Le palme al posto dei fucili

domenica delle palme
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La ricorrenza delle Palme coincide quest’anno con il premio conferito da In Terris a protagonisti del dialogo e dell’impegno umanitario. Il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, il prefetto Vittorio Rizzi, i medici dell’associazione “Generation Aid” e la professoressa Sabina Venarini dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. La solennità odierna è stata posta sotto il segno della misericordia da papa Francesco al quale esprimiamo la nostra filiale e devota gratitudine con l’augurio di una rapida guarigione in questo momento di prova.

Nella settimana Santa, che ci conduce alla Pasqua, sentiremo il disprezzo dei capi del suo popolo e i loro inganni per farlo cadere. Assisteremo al tradimento di Giuda, uno dei Dodici, che lo venderà per trenta denari. Vedremo il Signore arrestato e portato via come un malfattore; abbandonato dai discepoli; trascinato davanti al sinedrio, condannato a morte, percosso e oltraggiato. Sentiremo che Pietro, la “roccia” dei discepoli, lo rinnegherà per tre volte. Sentiremo le urla della folla, sobillata dai capi, che chiede libero Barabba, e Lui crocifisso. Lo vedremo schernito dai soldati, coperto con un mantello di porpora, coronato di spine. E poi, lungo la via dolorosa e sotto la croce, sentiremo gli insulti della gente e dei capi, che deridono il suo essere Re e Figlio di Dio. “Questa è la via di Dio, la via dell’umiltà. E’ la strada di Gesù, non ce n’è un’altra. E non esiste umiltà senza umiliazione – insegna il Pontefice -. Pensiamo a quanti per il loro comportamento fedele al Vangelo sono discriminati e pagano di persona. I martiri di oggi non rinnegano Gesù e sopportano con dignità insulti e oltraggi”.

Mai quanto in tempo di guerra le palme sono l’opposto dei fucili. E la misericordia il contrario della deriva bellica. Nel definire l’essenza della Chiesa e il suo mandato, il numero introduttivo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, la definisce in poche e dense parole, quando afferma che essa «è in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». Ecco la sfida e l’opportunità della Domenica delle Palme. La Chiesa, che non potrebbe sussistere se non nella comunione con Cristo, suo Signore e sposo, scaturisce dal disegno e dall’opera della Trinità, come i numeri seguenti si affrettano a mostrare, e dell’unità di Dio deve essere il riflesso e il segno visibile. Ora, tale unità, come avviene nella stessa vita trinitaria, si realizza nell’amore. Della misericordia divina, quindi, la Chiesa deve essere l’annunciatrice e prima ancora la trasparente ricettrice, essa che è stata generata dall’effusione pasquale dello Spirito, che è l’amore stesso di Dio. L’amore è dunque la prima, e in fondo l’unica, vocazione della Chiesa, come Gesù stesso ha insegnato proclamando il comandamento della carità. Solo attraverso l’amore, infatti, essa può realizzare il suo compito di essere strumento di unità per il genere umano.

La solennità delle Palme ci richiama all’urgente necessità di vivere la carità in ogni momento, facendo di essa il motivo propulsore di ogni iniziativa ecclesiale, e il parametro di verifica di ogni attività pastorale. È questa consapevolezza che ha spinto Francesco a indire un Anno Santo straordinario, e a caratterizzarlo, per straordinaria intuizione, con un tema specifico, a differenza dei precedenti. La solennità delle Palme richiama allora la misericordia di Dio, grazie alla quale possiamo vivere con speranza, ci spinge a verificare se viviamo o meno noi stessi secondo misericordia, e ci porta a ripensare a tutto il vivere ecclesiale, in modo che divenga uno specchio, quanto più possibile terso, capace di riflettere l’amore ricevuto. Celebrare le Palme come festa della misericordia e dell’umiltà si colloca nella linea del Concilio e ne incentiva l’accoglienza e l’attualizzazione. Solo una Chiesa che pone al centro la misericordia, infatti, può essere veramente se stessa, e riscoprendo la centralità dell’amore potrà farsi vera promotrice di unità in un mondo sempre più diviso.

Tale unità, essa deve realizzarla anzitutto al suo interno, per poterla testimoniare credibilmente e diffondere nella società e tra i popoli. Di questo era ben consapevole Giovanni XXIII il quale, anche grazie al suo trascorso di diplomatico, ha sollecitato e accresciuto la sensibilità ecumenica, riflessa nella “Unitatis Redintegratio”, oltre al desiderio di incontro e dialogo con le religioni non cristiane, espresso nella Nostra Aetate. Ora, in linea con i suoi predecessori, e anzi accentuando tale desiderio di comunione e di incontro, nel tentativo di creare unità e fraternità, Francesco compie gesti significativi e fecondi, come lo storico incontro con il patriarca russo Kirill, oltre ai numerosi incontri con i rappresentanti di altre religioni. Un ramoscello di ulivo più potente di qualunque arma.