Sisma: la forma delle faglie influenza la potenza dei terremoti

L’intensità e la durata dei terremoti sono influenzate dalla forma delle faglie. E’ quanto scoperto grazie a uno studio coordinato da Quentin Bletery, dell’università dell’Oregon (Usa) pubblicato sulla rivista Science. Benchè si sappia ancora molto poco della genesi dei terremoti, lo studio ha evidenziato che le faglie più piatte sono legate ai terremoti più violenti, di magnitudo superiore a 8.5, mentre quelle più curve hanno meno probabilità di essere collegate a terremoti così intensi.

Decisamente una rottura con le ipotesi passate, quando si pensava che i megasismi avvenissero solo ai margini tra giovani placche tettoniche che convergevano velocemente l’una verso l’altra. A smentire questa teoria, è stata la Natura stessa con i due sismi dell’Indonesia (nel 2004) di magnitudo 9.4, e con quello di 9.0 in Giappone nel 2011 che hanno indotto gli scienziati a pensare che i terremoti più distruttivi fossero possibili su qualsiasi grande faglia.

In questo nuovo studio, i ricercatori statunitensi hanno dmostrato che sui terremoti distruttivi c’è anche un altro fattore che influisce: la curvatura della faglia. “Molti pensano che le aree con alcune faglie si rompano meno di altre, e quando si rompono generano dei terremoti molto forti – commenta Bletery – Ma la causa non è chiara”. L’idea alla base dello studio dello scienziato dell’Oregon era che ci fossero delle variazioni nella geometria della faglia; così ha cercato dei cambiamenti nell’inclinazione delle principali faglie di subduzione (cioè lo scorrimento di una placca sotto l’altra) del mondo.

“Ho calcolato la pendenza dell’inclinazione della curvatura in molte faglie e l’ho confrontata con la distribuzione dei terremoti più forti del passato – continua Bletery- Ho così scoperto una cosa inaspettata: i sismi più distruttivi avvengono nelle faglie più piatte”, come la zona di subduzione di Cascadia (nel nord della California) dove avvenne il megasisma del 1700 e seguente tsunami.

Nelle placche piatte, spiega il ricercatore, la soglia di rottura è più omogenea, il che consente ad un’area maggiore di rompersi simultaneamente. La scoperta, anche se non avrà un impatto diretto sulla possibilità di prevedere un terremoto, aiuterà a comprendere quali sono le zone a maggior rischio cataclisma.