Ivan Cottini: “Ecco come la mente può vincere la malattia”

L'intervista a Ivan Cottini, modello e ballerino marchigiano, malato di Sla da quando aveva 27 anni

La felicità è una forma di coraggio” ha scritto Holbrook Jackson ed è quel che Ivan Cottini, il primo malato al mondo di sclerosi multipla che balla, ha tatuato sulla sua pelle e nella sua quotidianità. Il modello e ballerino marchigiano ammalatosi a soli 27 anni ha deciso di non lasciare che la sclerosi multipla (malattia neurologica cronica e degenerativa) diventasse la protagonista della sua esistenza, ma con forza e positività ha deciso di battersi per godersi tutto ciò che la vita ha ancora in serbo per lui. E così oggi non solo continua a danzare, ma è diventato anche un papà orgoglioso e un esempio dell’importanza del lottare contro le paure e dell’affrontare ogni tipo di ostacolo perché la vita è bella, sempre, anche da seduti.

Chi era Ivan prima della sclerosi multipla? E chi è Ivan oggi?

“Facevo il modello, stavo bene e lavoravo molto, ma una notte di fine aprile 2013 sono andato a dormire che mi sentivo il padrone del mondo e mi sono risvegliato che avevo difficoltà a stare in equilibrio, mi ero fatto la pipì addosso e avevo un grosso deficit visivo all’occhio destro, ero fragile e vulnerabile. Prima ero uno stronzo, egoista e menefreghista, un Ivan che viveva con il paraocchi in un mondo fatto di futilità. Avrei potuto aiutare tante persone, ma non l’ho fatto e questo è un mio grandissimo rimpianto. Oggi cerco di spendermi per tutti, cerco di essere un esempio per le persone che hanno bisogno di trovare un po’ di forza. La realtà è però che sorrido per gli altri, ma dentro ho smesso di ridere molto tempo fa. Mi pesa avere questa corazza, ma sto cercando in tutte le maniere di tornare ad essere felice per me e per mia figlia”.

È il primo malato di sclerosi multipla al mondo che balla e l’ha fatto su palchi importanti come quello dell’Ariston. È vero che quel Sanremo 2020 è stato un grande traguardo, ma ha segnato anche un nuovo imprevedibile crollo?

“Ballando all’Ariston ho raggiunto l’apice del successo, anche se ho dovuto urlare per avere il microfono e dare il mio messaggio, poi però è crollato tutto. Sono partito per Sanremo che ero fidanzato e quando sono tornato era finito tutto, anzi è finito proprio prima della mia esibizione. Poi, c’è stato il lockdown e tutte le richieste lavorative che avevo sono sfumate. Noi malati siamo rimasti a casa senza terapie. Questo ha fatto sì che in poco tempo non riuscissi più nemmeno ad alzarmi dal letto da solo. Gestire tutto questo è stato forse anche più pesante della diagnosi della mia malattia. Ripartire è stato faticosissimo, con la danza ho ricominciato da capo e purtroppo so che non potrò mai tornare ai livelli di prima”.

Qual è la sua motivazione oggi e quale il suo grande obiettivo da raggiungere?

“Oggi stringo i denti perché voglio tornare a esibirmi al Festival di Sanremo per fare il mio ultimo ballo. Ormai è diventata la mia sfida personale. Non devo più dimostrare niente a nessuno, ho già fatto vedere come ballo, come la mente possa vincere sulla malattia, ma mi vorrei godere quel momento, a costo di salirci in orizzontale su quel palco. A costo di ballare pochi istanti, perché il mio fisico non regge più tre minuti”.

Cosa la fa arrabbiare oggi?

