Immunologo Le Foche: “Prima della pandemia c’era eccessiva promiscuità”

I rischi della Fase 2 e le strategie terapeutiche per fronteggiare il Covid-19. L'analisi dell'immunologo clinico Francesco Le Foche, responsabile del Day hospital di Immunoinfettivologia del Policlinico Umberto I di Roma

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“Prima del lockdown e di questa pandemia eravamo arrivati ad un eccesso di promiscuità: i tavoli al ristorante erano troppo vicini l’uno con l’altro, così come al mare la miriade di sdraio quasi attaccate non ci permettevano quasi di arrivare alla battigia. Tutto era diventato eccessivo”. L’unica arma efficace contro il Covid-19, secono la comunità scientifica, è il vaccino. Ma un ausilio alla cura può arrivare dal plasma dei convalescenti. “L’eradicazione di alcune malattie infettive, come il vaiolo, la difterite o la poliomielite, è frutto dei vaccini, vero baluardo della salute pubblica: quello contro il coronavirus probabilmente arriverà tra un anno, al momento ci sono circa settanta studi che stanno andando nella direzione giusta. Nel frattempo credo che anche la terapia con il plasma iperimmune, ricco di anticorpi neutralizzanti possa essere un ottimo ausilio terapeutico nelle sindromi acute da Sars-CoV-2″, sottolinea a Dire il professor Francesco Le Foche, responsabile del Day hospital di Immunoinfettivologia del Policlinico Umberto I di Roma.

Percentuale di mobilità

Aggiunge l’immunologo clinico: “L’indice R0, ormai da più di tre settimane, tende ad essere inferiore ad 1. Se i comportamenti dei cittadini si mantengono responsabili anche in questa fase 2, allora, è molto improbabile che ci sia un aumento dei contagi. Il problema della riapertura è stato affrontato in termini di percentuale di mobilità e finora questo non mi pare abbia fatto aumentare i contagi. Il rischio ovviamente c’è, ma è inversamente proporzionale ai nostri comportamenti, che dovranno continuare ad essere responsabili. Per passare attraverso la cruna dell’ago dobbiamo aumentare il diametro della cruna, ma questo possiamo farlo soltanto con atteggiamenti virtuosi. Per vedere gli effetti dovremo aspettare altre due settimane, però sono fiducioso. Una cosa è certa: dobbiamo accettare di convivere con un minimo di rischio“.

Responsabilità

Secondo l’immunologo, il lockdown ha restituito “risultati fantastici dal punto di vista della diminuzione dei contagi” e da quando il 4 maggio lo Stato “ha dato ad ogni singolo cittadino la possibilità di gestire la propria salute“, osserva il professor Le Foche, “ci siamo comportati molto bene. Nel Lazio, in particolare, abbiamo dimostrato una responsabilizzazione vera nei confronti della salute pubblica, interpretando bene il concetto di nazione civile che tiene alla salute pubblica come bene superiore”.

Ristrutturazione

Se nelle prossime settimane manterremo un giusto comportamento, per Le Foche avremo “l’opportunità di vivere una buona estate, non vincolata eccessivamente dal Coronavirus”. In generale, questo nuovo virus potrebbe essere anche alla base di “un nuovo rinascimento sociale e di una ristrutturazione del sistema sanitario nazionale: se vogliamo trovare un lato positivo dell’epidemia che l’Italia ha attraversato, sicuramente è proprio quello della rinascita“. Nel Lazio, intanto, dal 25 maggio riapriranno gli ambulatori territoriali e ospedalieri ai quali potranno fare accesso i pazienti solo dopo un triage telefonico e con prenotazioni distanziate. “La loro riapertura è fondamentale – spiega a Dire l’immunologo dell’Umberto I-. In questi mesi abbiamo dovuto necessariamente mettere un po’ in disparte la medicina ordinaria, fatta però di patologie che possono avere acuzie importanti se non curate. Penso alle malattie infiammatorie croniche, ma anchea quelle neoplastiche o cardiovascolari”.
Durante l’epidemia, precisa Le Foche, c’è stato “un
aumento di morti per infarto e una diminuzione di prestazioni nei
vari Dea (Dipartimenti emergenza accettazioni), questo
perché le persone non andavano nei Pronto soccorso per evitare il contagio da Covid-19, spesso sottovalutando sindromi
stenocardiche che poi si rivelavano infarti. Adesso dobbiamo far
capire alle persone che la medicina ordinaria resta e che ci
occupiamo di tutte le malattie, non solo del Covid-19. Con gradualità le sale d’attesa dei Dea cominciano a ripopolarsi, anche se molto meno rispetto a prima, ma per mesi in questi dipartimenti abbiamo assistito all’assenza completa di pazienti con altre patologie“.