Solo il 5% dei bimbi nati da gameti italiani

La Pma è la procreazione medicalmente assistita. Solo per il 5% dei bambini nati con la fecondazione eterologa si usano gameti italiani. Gli uomini sani ne producono milioni ma solo uno ce la fa. È la gara spietata per la procreazione fatta di speranze, attese e tentativi. Per il 35% degli uomini la fecondazione naturale è una strada chiusa: cause genetiche, congenite, malattie o esposizione a fattori ambientali possono alterare la qualità o la quantità degli spermatozoi in modo da rendere impossibile il concepimento. “L'alternativa è quella di ricorrere al seme di un donatore, una pratica che può diventare costosa per motivi di importazione: infatti l'Italia conta un numero esiguo di donatori perché nel nostro paese (al contrario di ciò che avviene altrove) la donazione di gameti e quindi del prezioso seme maschile, deve essere un atto volontaristico e gratuito – riferisce l’Agi -.Il tavolo tecnico di esperti sulla Pma istituito presso la Conferenza Stato Regioni ha calcolato che il 95% dei gameti maschili viene acquistato dalle banche estere e solo il 5% è made in Italy”.

Incentivare la donazione

Il professor Salvatore Sansalone, specialista in andrologia e urologia all'Università di Tor Vergata e consulente urologo del ministero della Salute spiega: “Mentre nei paesi anglosassoni ad esempio è previsto un rimborso che permette a molti giovani uomini di mantenersi o pagarsi una quota degli studi. In molti paesi il rimborso per ogni donazione raggiunge e supera i 2000 euro”. Nel 2016 in Italia sono stati eseguiti 2993 cicli di PMA eterologa (che prevede la donazione dell'ovocita o del seme) che hanno richiesto l'importazione di quasi mille pailettes (fiale) di spermatozoi acquistati prevalentemente da paesi europei. 1611 cicli pari al 25.8% del totale sono stati eseguiti con seme da donatore. Fatti i debiti calcoli solo in 241 procedure è stato usato del seme italiano. “Spedire del materiale biologico come i gameti potrebbe comprometterne la qualità e diminuire i ratei di successo- dichiara all’Agi il professor Sansalone-. Sarebbe opportuno, quindi, incentivare la donazione tra italiani magari prevedendo un risarcimento in servizi o altri tipi di contributi”. A questi si devono aggiungere le circa 10 mila coppie che ogni anno si recano all'estero per effettuare un trattamento di fecondazione assistita. Il generale calo della fertilità accusato in tutti i paesi occidentali ha fatto decollare quella che all'estero si sta trasformando in una vera e propria industria. Le banche più importanti si trovano in Danimarca (Cryos): serve oltre 100 paesi, il sito web è tradotto in 19 lingue, spediscono il seme ad aziende pubbliche e private ma anche a coppie o donne single che ne facciano richiesta e con litri di seme è possibile far nascere oltre 5000 bambini. Cryos si avvale di un pool stabile di circa 700 donatori selezionati per caratteristiche fisiche e stato di salute rigorosamente monitorato.

Numeri in crescita

A Copenhagen c'è la European Sperm Bank i cui donatori hanno tra i 18 e i 40 anni e devono aver ottenuto una sorta di certificazione di qualità del seme che ha solo un uomo su 20, seguono Spagna, Belgio, Repubblica Ceca ed Austria. In alcuni casi la coppia sa ben poco delle procedure di selezione dei donatori, i criteri di conservazione e le modalità di quel delicato materiale in cui ripongono tutte le loro speranze. “In crescita continua – riferisce iO Donna -. Gli italiani che scelgono la fecondazione assistita eterologa, e quindi devono ricorrere a un donatore o una donatrice esterni alla coppia per gli spermatozoi o gli ovociti, sono in aumento: lo ha sottolineato anche l’ultimo Rapporto sulla Procreazione Medicalmente Assistita (Pma) del ministero della Salute, rivelando come l’incremento del numero di coppie trattate e di bimbi nati sia dovuto proprio al “boom” di procedure eterologhe. Basta dare un’occhiata ai numeri: i dati più aggiornati dicono che in un solo anno, dal 2015 al 2016, le coppie che hanno scelto l’eterologa sono passate da poco più di 2400 a oltre 5400 e i cicli effettuati sono aumentati del 123 per cento. I neonati erano 601 nel 2015, sono stati ben 1457 l’anno dopo (il 10, 7 per cento dei 13582 bimbi nati con la Pma)”. Una tendenza inarrestabile, sottolinea il settimanale, che prosegue ancora oggi e che potrebbe aumentare grazie alla recente “apertura” verso l’eterologa del Consiglio di Stato, che a giugno ha recepito le direttive europee per la donazione dei gameti, ponendo dei paletti all’impiego: limiti sull’età dei donatori, per garantire gameti “giovani”, e sul numero di donazioni di ovociti e spermatozoi di ciascuno, per limitare il numero di bimbi che condividono, senza saperlo, il patrimonio genetico dei donatori.

