La Chiesa: madre dal cuore aperto sul mondo intero

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I flussi migratori dei nostri giorni sono espressione, secondo papa Francesco, di un fenomeno complesso e articolato, la cui comprensione esige l’analisi attenta di tutti gli aspetti che caratterizzano le diverse tappe dell’esperienza migratoria, dalla partenza all’arrivo, incluso un eventuale ritorno. La Chiesa senza frontiere, madre di tutti, diffonde nel mondo la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, secondo la quale nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare. Se vive effettivamente la sua maternità, la comunità cristiana nutre, orienta e indica la strada, accompagna con pazienza, si fa vicina nella preghiera e nelle opere di misericordia.

A proposito di diritti e doveri, l’enciclica “Pacem in terris” non trascura il “crescente fenomeno della migrazione”. Mentre il numero 12 reitera il diritto di migrare, i numero 57 e 58 trattano la questione dei profughi politici. Si tenga presente che nel contesto storico in cui veniva elaborata l’enciclica, la normativa internazionale riguardante le migrazioni abbracciava la definizione del rifugiato come persona che ha attraversato il confine internazionale in seguito a un fondato timore della persecuzione nei paesi del blocco URSS. Superando un contesto giuridico quanto mai riduttivo, la PT considera tutti i profughi politici come titolari di diritti e di libertà alla pari dei cittadini. Con una tale apertura segnalava alla comunità internazionale la necessità di ampliare il raggio della protezione internazionale – ossia di attribuire lo status di rifugiato – alle persone che fuggono da tutti i regimi politici dittatoriali e autoritari. Nell’odierno contesto di massicci flussi misti di migranti e profughi l’insegnamento di Giovanni XIII viene così ad assumere un nuovo significato. Di questa valenza se ne fa portatore, in particolare, papa Francesco. Il suo invito di aprire le braccia alle persone vulnerabili in movimento – accogliendo, proteggendo, promovendo e integrando i migranti e i rifugiati bisognosi – ne è una chiara conferma e attraversa come un filo rosso tutto il suo magistero. Tra gli ultimi documenti pastorali elaborati sotto la guida di papa Francesco vale la spesa menzionare gli Orientamenti sulla Pastorale Migratoria Interculturale, testo predisposto dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero Vaticano per lo Sviluppo Umano Integrale.

Gli Orientamenti avanzano alcune proposte relativamente alla pastorale nei contesti multietnici, traducendo in maniera concreta l’invito del Pontefice – suggerito nella Fratelli tutti – a far crescere una cultura dell’incontro. In effetti, la Chiesa allarga le sue braccia per accogliere tutti i popoli, senza distinzioni e senza confini e per annunciare a tutti che «Dio è amore» (Gv 4,8.16). Dopo la sua morte e risurrezione, Gesù ha affidato ai discepoli la missione di essere suoi testimoni e di proclamare il Vangelo della gioia e della misericordia. Nel giorno di Pentecoste, con coraggio ed entusiasmo, essi sono usciti dal Cenacolo; la forza dello Spirito Santo ha prevalso su dubbi e incertezze e ha fatto sì che ciascuno comprendesse il loro annuncio nella propria lingua; così fin dall’inizio la Chiesa è madre dal cuore aperto sul mondo intero, senza frontiere. Quel mandato copre ormai due millenni di storia, ma già dai primi secoli l’annuncio missionario ha messo in luce la maternità universale della Chiesa, sviluppata poi negli scritti dei Padri e ripresa dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

I Padri conciliari hanno parlato di Ecclesia mater per spiegarne la natura. Essa infatti genera figli e figlie e «li incorpora e li avvolge con il proprio amore e con le proprie cure» (Lumen Gentium) Oggi tutto questo, secondo papa Francesco, assume un significato particolare. Infatti, in un’epoca di così vaste migrazioni, un gran numero di persone lascia i luoghi d’origine e intraprende il rischioso viaggio della speranza con un bagaglio pieno di desideri e di paure, alla ricerca di condizioni di vita più umane. Non di rado, però, questi movimenti migratori suscitano diffidenze e ostilità, anche nelle comunità ecclesiali, prima ancora che si conoscano le storie di vita, di persecuzione o di miseria delle persone coinvolte. In tal caso, sospetti e pregiudizi si pongono in conflitto con il comandamento biblico di accogliere con rispetto e solidarietà lo straniero bisognoso.