia  della fede’ (2012), affermò che varcare la soglia della fede significa tra l’altro «vivere nello spirito del Concilio e di Aparecida“.Chiesa

Sintonia di pensiero

“Al di là dei riferimenti espliciti ai documenti delle conferenze episcopali latinoamericane, nei suoi scritti anteriori al suo pontificato si coglie con inequivocabile chiarezza una sintonia- osserva il teologo argentino-. Di pensiero. Di atteggiamenti. E di prassi. Con esse e, al di là di esse. Con il Concilio Vaticano II che ne è la fonte ispiratrice”. Don Gallo lo coglie soprattutto “nella metodologia dell’approccio pastorale alla realtà. E cioè partire dalle situazioni reali, concrete, non da principi o enunciati dottrinali. Illuminandole con la luce del Vangelo. E proponendo vie concrete di azione”.