Scoraggiare il ricorso alla maternità surrogata e tutelare i minori: il delicato compito del legislatore

Il nostro ordinamento persegue lo scopo legittimo di disincentivare il ricorso alla maternità surrogata. Con una recente decisione del novembre 2022, le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato che la maternità surrogata, anche qualora avvenga in forma gratuita, costituisce una pratica “che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo”. Anche a livello internazionale il contrasto a qualsiasi forma di maternità surrogata costituisce un obiettivo prioritario. Il Parlamento europeo si è espresso in tal senso con una risoluzione del 13 dicembre 2016. Il diniego dell’ufficiale dello stato civile al riconoscimento del bambino come figlio di coppie omogenitoriali scaturisce dalla pronuncia dei giudici delle Sezioni Unite che hanno respinto la richiesta di trascrizione, confermano la legittimità del rifiuto.

Per la Suprema Corte il riconoscimento mediante delibazione di un provvedimento straniero che riconosce il contratto di maternità surrogata (in particolare, la fecondazione avvenuta che tra un ovocita di una donatrice anonima e i gameti di un uomo, con successivo impianto dell’embrione nell’utero di una donna diversa) “finirebbe per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante”. Gli accordi di maternità surrogata comportano il rischio di sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni di fragilità economiche e sociali. Tali situazioni sarebbero, infatti, capaci di condizionare fortemente la loro decisione di sostenere una gravidanza nell’esclusivo interesse di terzi, ai quali il neonato dovrà essere affidato subito dopo il parto.

Del resto, osservano i giudici, nell’ordinamento italiano non esiste alcun “paradigma genitoriale fondato unicamente sulla volontà degli adulti di essere genitori e destinato a concorrere liberamente con quello naturalistico”. Esiste in ogni caso il superiore interesse del minore che deve ricevere protezione. L’assoluta centralità del minore esige che sia riconosciuta la titolarità giuridica dei doveri legati all’esercizio delle responsabilità genitoriali in capo agli adulti che si occupano di lui. Altrimenti si verificherebbe un peggioramento assolutamente ingiustificato dei suoi diritti. Nelle decisioni concernenti il minore deve essere sempre ricercata “la soluzione ottimale in concreto”, ciò quella che garantisca “soprattutto dal punto di vista morale, la miglior cura della persona” (Corte Cost. sent. n. 272 del 2017). La prospettiva incentrata interamente sull’interesse preminente del minore è stata accolta sulla base del principio che “tutti i figli hanno lo stesso status giuridico”. In linea con tale postulato la legge ammette il riconoscimento dei figli incestuosi, previa autorizzazione del tribunale dei minorenni. Il riconoscimento è possibile prescindendo dalla buona o malafede dei genitori, mentre è richiesto il consenso del giudice per evitare che ne possa derivare un pregiudizio per il figlio. Si abbandona, così, una posizione “adultocentrica” e di intraprende un percorso che mette in primo piano l’interesse del minore che non può subire una “capitis deminutio perpetua e irrimediabile” per i comportamenti di terzi soggetti.

Anche per i bambini nati tramite la pratica (vietata dalla legge n. 40 del 2004) della maternità surrogata, l’insieme di diritti e doveri funzionali all’interesse del bambino può essere riconosciuto attraverso un procedimento di adozione che sia effettivo e veloce. Ciò al fine di riconoscere la pienezza di filiazione tra adottato e adottante, allorché in concreto si sia verificata la corrispondenza agli interessi del minore. L’interesse del bambino ai legami genitoriali rileva dal punto di vista giuridico al fine di salvaguardare la cura della sua eduzione, dei suoi interessi patrimoniali e dei suoi diritti ereditari rispetto al genitore biologico ma anche a quello “d’intenzione”. Ogni altra soluzione che non prevedesse il riconoscimento – osserva la Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2021 – finirebbe per attuare una ingiusta strumentalizzazione della persona del minore “in nome della pur legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata”.

Spetta al legislatore assumere una scelta di sapiente equilibrio nel difficile bilanciamento tra tutti i diritti e i principi in gioco. Una scelta che sappia coniugare l’imprescindibile tutela dei minori nati mediante la tecnica di maternità surrogata e, al tempo stesso, possa scoraggiare tale pratica.