Cosa sta cambiando

“Qualcosa si muove anche sul versante dei centri pubblici che offrono l’eterologa: al Niguarda di Milano, per esempio, sono già oltre sessanta le coppie in lista d’attesa dopo l’avvio della “banca” dove sono conservati ovociti e spermatozoi da donatori esteri, nata per facilitare le coppie nella ricerca dei gameti- evidenzia iO Donna-.Perché l’ostacolo più grande è proprio questo: i gameti in Italia scarseggiano perché finora mancavano le donazioni. È vero al maschile, visto che si ricorre a spermatozoi “stranieri” nel 75 per cento dei casi, ma è una realtà drammatica al femminile: il 96 per cento degli ovociti per le eterologhe arriva dall’estero”. Lo hanno spiegato gli esperti riuniti per l’ultimo congresso Cecos Italia, secondo cui i gameti femminili italiani oggi sono per lo più quelli in sovrannumero ottenuti da pazienti sottoposte a cicli per Pma: spesso donne over 35 e con ovociti che non garantiscono i migliori risultati, possibili con quelli raccolti nelle under 25. Ne consegue che quasi sempre ci si rivolge a cliniche straniere, con un aumento dei costi e delle difficoltà: in Italia la tariffa convenzionale per l’eterologa in quasi tutte le Regioni oscilla fra i 1500 e i 4 mila euro, ma visti gli ostacoli nel trovare i gameti chi può permetterselo va in Spagna o in Grecia. “Le donne italiane non sanno molto della donazione degli ovociti e quindi non si offrono per farla- sostiene Marco Filicori, presidente di Cecos Italia-. Temono, per esempio, che comprometta la fertilità, mentre non è assolutamente così; anzi, gli esami a cui è obbligatorio sottoporsi aiutano a conoscere in giovane età qual è la propria riserva ovarica, consentendo di correre ai ripari se il potenziale di fertilità è scarso. Anche la paura della procedura andrebbe smorzata: oggi non c’è più rischio di iperstimolazione ovarica (la risposta abnorme delle ovaie ai trattamenti per produrre parecchi ovociti) ed è un metodo sicuro. Certo richiede tempo ed è fastidioso, visto che per dieci giorni ci si deve iniettare i farmaci per stimolare le ovaie e fare ecografie di controllo, e sottoporsi poi al prelievo in day hospital, sotto anestesia”.

La questione dei costi

Secondo molti esperti sarebbe opportuno un rimborso spese: “Una cifra di 800 – 1000 euro, come quella erogata in Spagna, sarebbe adeguata a ripagare le donne dei disagi sopportati. Non dobbiamo incentivare un mercato dei gameti, ma neppure ignorare che chi dona intraprende un percorso non banale per aiutare altre donne”, puntualizza Filicori al settimanale. Sarebbe sbagliato, però, credere che le donazioni di ovociti non decollino solo per le criticità cliniche o perché non c’è un rimborso. Uno dei motivi principali è la mancanza di informazione: tante non sanno che si può fare, in che cosa consiste. Qualcosa potrà cambiare adesso con il recepimento della direttiva europea, che fra le altre cose regolamenta gli esami e i requisiti per diventare donatori di gameti. Dichiara a iO Donna Antonino Guglielmino, presidente della Società Italiana di Riproduzione Umana: “L’Italia doveva recepirla già dal 2010, ma in quell’anno la fecondazione eterologa era ancora vietata dalla Legge 40/2004 (è diventata legale con la sentenza 162/2014 della Corte Costituzionale) e così la parte relativa alle donazioni non fu acquisita. Senza questo passaggio, nel nostro Paese era impossibile fare campagne di informazione, qualificare chi potesse essere donatore di gameti e perciò era anche inutile discutere di rimborsi”. Con queste premesse era difficile garantire un accesso equo all’eterologa: infatti, pur essendo stata inserita nei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza nel 2017, a due anni di distanza molte Regioni non hanno ancora percorsi realmente accessibili tramite il Servizio Sanitario pubblico. “Regioni che non hanno problemi di bilancio li hanno previsti con le loro risorse ma molte altre, specialmente al Sud, non possono farlo e sono in attesa dell’erogazione dei finanziamenti ministeriali. Nei fatti, quindi, non tutti possono sottoporsi davvero all’eterologa”, aggiunge Guglielmino.

