Estudiantes-Milan, una caccia all'uomo chiamata finale

Se due indizi fanno una prova, sarebbe lecito affermare che gli anni Sessanta non hanno di certo portato fortuna alle squadre italiane impegnate in appuntamenti internazionali in Sudamerica. Ma se la battaglia di Santiago ai Mondiali cileni del '62 sarebbe passata alla storia per l'infernale scambio di colpi proibiti fra gli Azzurri e i padroni di casa, quella di Buenos Aires fra Estudiantes e Milan, match di ritorno della finale di Coppa Intercontinentale del 1969, riuscì nell'impresa di creare un pretesto politico per dar sfogo a una delle più incredibili pagine di violenza mai viste su un campo di calcio. Il bersaglio di quella partita risponde ai connotati di Nestor Combin, franco-argentino e attaccante del Milan che, nella partita di andata, segnò una delle tre reti che consentirono ai rossoneri di imporsi per 3-0 sull'Estudiantes dei record di Osvaldo Zubeldia, in quegli anni lì la squadra rivelazione d'Argentina. Discorso praticamente chiuso in vista del ritorno a Buenos Aires che, però, già in quel di Milano non nacque sotto buoni auspici: le prime avvisaglie su ciò che sarebbe toccato alla punta rossonera infatti, considerato un disertore perché, trasferitosi giovanissimo in Francia con i genitori, non aveva svolto il servizio militare nel Paese sudamericano (cosa che fece regolarmente nel suo Paese d'adozione), pare che arrivarono già nei tunnel di San Siro. Frasi che non erano provocazioni ma minacce vere e proprie.

La partita

A Buenos Aires il Milan ci andò con le molle e con la sensazione che il match di Milano, già di per se duro sul piano fisico e della tensione, sarebbe stato in confronto uno zuccherino. Ma gli avvisi di Nereo Rocco e del presidente Carraro servirono solo a tenere alta la guardia dei giocatori, già presi – come racconterà in seguito il mediano Giovanni Lodetti – letteralmente a pallonate durante le foto di rito: dopo una mezz'ora, col Milan in vantaggio (gol di Rivera) e il discorso coppa praticamente in archivio, il povero Combin era già una maschera di sangue e altri giocatori lamentarono di aver ricevuto colpi proibiti in quella che, da partita di calcio, si era trasformata in una vera e propria caccia all'uomo. Vinse l'Estudiantes, che ribaltò il risultato con i gol di Conegliaro e Aguirre Suarez, ma il triplice fischio mise fine solo ai novanta minuti. I giocatori milanisti, senza nemmeno avere l'Intercontinentale in mano (sarebbe stata consegnata nel tunnel per questioni di ordine pubblico), presero la via degli spogliatoi portandosi dietro un Combin massacrato (naso rotto, privo di sensi e zigomo fratturato), al quale non fu risparmiato né l'arresto né la nottata in questura, dove finì per diserzione. Ci vollero parecchie ore prima di poter dimostrare che l'attaccante il suo servizio militare lo aveva regolarmente svolto in Francia. Quindici per l'esattezza, durante le quali venne immortalato mentre, fazzoletto alla mano, cercava di tamponarsi il naso sanguinante. I compagni lo attesero all'aeroporto, rifiutandosi di partire senza di lui. La scena senz'altro più bella, al termine di un giorno di follia.

Le conseguenze

Alla fine, come da mantra comune fra i protagonisti di quella sfida, tutti “portarono a casa la pelle”. Per Rivera, accettare la rissa avrebbe significato non tornare vivi. A Rocco toccò sdrammatizzare al suo arrivo all'aeroporto, dove alla maggior parte dei cronisti era arrivata la falsa notizia della morte in volo di Pierino Prati, vittima di un trauma cranico. La foto del bacio dell'attaccante a sua moglie, scattata al terminal, sarebbe diventata una delle tante immagini passate alla storia. Combin scese dall'aereo malconcio, con un evidente frattura al naso e con l'occhio sinistro gonfio, ma comunque sorridente per la vittoria e per essere tornato a casa ma anche per l'affetto ricevuto dai compagni che non avevano voluto lasciarlo da solo in Argentina. Ai giocatori dell'Estudiantes andò decisamente peggio: tre di loro, il portiere Alberto Poletti e i difensori Aguirre Suarez e Manera, finirono in manette, reclusi per 30 giorni. Il primo verrà, per un periodo, persino radiato dalla federazione argentina. Finì lì, con la storia fatta e un nuovo trofeo in bacheca per il Milan (il primo a livello internazionale) che per alzarlo al cielo dovette tornare in Italia. Solo qui, con un Oceano di sicurezza in mezzo, arrivarono i primi sorrisi e quella leggerezza propria di una squadra che ha vinto la sua sfida.