Legge 194: l’urgente necessità di attuarne la parte preventiva

E’ stata trasmessa al Parlamento il 13 giugno scorso l’annuale relazione del Ministro della Salute sullo stato di attuazione della legge 194/78, con i dati relativi al 2020. La Relazione attesta un ulteriore calo delle interruzioni di gravidanza nel corso del 2020: 66.413 aborti, fra chirurgici e farmacologici, su un totale di 400.318 nati vivi. Il dato è facilmente comprensibile in un Paese come l’Italia, connotato da una progressiva diminuzione del numero di donne fertili e dalla costante ed ormai allarmante riduzione delle nascite, che fa contare ormai appena 32.8 nati vivi per 1000 donne fra i 15 ed i 49 anni (tasso di fecondità). Tra le cause del calo del tasso di abortività, (5.4 per 100 donne di età compresa fra i 15 e i 49 anni) lo stesso Ministro nella sua Relazione sottolinea l’importanza del crescente ricorso alla cosiddetta contraccezione d’emergenza o pillole dei giorni dopo.

I dati parlano di 289.503 scatole di Norlevo vendute nel 2020, in lieve calo sul record di 325.690 del 2019; mentre per EllaOne, la decisamente più comoda “pillola dei 5 giorni dopo”, il trend è in crescita continua: 266.567 confezioni vendute nel 2020 contro le 145.101 di soli cinque anni prima (e 259.644 del 2019). Fondamentale nel promuoverne le vendite la delibera di AIFA che nel 2015, aveva eliminato l’obbligo di prescrizione medica per l’Ulipristal acetato per le maggiorenni; analogo provvedimento era stato deciso da AIFA nel 2016 per il Norlevo e nell’ ottobre 2020 anche per Ellaone per le minorenni. Tali disposizioni hanno di fatto liberalizzato il mercato di questi farmaci, sottraendolo ad ogni possibilità di controllo medico anche sulle più giovani rispetto a numero di assunzioni, effetti collaterali, interazioni con altri farmaci e con la normale fisiologia di un ciclo mestruale. Ed è lo stesso Ministro della Salute ad affermare che proprio l’uso crescente di farmaci dall’elevato contenuto ormonale rende «indispensabile una corretta informazione per evitarne un uso inappropriato».

A tal proposito vi sono due osservazioni da fare: il sempre più diffuso ricorso a tale tipologia di farmaci tende a ridurre il ricorso alla contraccezione tradizionale, sia tra la popolazione adulta che fra gli adolescenti ed incoraggia i rapporti occasionali, spesso non protetti a causa della tendenza di molti uomini a rifiutare l’utilizzo del condom. E’ possibile individuare in questi comportamenti uno dei motivi della aumentata incidenza delle malattie a trasmissione sessuale in tutti i Paesi occidentali ed in Europa in particolare, con conseguenze tanto gravi quanto misconosciute sul piano della fertilità sia femminile che maschile. Una riflessione è da fare anche a proposito del meccanismo d’azione dei cosiddetti “contraccettivi d’emergenza”: il loro potere antinidatorio può produrre infatti, se il farmaco è assunto nella fase periovulatoria del ciclo, il mancato impianto nell’utero di un embrione eventualmente appena formato, e dunque un aborto tanto precoce quanto inavvertito: eventi certamente non riportabili nei dati ufficiali, che quindi verosimilmente dovrebbero contare molte più vite appena iniziate ed interrotte.

In crescita anche il ricorso all’aborto farmacologico mediante mifepristone, con o senza prostaglandine, o RU 486: sono il 31.5% delle IVG in Italia; e se ciò nel 2020 è stato giustificato dalla pandemia e quindi dalla tendenza a scoraggiare i ricoveri ospedalieri, non possiamo dimenticare che ad un risparmio sulla spesa sanitaria permesso dall’uso di RU 486 corrisponde una crescente solitudine delle donne che vedono confinato nel privato il proprio autentico dramma, meritevole di adeguata tutela sociale così come indicato dalla legge 194.

