Covid, una ridotta massa muscolare favorirebbe forme più gravi, lo studio

La ricerca è stata coordinata dal Galeazzi e dal San Donato ed è stata prodotta analizzando i referti dei pazienti anziani ricoverati nella prima ondata della pandemia

Spagna

Uno studio pubblicato sulla rivista Radiology, che ha coinvolto quattro ospedali e tre università italiane, ha reso noto un’importante scoperta sul Covid.

Gli anziani con una ridotta massa muscolare o sarcopenia, andrebbero soggetti a maggiori complicanze in diverse malattie, tra cui quelle oncologiche. Questa associazione sfavorevole si verifica anche nei pazienti affetti da Covid-19.

Come è stato portato avanti lo studio

Lo studio, coordinato dall’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano e dall’Irccs Policlinico San Donato milanese, include 552 pazienti di cui 364 uomini, con età media di 65 anni, ricoverati nei reparti ordinari o in terapia intensiva, nel corso della prima ondata pandemica. Di questi sono state ottenute informazioni relative allo stato della muscolatura paravertebrale ottenute tramite TAC toracica, eseguita all’ingresso in ospedale per verificare la presenza di polmonite.

L’analisi ha preso in esame età, sesso, indice di massa corporea, estensione della polmonite, stato muscolare, eventuali malattie concomitanti broncopolmonari, cardiovascolari, neurologiche e oncologiche, diabete, insufficienza renale.

Le conferme dalle tac toraciche

È stata osservata una forte associazione tra la ridotta massa muscolare del paziente e l’insorgenza di complicanze da Covid, legate al ricovero in terapia intensiva o al decesso. “Le Tac toraciche eseguite sui pazienti ci hanno dato la possibilità di avere accesso a una fonte preziosa di informazioni relative allo stato dei muscoli paravertebrali – conferma Luca Maria Sconfienza, responsabile dell’Unità di Radiologia del Galeazzi -. Questo ci ha permesso di validare la nostra ipotesi, ovvero che la ridotta massa muscolare sia un fattore rilevante da considerare nei pazienti Covid, come già accade per altre comorbidità. Questi risultati – conclude – potrebbero essere utili ai colleghi clinici impegnati nei reparti Covid”.