Cerimonia in ricordo degli assalti anti-cristiani di Lahore

Per la comunità cristiana di Lahore, in Pakistan, ieri è stato il giorno del ricordo. Tre anni fa, il 15 marzo 2015, due terroristi islamici si fecero saltare in aria in altrettante chiese, quella di St. John, cattolica, e la Christ Church, protestante. Persero la vita 19 persone e ne rimasero ferite 70.

Presso la John’s Girls High School si è tenuta la cerimonia in memoria delle vittime: oltre ai familiari delle vittime, presenti sacerdoti, suore, studenti, insegnanti, attivisti sociali e politici. Come riferisce AsiaNews, il vicario generale dell’arcidiocesi locale e parroco di Youhanabad, padre Francis Gulzar, ha detto: “I fedeli che hanno sacrificato la loro vita non sono morti. Il loro sacrificio è eccezionale perché essi hanno offerto la propria vita per amore dei fedeli di Gesù Cristo”.

Nell'omelia il sacerdote ha sottolineato inoltre che “il sangue di questi martiri è la prova che si sono sacrificati non solo per l’amore, la pace, l’armonia e l’unione, ma con il loro sangue hanno anche sfidato il terrorismo e l’estremismo”. Il parroco evidenzia che “dopo l’attacco suicida con le nostre chiese il numero dei fedeli è aumentato. Ora molte più persone vengono in chiesa senza paura e timore. Questo è un messaggio chiaro: noi siamo veri fautori di pace e armonia e non accetteremo atteggiamenti negativi”.

In particolare padre Anayat Barnard, un altro prete che ha preso la parola, ha ricordato il martire Aakash Masih, “un ragazzo che quella mattina del 15 marzo si è posto davanti l’attentatore. Egli è un vero eroe per la nostra nazione. È morto per amore di Cristo e dei suoi fedeli. Per questo chiedo alla Conferenza episcopale pakistana di intercedere presso papa Francesco affinchè egli venga dichiarato ‘Venerabile’”. Padre Emmanuel Yousaf Mani, direttore nazionale della Commissione nazionale Giustizia e pace (Ncjp), riferisce ancora AsiaNews, ha chiesto che “il presidente della Corte suprema del Pakistan agisca di sua volontà sul caso di Youhanabad e liberi le vittime [cristiane] arrestate ingiustamente”. I cristiani, sottolinea, “si sono sacrificati tanto quanto gli altri per la creazione del Pakistan. Abbiamo fatto del nostro meglio per il suo sviluppo e progresso. Perciò l’atteggiamento discriminatorio contro di noi deve finire e dobbiamo essere trattati come uguali cittadini dello Stato”.