Ostacoli e opportunità

Il terzo ostacolo per le coppie, dopo la carenza di donatori e i difficili accessi tramite il Servizio Sanitario? La mancanza di linee guida cliniche condivise, che garantiscano a tutti lo stesso livello di prestazione. “Ci stiamo arrivando, e anche questo aiuterà a rendere meno “straordinaria” la Pma, a vederla come un normale atto medico da garantire a chi vuole un figlio e per qualche motivo non riesce ad averlo”, dice il medico al settimanale Rcs. Nel panorama dell’eterologa non ci sono però solo ostacoli da superare. Grazie alla tecnologia, soprattutto, accanto alle ombre ci sono molte luci. Le procedure di gestione degli ovociti donati sono sempre più efficienti ed efficaci, per esempio: grazie alle tecniche di vitrificazione che non provocano la formazione di cristalli durante il congelamento, i gameti femminili si conservano meglio, aumentando le chance di fecondazione una volta scongelati. Fondamentale per la riuscita della Pma eterologa è anche il netto miglioramento degli esiti del trasporto del materiale genetico dall’estero, vista la carenza di “scorte” italiane che costringe molte coppie a importare ovociti, spermatozoi o direttamente gli embrioni: “L’uso di furgoni equipaggiati con azoto liquido consente un monitoraggio migliore della temperatura rispetto al trasporto aereo in vapori di azoto. E questi accorgimenti migliorano l’esito finale della intera operazione”, puntualizza Filicori. “Le tecniche più innovative di congelamento sono state sviluppate nel nostro Paese, all’avanguardia anche per l’impiego delle blastocisti, che sta consentendo di aumentare i tassi di gravidanza: si tratta di embrioni che hanno cinque anziché tre giorni di vita, sono perciò in uno stadio di sviluppo più avanzato e quindi sono stati più “selezionati” e danno un risultato positivo con maggior probabilità. Non tutti gli embrioni di tre giorni progrediscono, così se li trasferiamo in utero a quello stadio rischiamo di perderne molti; aspettando altri due giorni siamo certi di usare embrioni migliori, ma servono accortezze specifiche che non ancora tutti i Centri offrono. Per esempio, gli incubatori con telecamere speciali per seguire lo sviluppo embrionale dall’esterno, senza doverli estrarre e sottoporre così a stress che possono comprometterne la qualità”. La tecnologia può quindi molto, ma resta il fatto che una delle variabili tuttora più rilevanti per la probabilità di successo di un intervento è l’età della donna: la qualità genetica degli ovociti diminuisce col tempo. Osserva Filicori al supplemento del Corriere della Sera: “A quarant’anni ci sono più ovociti anomali che in perfetta salute. Anche per questo garantire l’accesso all’eterologa con ovociti donati da donne giovani può fare la differenza”.

