Il contrasto del land grabbing è un dovere di tutti

In occasione della presentazione dell'importante Rapporto di Focsiv su questo tema In Terris ha intervistato l'eminente Geologo Giovanni Savarese

Pochi giorni fa è stato presentato il IV Rapporto Focsiv intitolato I padroni della Terra. Rapporto sull’accaparramento della terra 2021: conseguenze su diritti umani, ambiente e migrazioni che, in questa edizione, affronta il fenomeno del land grabbing, ovvero il fenomeno dell’accaparramento delle terre fertili da parte di multinazionali, grandi investitori, finanza e stati a scapito dei popoli indigeni e delle comunità di contadini locali. In Terris ha avuto l’onore di intervistare in merito a questa importante tematica il Dottor Giovanni Savarese, eminente Geologo e Animatore Laudato Sì.

Che strategie si possono adottare al fine di fermare il cosiddetto land grabbing, ovvero il fenomeno dell’accaparramento delle terre da parte degli speculatori?

“Il tema è estremamente complesso. Porta con sé aspetti legati alla globalizzazione, allo sviluppo delle società cosiddette avanzate ed in ultimo all’ambiente. Per questo una delle cose più importanti da fare è semplice. Parlarne. Il confronto tra gli esperti ed anche e la divulgazione verso la cittadinanza sono elementi essenziali, senza le quali non è possibile affrontare il problema. Che poi riguarda tutti noi molto più da vicino di quanto non pensiamo. I vestiti che indossiamo e il cibo che mangiamo potrebbero essere il risultato di terre sottratte a popolazioni allontanate, con le buone o con le cattive. Ma anche i minerali o i biocombustibili, che dovrebbero garantire lo sviluppo sostenibile in casa nostra, hanno all’origine un processo tutt’altro che sostenibile. Parlarne per aumentare la consapevolezza, soprattutto dei consumatori. E poi è necessario rafforzare gli strumenti di diritto internazionale: le grandi multinazionali sono ormai soggetti il cui peso è sempre maggiore che spesse volte supera quello degli stati. Si pensi che già nel 1962 le Nazioni Unite si occupavano del tema, con la risoluzione riguardante la sovranità permanente dei popoli e delle nazioni sulle risorse naturali. Eppure, oggi il problema, invece che regredire, ha assunto proporzioni molto più ampie. È necessario agire con fermezza per vincolare le imprese alle proprie responsabilità ambientali. Ed anche la finanza ha le proprie responsabilità, complici spesso alcuni stati”.

Come si può dar vita ad un sistema virtuoso che incentivi la sostenibilità agricola e nel contempo garantisca la sicurezza alimentare dei paesi in via di sviluppo?

“Il condizionamento delle dinamiche di mercato ha enormi potenziali nei consumatori. Ma se il sistema produttivo è opaco e nasconde, dietro ad operazioni di “green washing”, le nefandezze che si celano dietro alle proprie merci, è difficile ottenere un risultato significativo che spinga le imprese a invertire la rotta. Tuttavia, la sensibilità delle persone oggi sembra essere molto attenta ed è quindi importante non trascurare questo aspetto. Valorizzare le produzioni a “km 0”. E guardare oltre. Negli attuali processi di discussione sui nuovi modelli di sviluppo dei centri urbani, non sarebbe da trascurare una seria riflessione su quelli che sono definiti “orti urbani”. Lo sviluppo di orticultura in ambiente urbanizzato non può certo essere l’unica soluzione. Ma può essere uno dei punti di partenza per diminuire la dipendenza e lo sfruttamento delle megalopoli dai territori più lontani. Certo poi a livello sistemico è necessario intervenire su più livelli: difesa internazionale dei diritti delle popolazioni locali, responsabilità sociale delle imprese, interruzione di investimenti e investimenti su pratiche che non garantiscono il rispetto dei diritti umani”.

In che modo i Paesi dell’UE possono coadiuvare i Paesi in via di sviluppo in materia di sostenibilità agricola ed ambientale?

“Non possiamo che prendere spunto dal IV Rapporto Focsiv, il cui valore è enorme. È necessario adottare leggi più efficaci volte a regolamentare le attività commerciali delle imprese nel rispetto dei diritti umani e dell’ambiente. E non dobbiamo pensare che i privati costituiscano un muro. Tutt’altro. Ci sono importanti aziende che si sono schierate a favore dell’adozione di strumenti legislativi, anche rigidi, per garantire la necessaria “dovuta diligenza” nei comportamenti dei produttori. A livello UE però siamo ancora in una fase di promozione di buone prassi su base volontaria. Che non ha raccolto adesioni soddisfacenti. Per questo si sta lavorando per inserire la condotta responsabile delle imprese in un impianto giuridico vincolante. Raggiunto questo obiettivo, i paesi in via di sviluppo avranno meno da temere in materia di impatti ambientali e sociali derivanti dall’uso del territorio e delle proprie risorse naturali”.

Che insegnamento ci dona il Magistero del Santo Padre in tema di sostenibilità ambientale?

“Ancora una volta ci viene in aiuto il messaggio dell’Enciclica Laudato Sì, per la quale non avremo mai ringraziato abbastanza la creatività dello Spirito Santo che ha ispirato Papa Francesco. Il Papa tratta proprio il problema di cui parliamo. Ha denunciato le pressioni cui sono sottoposte le comunità aborigene, relegate ad una semplice minoranza. Ha gettato luce sui progetti che non prestano attenzione al degrado della natura e della cultura. Ma non si limita a evidenziare i problemi. Pone anche delle proposte. È indispensabile “rallentare la marcia”, soprattutto perché il ritmo di consumo dei paesi ricchi corrisponde ad un ritmo di produzione iniquo per i paesi più poveri e messi ancor più in difficoltà da fenomeni quali il land grabbing. E a proposito del tema, è insopportabile che oggi in Italia ci sia uno spreco pro-capite di cibo pari a 65 kg. In Europa quasi il 20% del cibo prodotto diventa spazzatura. Si capisce bene perché il Santo Padre abbia detto “il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del povero”.”