“Sono arrabbiato, ma non con la malattia, anzi la sclerosi mi ha reso una persona migliore salvandomi da una vita sprecata nelle apparenze. Ma sono profondamente deluso dal fatto che nella nostra società non si voglia fare quel passo avanti per rendere davvero le cose migliori per tutti noi malati e disabili. Ho ricevuto dure critiche, addirittura minacce di morte, dopo aver urlato che la diversità è bellissima perché secondo molti io dovrei andare in pubblico solo a parlare dei diritti dei malati e fare pietismo, ma per me questo è l’approccio peggiore se davvero vuoi cambiare le cose.  Le persone, i giovani soprattutto, hanno bisogno di persone da emulare e di apripista, ma è difficile perché in alcuni ambienti, come quello dello spettacolo, se sei malato o disabile sei solo un ospite per fare audience. Io sono stato accettato in Tv perché sono bello. E se non fossi stato gradevole alla vista nessuno mi avrebbe lasciato ballare né mi avrebbe dato la parola. Questa è un’altra cosa inaccettabile”.

In cosa crede?

“Devo cercare di credere in me stesso, io sono il mio allenatore, motivatore e preparatore perché nella mia carriera più sono andato avanti più sono rimasto solo. I miei genitori non hanno mai appoggiato il mio mettere in mostra la malattia, né che danzassi. Non capiscono il beneficio che ho in quei due minuti di ballo e la carica che mi rimane addosso per qualche mese. Nemmeno la mia ex compagna ha mai condiviso ciò che facevo. Ma io vado avanti, se dovessi dar retta a tutte le cose che non dovrei fare dovrei stare seduto tutto il giorno e vedermi la vita passare davanti. Io invece voglio viverla”.

Combatte gli scherzi che le fa la malattia sulla memoria tatuandosi tutto ciò che di bello vive e che non vuole rischiare di dimenticare.

“Ho tatuato il piedino di mia figlia appena nata, il suo primo ciuccio, il suo primo disegno che rappresenta la nostra famiglia e quello in cui siamo io e lei, piccola, che camminiamo uniti io con la stampella e lei con la mia mano nella sua”.

Sua figlia, Viola, è stata fortemente voluta tanto da farle sospendere le cure. Le fa paura quello che dovrete affrontare insieme? Cosa le insegna?

“Per avere Viola ho sospeso per otto mesi i farmaci ed è stato fisicamente molto duro, non prendevo più né la morfina né i chemioterapici e la sclerosi è avanzata. L’opinione pubblica mi ha massacrato perché vedeva la decisione di avere un figlio in una situazione così delicata come egoistica. Mi chiedevano che futuro avrei potuto dare a un figlio con il quale non avrei mai potuto nemmeno camminare, ma io sono andato sotto tre metri d’acqua per stare in piedi e camminare con Viola e dimostro ogni giorno quante cose possiamo fare insieme. A me fa paura non esserci per sempre perché la mia patologia è degenerativa, posso solo provare a rallentarla, ma non voglio pensarci, cerco di vivere e godermi mia figlia il più possibile ogni giorno perché non so mai come mi risveglierò domani. Viola ha sei anni, vive con me la malattia quindi non devo né spiegarle né insegnarle. Da piccolissima se voleva che io facessi qualcosa con lei veniva da me già con le stampelle o con la sedia. Cerco di educarla alla vita reale, ai veri valori, all’amore per le piccole cose e alla condivisione di tutto partendo dalle emozioni perché la cosa più bella è condividere la felicità. Per il suo ultimo compleanno le ho regalato due castagni e li abbiamo piantati insieme, vicini, in giardino perché il castagno è la pianta più longeva in natura e quando cresceranno i loro rami s’intrecceranno così noi rimarremo mano nella mano all’infinito, anche se non potremo più esserlo in questa vita”.

È stato insignito dal Presidente Mattarella della carica di Cavaliere della Repubblica e recentemente ha firmato la Carta dei diritti del malato presentata alla Camera. Su cosa pensa sia prioritario lavorare per i malati come lei?

“Penso che la base su cui lavorare sia l’educazione alla diversità, perché al momento ce n’è poca, io per esempio evito di andare a prendere Viola a scuola perché è stata sottoposta a battutacce da parte di compagni che sicuramente a casa non respirano aria d’inclusione. L’indole del popolo Italiano è un grande scandalo iniziale, il pietismo e poi non succede mai nulla. Rispetto all’inclusione a livello lavorativo purtroppo l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa. Bisogna ancora lavorare molto”.

Pubblicato sul settimanale Visto