Fondamentalismo islamico: sos carceri

"Il personale penitenziario è coinvolto in una guerra non sua da settori di popolazione carceraria straniera che dà segni evidenti di sfida allo Stato", avverte Aldo Di Giacomo, segretario S.Pp.

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Il fondamentalismo islamico “è il vero nemico della società, è un pericolo”, ha detto il presidente della conferenza degli Imam di Francia, Hassen Chalghoumi dopo l’attentato alla Tour Eiffel a Parigi. L’Imam è noto per le sue posizioni moderate e da sempre in favore del dialogo interreligioso. E ha lanciato un forte appello “all’unità di tutti per combattere questo flagello“. Per lui, “la radicalizzazione è come un cancro: ci sono certe fasi in cui si può ancora trattare, ma dopo no. Quando sono determinati a passare all’azione è finita”, ha avvertito Chalgoumi. L’allarme-fondamentalismo è particolarmente grave nelle carceri. “Se non bastassero le aggressioni quotidiane, gli agenti della polizia penitenziaria devono da tempo prepararsi a fronteggiare altre emergenze. E ulteriori pericoli-avverte Aldo Di Giacomo, segretario S.Pp.-. Come i sequestri di persona ad opera di detenuti sempre più violenti, specie stranieri“. Per esempio, aggiunge Di Giacomo, “nel carcere fiorentino di Sollicciano un nostro collega è stato sequestrato da un gruppo di detenuti di origini africane. Già noti per comportamento ed atteggiamenti violenti. La situazione ha superato ogni limite di sopportazione“.
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Fondamentalismo in carcere

Secondo il segretario del sindacato del Corpo di Polizia Penitenziaria (S.Pp.), “il personale penitenziario è coinvolto in una guerra non sua da settori di popolazione carceraria straniera che dà segni evidenti di sfida allo Stato italiano. Anche perché convinta di non aver più nulla da perdere. Di rimare impunita. E comunque di non essere rimpatriata nel Paese di origine“. Aggiunge il leader sindacale: “Nel 2022, nelle carceri di tutta Italia, risultano presenti 17.840 cittadini stranieri. Corrispondono al 31,8% dell’intera popolazione detenuta. I più numerosi sono proprio i marocchini (oltre 3500, quasi il 20%). Seguiti dai romeni (più di 2mila, 12%), albanesi (1900, 10,5%) e tunisini (1800, 10%). Rispetto a inizio 2022 sono aumentati di 811 unità che corrispondono a un tasso di crescita del 4,7%. Le concentrazioni più elevate si riscontrano nel Centro-Nord Italia, in particolare in Trentino Alto Adige (62,4%), Valle d’Aosta (60,6%) Liguria (55,8%) Veneto (51,3%), Emilia Romagna (48%), Toscana (46,6%) e Lombardia (45,9%)”.

Gestione

“Questi numeri – afferma Di Giacomo – evidenziano che la detenzione della popolazione carceraria straniera va gestita. Con mezzi, strumenti e soprattutto personale specifico. In troppi casi non si conoscono nemmeno le autentiche generalità e provenienza. L’assenza di traduttori è il primo problema. Con il personale penitenziario in grande difficoltà soprattutto di fronte ai continui fenomeni di fondamentalismo. Manifestazioni di radicalismo islamico che sfociano in atti di ribellione e protesta. Oltre alle gang di mafia nigeriana (oltre il 7% dei detenuti stranieri sono nigeriani) che sono un pericolo dentro e fuori le carceri. Per il segretario del S.Pp., le misure da mettere in campo sono decisamente più complesse e urgenti. A partire dall’attuazione dei trattati con gli Stati Africani per il rimpatrio di criminali nei propri Paesi di origine“. La radicalizzazione jihadista in carcere è definita da Francesco Marone (Ispi) “una questione critica in tutta Europa, e non solo”.
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Limitazioni

Una delle principali preoccupazioni è costituita dal rischio – purtroppo già tramutatosi più volte in realtà – che soggetti radicalizzati possano indottrinare e mobilitare altri detenuti “comuni”. In effetti, aggiunge l’Istituto per gli studi di politica internazionale, l’esperienza della reclusione può persino diventare una sorta di opportunità per proseguire la propria “lotta” estremistica. Facendo, per così dire, di necessità virtù. “In generale, i processi di radicalizzazione possono chiaramente essere favoriti in un contesto particolare come quello carcerario – analizza Marone-. Un contesto che spesso è già caratterizzato da frustrazioni e risentimenti personali. Condizioni di vulnerabilità ed emarginazione sociale. Rigidi vincoli e limitazioni istituzionali”. Sono varie le motivazioni che possono innescare una trasformazione dei sistemi di credenze e dei comportamenti di un detenuto. Incluso un processo di radicalizzazione jihadista. carceri

Motivazioni

Tra le motivazioni c’è la ricerca di significato  e identità. Oltreché il desiderio di sfidare le autorità o il sistema in generale. Ma anche un bisogno di protezione fisica. “I problemi di carattere organizzativo in prigione possono aggravare i rischi di radicalizzazione- avverte Marone-. Tali criticità possono interessare tutti i detenuti in generale. Ad esempio, sovraffollamento, carenza di risorse umane e finanziarie. Ma anche – per quanto in modo non intenzionale – i detenuti musulmani nello specifico. Tanto più se stranieri. Per esempio, eventuali limiti nella preparazione culturale del personale penitenziario. O difficoltà nella gestione delle esigenze legate alla pratica religiosa”. Il problema della radicalizzazione jihadista in carcere riguarda l’Italia su scala minore rispetto ad altri Paesi dell’Europa occidentale come la Francia e il Regno Unito. Prendendo in considerazione i Paesi di origine, è possibile stimare che più di un detenuto su cinque sia di fede musulmana.
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Monitoraggio

Il monitoraggio di detenuti associati al rischio di radicalizzazione jihadista sulla base di tre distinti “livelli di analisi”. Il “primo livello raggruppa i soggetti per reati connessi al terrorismo internazionale e quelli di particolare interesse per atteggiamenti che rilevano forme di proselitismoradicalizzazione e/o di reclutamento”. Il secondo livello raggruppa i detenuti che all’interno del penitenziario hanno posto in essere atteggiamenti che fanno presupporre la loro vicinanza alle ideologie jihadista e, quindi, ad attività di proselitismo e reclutamento. Il terzo livello raggruppa quei detenuti che meritano approfondimento per la valutazione successiva di inserimento nel primo o secondo livello ovvero il mantenimento o l’estromissione dal terzo livello. L’individuazione di un processo di radicalizzazione jihadista costituisce il primo strumento utile per l’attività di prevenzione. Tramite l’applicazione di diverse misure specifiche. Tra queste misure particolare rilievo ha assunto l’espulsione dal territorio nazionale. Nonostante il fatto che gran parte dell’attuale discorso sulle carceri e la radicalizzazione sia generalmente negativo, le carceri non rappresentano solo una minaccia. Infatti, possono offrire un contributo positivo nell’affrontare i problemi dell’estremismo violento nella società nel suo complesso.