Josemaría Escrivá, il santo che con il buon umore testimoniava l’amore di Dio

“In una società nella quale la brama sfrenata del possesso di cose materiali le trasforma in idoli e in motivo di allontanamento da Dio, Josemaría Escrivá ci ricorda che queste stesse realtà, creature di Dio e dell’ingegno umano, se si usano rettamente per la gloria del Creatore e per il servizio dei fratelli, possono essere via per l’incontro degli uomini con Cristo”. Così Giovanni Paolo II nel 1992 ricorda la straordinaria figura di questo sacerdote che ha tanto amato e servito la Chiesa. Il futuro santo nasce in una famiglia di ferventi cattolici a Barbastro (Spagna) nel 1902, secondo di sei figli. È ancora un bambino che il Signore chiama a sé le tre sorelle più piccole e i suoi genitori vivono dei grossi problemi economici. Nell’inverno del 1917-18 avviene un fatto che influirà in maniera decisiva sul futuro di Josemaría: durante le festività natalizie cade sulla città una fitta nevicata e un giorno osserva le orme congelate lasciate sulla neve da due piedi nudi; sono le impronte di un religioso carmelitano che cammina scalzo.

Dinanzi a tale immagine si domanda cosa lui sia capace di offrire a Dio. Nasce così nella sua anima una “divina inquietudine” che si concretizza con la decisione di diventare sacerdote. Concluso il liceo, comincia gli studi ecclesiastici nel seminario di Logroño e, nel 1920, si trasferisce presso quello di Saragozza, nella cui Università Pontificia completerà la formazione che precede il sacerdozio. È molto amato dai compagni per il suo carattere generoso e allegro, semplice e sereno. “Io – scriverà in ‘È Cristo che passa’ – non ho un cuore per amare Dio e un altro per amare le persone della terra. Con lo stesso cuore con il quale ho amato i miei genitori e amo i miei amici, proprio con questo stesso cuore io amo Cristo e il Padre e lo Spirito Santo e Maria Santissima. Non mi stancherò mai di ripeterlo: dobbiamo essere molto umani; perché, altrimenti, non potremo essere neppure divini”. In quegli anni trascorre molte ore davanti al Santissimo Sacramento, mettendo le basi di una profonda vita eucaristica. Considera la preghiera una straordinaria “arma” per redimere il mondo. “In primo luogo – spiegherà nel Cammino – orazione; poi, espiazione; in terzo luogo, molto ‘in terzo luogo’, azione”.

Ordinato sacerdote nel 1925, si trasferisce a Perdiguera, un villaggio di contadini, dove è nominato reggente ausiliare della parrocchia. Due anni dopo si reca a Madrid per ottenere il dottorato in Diritto Civile. Nella capitale spagnola entra in contatto con persone di tutti gli ambienti sociali: studenti, artisti, operai, intellettuali, sacerdoti. In particolare, si prodiga instancabilmente con i bambini, i malati e i poveri delle borgate periferiche. “Tutto quello che si fa per amore – afferma – acquista bellezza e grandezza”. Il 2 ottobre 1928, dopo la Messa, mentre fa ordine fra appunti, propositi, ispirazioni e idee, improvvisamente “vede” l’Opera che il Signore gli chiede: persone di ogni nazione e razza, di ogni età e cultura che cercano e trovano Dio vivendo l’ordinario attraverso il loro studio o mestiere, umile o prestigioso che sia. Viene così fondata l’Opus Dei. L’obiettivo è elevare a Dio, con l’aiuto della grazia, ogni realtà creata, affinché Cristo regni in tutti e in tutto; conoscere Gesù Cristo, farlo conoscere, portarlo in tutti i luoghi. “La vita quotidiana di un cristiano che ha fede – scrive nelle Meditazioni – quando lavora o riposa, quando prega o quando dorme, in ogni momento, è una vita in cui Dio è sempre presente”. Nel 1934 pubblica, con il titolo di Consideraciones espirituales, la prima edizione di Cammino, un libro di spiritualità che si diffonde in tutto il mondo.

Lo scoppio della guerra civile, particolarmente feroce nei confronti della Chiesa, lo costringe alla clandestinità e a riparare oltre i Pirenei, a Burgos, in Francia. Rientra a Madrid nel 1939 e poi, nel 1946, si dirige a Roma per incontrare Pio XII al fine di chiedere il riconoscimento pontificio dell’Opus Dei. L’approvazione definitiva della Santa Sede giunge nel 1950. Problemi di salute e prove di ogni tipo non fiaccano lo spirito di Escrivá che è sempre allegro e riesce a portare la sua opera fino agli estremi confini del mondo. Il suo buon umore è una continua testimonianza di amore incondizionato alla volontà di Dio. Nascono svariati progetti: scuole professionali, centri di formazione per contadini, università e scuole, cliniche e dispensari. San Josemaría, sempre vigile nella difesa della persona e della sua dignità, dinanzi ai problemi della società è convinto che le “crisi mondiali sono crisi di santi”. Riguardo ai conflitti che affliggono l’intero globo osserva: “C’è chi cerca di costruire la pace nel mondo senza mettere nel suo cuore l’amore di Dio… Come è possibile realizzare una simile missione di pace? La pace di Cristo è quella del suo Regno; e il Regno di nostro Signore si fonda sul desiderio di santità, sull’umile disponibilità a ricevere la grazia, su una vigorosa opera di giustizia, su una divina effusione di amore”. Il 26 giugno 1975 il santo spagnolo si spegne nella sua stanza di lavoro a mezzogiorno, in seguito a un arresto cardiaco. Sopra di lui è presente un quadro della Madonna cui Josemaría rivolge teneramente l’ultimo sguardo.