Hong Kong, protesta di massa contro l'extradition bill

Era da diversi anni che non si assisteva a una mobilitazione così a Hong Kong, dove centinaia di migliaia di persone si sono messe in marcia contro le autorità, pronte a protestare contro le nuove disposizioni sull'estradizione forzata, decretate da una controversa e discussa legge a tema (sollecitata pare dal governo centrale cinese), contro chiunque sia sospettato dalle autorità di coinvolgimento in attività ritenute criminali. Ufficialmente, la legge dovrebbe riguardare i sospettati di essere autori, partecipanti o connessi a reati molto gravi, soprattutto omicidi e stupri, presenti nella città ma, secondo altri fronti, tra i quali numerose associazioni per i diritti umani e civili, l'estradizione forzata andrebbe a toccare anche altri ambiti, soprattutto quello politico rischiando, secondo i critici, di minare la posizione di semiautonomia di Hong Kong ed esponendo i dissidenti politici alla concreta possibilità di ritorsioni per motivi altri a quelli previsti dalla legge.

Il dissenso

La protesta di Hong Kong non si è fermata nemmeno di fronte alla garanzia, arrivata dal capo esecutivo della città, Carrie Lam, di misure in atto per salvaguardare i dissidenti dall'esposizione al rischio di persecuzioni religiose o politiche e, perciò, anche di estradizione nei territori di giurisdizione cinese. Secondo i contrari alla legge, infatti, l'ex colonia britannica andrebbe a perdere in modo sostanziale parte della sua indipendenza giudiziaria, correndo esattamente il rischio che Carrie Lam ha promesso di voler evitare, tenendo peraltro a precisare che la legge mira a colmare alcune lacune della normativa vigente, consentendo alle autorità locali di decidere caso per caso.

I manifestanti

Le versioni di Lam, a ogni modo, non hanno convinto i detrattori della legge, certi che non vi sarebbero garanzie di processi svolto in modo equo. Anche per questo le strade della megalopoli asiatica sono state popolate dai manifestanti come nei giorni più caldi dei 79 in cui ebbe vita la Rivoluzione degli Ombrelli, nel 2014, quando in ballo c'era la richiesta di un sistema politico che consentisse un suffragio universale e, quindi, la piena democrazia. Stavolta non ci sono ombrelli gialli come 5 anni fa ma vestiti bianchi, sia per difendersi dal caldo che per uniformare il dissenso anche da un punto di vista identificativo, in una protesta che sta coinvolgendo giovani e meno giovani, esponenti della società d'affari della città e del mondo dell'istruzione.