Ingiustificate si rivelano poi, alla luce della relazione ministeriale, le periodiche polemiche sulle difficoltà incontrate dalle donne che intendono abortire. I dati nazionali del 2020 relativi al carico di lavoro medio settimanale di ogni ginecologo non obiettore, considerando 44 settimane lavorative in un anno, consiste in media in una IVG la settimana, dato in leggera diminuzione ed ovviamente variabile fra Regioni e fra ospedali. In ogni caso si tratta di numeri che, come la Relazione ministeriale conferma, non indicano particolari difficoltà circa l’esecuzione delle Ivg.

Le donne che abortiscono in Italia, hanno per lo più una età compresa fra i 25 ed i 39 anni, con un picco fra i 30 ed i 34 anni, dove si registra un tasso di abortività del 9.4 per mille: sono le età in cui si dedica maggiore attenzione all’ingresso ed alla permanenza nel mondo del lavoro, specialmente se si è al termine di un percorso formativo superiore. Il 46.2% di queste donne ha la licenza media superiore, il 34.8 quella inferiore; il 46.5% ha una regolare occupazione. Il 39.3% delle donne che hanno abortito non avevano figli, il 22.6% 1, il 26.4% 2. Evidente il peso dei carichi familiari che, soprattutto in questi tempi di sempre maggiore e drammatica denatalità, dovrebbero essere maggiormente presi in considerazione dalla politica nazionale e regionale per costruire strumenti economici, fiscali ed organizzativi che tengano in considerazione il numero dei figli per famiglia.

La Puglia continua ad essere la regione con maggior tasso di recidive, seguita da Liguria ed Emilia Romagna. Il consultorio familiare continua ad essere la struttura cui le donne si rivolgono maggiormente per il rilascio della certificazione necessaria ad abortire;  esiste però una grande differenza fra le varie zone d’Italia circa l’afferenza delle donne a questa preziosa struttura: Emilia Romagna, Umbria, Piemonte e Marche sono le regioni in cui i consultori sono più accorsati; ma, se in Emilia Romagna, su 7474 colloqui  pre-IVG effettuati dai 166 consultori familiari pubblici attivi nella regione, sono stati rilasciati  4013 certificazioni per l’aborto, in Liguria  dopo 789 colloqui  sono stati rilasciati 855 certificazioni mentre  in Piemonte 3517 sono stati i colloqui e 3625 le certificazioni rilasciate. Sorge legittimo il dubbio sulla reale attuazione degli artt 2 e 5 della legge 194/78. Molto bassa invece l’afferenza ai CF nelle regioni meridionali: Sardegna, Abruzzo e Puglia sono le regioni i cui consultori sono meno accorsati.  Infine, il 28.5% delle donne che hanno abortito nel 2020 hanno cittadinanza straniera.

Alla luce di quanto emerge dallo studio della Relazione ministeriale, sarebbe importante assicurare: integrale attuazione della legge 194, artt. 2 e 5, mediante una concreta, stretta collaborazione fra consultori familiari, servizi pubblici comunali e regionali e associazioni competenti presenti sul territorio al fine di accompagnare ed aiutare le donne che lo desiderano a superare gli ostacoli che le inducono a chiedere l’IVG ed a portare a termine la loro gravidanza.

Rilevazione delle motivazioni che inducono le donne a chiedere l’IVG, nel totale rispetto della loro privacy, e predisposizione di una Relazione annuale sulle cause degli aborti, allo scopo di mettere in atto di specifiche politiche preventive. Diffusione della conoscenza e della applicazione della legge sul parto in anonimato e sostegno alle famiglie adottive ed affidatarie. Rafforzamento dei consultori familiari, dei centri per la famiglia e delle loro équipe multidisciplinari, anche al fine di assicurare supporto alla maternità ed alla relazione di coppia

In collaborazione con docenti, genitori ed esperti, attuazione di percorsi di educazione dell’affettività e della sessualità, conoscenza e tutela della fertilità e della fisiologia degli apparati generativi dell’uomo e della donna da destinare ad adolescenti e giovani, da proporre anche nelle scuole secondarie.

Lodovica Carli, ginecologa, presidente del Forum delle Associazioni Familiari di Puglia