Sì alla santità della porta accanto, no alle mistificazioni neopagane di Halloween

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“La santità non consiste nel fare cose ogni giorno più difficili, ma nel farle ogni volta con più amore”, insegna Teresa d’Avila. Ha un significato profondo rendere omaggio ai santi il primo novembre e ai defunti il giorno successivo. Equivale a unire cielo e terra nella devozione e nella commemorazione, rigettando le mistificazioni neopagane di Halloween. Per Papa Francesco Ognissanti è una celebrazione senza fine della bontà divina: “Nella solennità di Tutti i Santi, festeggiamo non soltanto i santi conosciuti, ma anche tutti quei santi anonimi che in silenzio, nella vita di ogni giorno, hanno praticato la pienezza del Vangelo”. Una ricorrenza, quindi, che “ci invita alla speranza”, ricordandoci che “la santità è gioia, non rinunce, sforzi e musi lunghi”.

L’onore reso ai nostri protettori celesti è esperienza e testimonianza dell’amore di Dio come dimostra la “perfetta letizia” di San Francesco d’Assisi. E infatti Teresa di Lisieux in una sua lettera scrive che la santità non sta nel dire cose belle e neppure nel pensarle o nel sentirle, bensì nel compatire e condividere ogni sentimento dell’umanità. Tutto il contrario, insomma, della malefica alleanza tra consumismo e fascinazione dell’occulto che è dietro al fenomeno sempre più irrazionale e dilagante di Halloween. Secondo Francesco, le due feste, dei Santi e dei defunti, “ci ricordano il legame che c’è tra la Chiesa della terra e quella del cielo, tra noi e i nostri cari che sono passati all’altra vita”. A ciò si unisce l’appello papale a correggere appunto la “cultura negativa sulla morte e sui morti”. I santi sono modelli di vita capaci di attraversare la prova dell’esistenza con mitezza e vicinanza a chi soffre.

E’ questa la risposta cristiana alla notte dei fantasmi dell’horror, a una falsa festa che da noi non è mai esistita e che ha preso piede rapidamente e a tappeto come fenomeno commerciale. Una furbata congegnata per vendere gadget in una carnevalata per bambini, ma poi divenuta una gara a chi riesce ad allestire l’idea più macabra. Nulla più a che vedere con la tradizione anglosassone dei piccoli che passavano di casa in casa a “minacciare” scherzosamente con la formula “dolcetto o scherzetto”. Adesso in vetrina sangue e mostri, facce deformi e teste mozzate. Parlare con i santi e con i nostri cari che non ci sono più non è invece una superstizione. “Grazie alla comunione dei santi che sentiamo vicini a noi i Santi e le Sante che sono nostri patroni, per il nome che portiamo, per la Chiesa a cui apparteniamo, per il luogo dove abitiamo, e così via”, spiega Francesco. Ed è questa la fiducia che deve sempre animarci nel rivolgerci a loro nei momenti decisivi della nostra vita. Non è una cosa magica, non è una superstizione la devozione ai santi, è “semplicemente parlare con un fratello una sorella che ha percorso una via giusta e ora è davanti a Dio”.

Così “sappiamo che abbiamo degli amici in cielo: c’è un legame esistenziale che non si rompe”. In Cristo nessuno può mai veramente separarci da coloro che amiamo. Cambia solo il modo di essere insieme. Ed è proprio la comunione dei santi a tenere insieme la comunità dei credenti sulla terra e nel Cielo. E’ la devozione concreta vissuta dai santi e dal popolo cristiano. La Chiesa è chiamata a dare l’esempio. Si impara per vivere: teologia e santità sono un binomio inscindibile. La teologia elaborata nelle accademie deve essere radicata e fondata sulla Rivelazione, sulla Tradizione, ma è tenuta anche ad accompagnare i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili.

Tutti i discepoli di Cristo che, in forza del loro Battesimo e del loro naturale inserimento nel mondo, sono chiamati ad animare ogni ambiente, ogni attività, ogni relazione umana secondo lo spirito del Vangelo, portando la luce, la speranza, la carità ricevuta da Cristo in quei luoghi che, altrimenti, resterebbero estranei all’azione di Dio e abbandonati alla miseria della condizione umana. Nessuno meglio di loro può svolgere il compito essenziale di iscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Sull’ampio sfondo di questa dottrina conciliare, Francesco inserisce il decreto “Apostolicam Actuositatem”, che tratta più da vicino della natura e degli ambiti dell’apostolato dei laici. Questo documento ha ricordato con forza che la vocazione cristiana è per sua natura anche vocazione all’apostolato, per cui l’annuncio del Vangelo non è riservato ad alcuni “professionisti della missione”, ma dovrebbe essere l’anelito profondo di tutti i fedeli laici, chiamati, in virtù del loro Battesimo, non  solo all’animazione cristiana delle realtà temporali, ma anche alle opere di esplicita evangelizzazione, di annuncio e di santificazione degli uomini.

Dire Chiesa significa infatti dire popolo di Dio, significa dire identità e vocazione alla santità di questo popolo e in particolare della sua componente laicale. Quindi il capitolo della “Lumen Gentium” che parla della vocazione universale alla santità fu percepito da molti vescovi come un autentico punto di novità e forza. In pratica si tratta di ricostruire il percorso attraverso cui diventando cristiani si appartiene al popolo di Dio. I testimoni della Tradizione sono la Santissima Madre di Dio, la Vergine Maria, e i Santi che veneriamo. Tra loro ci sono innumerevoli martiri che hanno testimoniato la loro fedeltà a Cristo e sono diventati “seme di cristiani”. Tanto più oggi che il mondo è dilaniato da guerre in Terra Santa, Ucraina e decine di altri paesi, l’unità è dono di Dio, è frutto dell’amore, della santità, della vita nuova che Gesù è venuto a portare; è opera dello Spirito Santo, Spirito dell’amore. Tutti noi siamo chiamati a stare nella storia e aiutare il prossimo a santificare la quotidianità. Ecco il segno di una vita cristiana autentica quale primo mezzo di evangelizzazione, così affermava anche Paolo VI nel 1975: “È mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità» (Evangelii Nuntiandi).

Nell’affrontare i grandi temi sociali, Francesco attinge a tutta la tradizione spirituale dei santi della carità, ma anche ad alcuni testi del Concilio che denotano speciale attenzione per la giustizia verso i poveri e l’impegno a favore degli ultimi perché questa Chiesa che amiamo sia a pieno titolo annunciata come contenuto di fede e, insieme, non venga oscurato dal nostro peccato la sua santità originaria. E per madre Teresa di Calcutta: “La santità non è un lusso per pochi, ma un semplice dovere per ciascuno di noi”.