La questione anagrafica

Pure la capacità di portare avanti la gravidanza scende con gli anni, per cui chi vuole un figlio non dovrebbe mai rimandare troppo: lo sottolinea anche lo Studio Nazionale Fertilità, presentato di recente dal Ministero della Salute, che mostra come tantissimi giovani non sappiano quando e come la fertilità inizia a declinare. Perché la maggioranza dice di volere un figlio entro i trent’anni, ma poi pensa (a torto) che anche a 35 o 40 anni le chance restino alte. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: tante coppie rimandano, ma poi le culle restano vuote. Uno degli aspetti della legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita, che è stato modificato negli ultimi anni, riguarda l’esame del Dna dell’embrione, prima dell’impianto in utero. Chi si sottopone a una fecondazione medicalmente assistita può richiedere l’esecuzione della diagnosi per identificare, con un’accuratezza del 99 per cento, le alterazioni genetiche prima dell’impianto in utero dell’embrione: “Si evita di trasferire embrioni che non attecchirebbero, verrebbero abortiti o darebbero luogo a bimbi con malattie molto gravi, e si riduce il ricorso all’aborto terapeutico”, precisa a iO  Donna Claudia Livi del Centro Demetra di Firenze. La diagnosi preimpianto sull’embrione aiuta a ridurre gli aborti spontanei, perché gli embrioni con anomalie non vengono trasferiti. Inoltre, se l’embrione che si impianta è già stato selezionato tra quelli sani, non ha senso rischiare una gravidanza gemellare, più complicata. Dal 2015 accedono alla diagnosi preimpianto anche le coppie fertili portatrici di malattie genetiche, non solo quelle sterili. Per loro, però, la diagnosi non è coperta dal Servizio Sanitario Nazionale né è inserita nei LEA (i livelli essenziali di assistenza, che lo Stato è tenuto a erogare a tutti i cittadini). Il costo dell’esame può andare dai 4mila ai 1500 euro, secondo le richieste. Solo la Toscana ha stabilito un ticket massimo di 500 euro. La biopsia allo stadio di blastocisti, al quinto giorno di sviluppo, non danneggia l’embrione; è importante però che l’embriologo sia esperto, perché se si prendono poche cellule potrebbero non bastare alla diagnosi, se sono troppe può diminuire la percentuale di nati vivi. L’esame ha una affidabilità del 99 per cento, ma si consiglia comunque di eseguire una villocentesi o una amniocentesi di conferma. La diagnosi preimpianto rileva emofilia A e B, beta-talassemia, distrofia muscolare di Duchenne e Becker, fibrosi cistica, sindrome X Fragile, atrofia muscolare spinale sono alcune tra le più frequenti malattie che dipendono da un solo gene alterato e che questo esame può individuare. “Il primo passo importante è testare l’affidabilità della struttura: i centri seri hanno interesse a pubblicare (magari già sul sito) i dati che ne accreditano il lavoro – attesta il settimanale Rcs -. Una coppia che chiede la Pma perché fertile ma portatrice di malattie genetiche, deve verificare i dati relativi alla percentuale di embrioni che arrivano allo stadio di blastocisti (numero che dipende dall’età materna); di impianto delle blastocisti sottoposte a biopsia (sopra il 40 per cento); della percentuale di gravidanze sui trattamenti eseguiti, (oltre i 43 anni, almeno il 35 per cento) e i dati della loro esperienza nella vitrificazione e nelle biopsie.

Un uomo su venti

Le banche del seme italiane conservano per la maggior parte campioni raccolti come `polizza´ per il futuro procreativo del proprietario, quando ad esempio, in previsione di terapie oncologiche, voglia preservare spermatozoi sani. Nel 2016 in Italia sono stati eseguiti 2993 cicli di fecondazione eterologa (che prevede la donazione dell'ovocita o del seme) che hanno richiesto l'importazione mille fiale di spermatozoi acquistati prevalentemente da paesi europei. 1611 cicli (pari al 25.8% del totale) sono stati eseguiti con seme da donatore.  Solo in 241 procedure è stato usato seme italiano. Spedire gameti può comprometterne la qualità e diminuire la percentuale di successo. 10 mila coppie italiane ogni anno si recano all'estero per la fecondazione assistita. Le banche di gameti più importanti si trovano in Danimarca (Cryos): serve oltre 100 paesi, il sito web è tradotto in 19 lingue, spediscono il seme ad aziende sanitarie pubbliche e private ma anche a coppie o donne single. Ha 700 donatori selezionati per caratteristiche fisiche e stato di salute.  A Copenaghen c'è la European Sperm Bank i cui donatori hanno tra i 18 e i 40 anni e devono avere una certificazione di qualità del seme che ottiene solo 1 uomo su 20. Dopo la Danimarca, i paesi con più banche dei gameti sono: Spagna, Belgio, Repubblica Ceca ed Austria. Con un lito di seme  è possibile far nascere oltre 5000 bambini. 5 milioni: gli italiani colpiti da infertilità maschile. Nel 75% dei casi le cause sono sconosciute. Il 14% dei 18enni ha un volume testicolare ridotto. Al 35% degli italiani è impossibile la fecondazione naturale. Le cause: genetiche, congenite, malattie, esposizione a fattori ambientali alterano la qualità e quantità degli spermatozoi impedendo il concepimento.  L'alternativa è ricorrere al seme di un donatore ed è costa costosa per motivi di importazione. L'Italia ha un numero bassissimo di donatori di sperma. In Italia (al contrario dell’estero) la donazione di gameti e del seme maschile deve essere un atto volontaristico e gratuito. Il 95% dei gameti maschili viene acquistato all’estero e solo il 5% è di italiani. Nei paesi anglosassoni il rimborso per ogni donazione raggiunge i 2 mila euro.