La profonda attualità dell’enciclica “Humanae vitae”

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In un denso saggio per la Queriniana lo studioso Aristide Fumagalli si interroga sull’enciclica “Humanae vitae”, cosa ha significato davvero il documento di San Paolo VI. E’ stata pietra d’inciampo che ha impedito l’aggiornamento della morale coniugale oppure una pietra di confine che ha stabilito dei limiti invalicabili? Superando l’alternativa che ne ha polarizzato la recezione, oggi possiamo considerare questa fondamentale enciclica bioetica come una pietra miliare. Il suo significato, infatti, non è quello di congelare la dottrina morale della chiesa, ma di orientare il suo sviluppo. Il problema della natalità, accantonato alle assise ecumeniche dal Papa per motivi di opportunità, era rispuntato fuori in termini roventi, e con toni polemici esasperati.

Paolo VI, a quel punto, decise di riaprire la questione, e, per approfondirla, creò due commissioni, l’una di esperti, l’altra di cardinali e vescovi. La Humanae vitae dichiara il nesso indissolubile tra la significazione unitiva e la significazione procreativa dell’atto coniugale. A fronte del privilegio solitamente accordato alla significazione procreativa, si recupera qui il valore della significazione unitiva, mettendo poi in luce come l’integralità dell’amore personale sia penalizzata non solo qualora un atto coniugale includa la contraccezione, ma anche qualora l’atto coniugale sia omesso.

L’invito di Paolo VI alla “paternità responsabile”, della quale gli sposi avrebbero dovuto prendere coscienza, e che, spiegava il Papa, andava esercitata “sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente, od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita”. Parole che invitavano alla responsabilità, a confrontarsi con la propria coscienza.