Una giornata per l’eliminazione della discriminazione razziale

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, l’intervista di Interris.it al direttore generale dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali Mattia Peradotto

Foto di Ohmydearlife da Pixabay

La discriminazione è un comportamento che determina un trattamento non paritario di una persona o di un gruppo sulla base della loro appartenenza ad una certa categoria. Una delle forme più tristemente note e sempre attuali è la discriminazione razziale o di etnica, quando un individuo è trattato in una maniera svantaggiosa, rispetto a un’altra persona in una situazione analoga, per via della sua origine etnica. Il 21 marzo si osserva, ogni anno, la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, istituita dall’Organizzazione delle Nazioni unite nel 1966 per ricordare quello che è passato alla storia come il “massacro di Sharpville”, dal nome della città del Sud Africa dove il 21 marzo 1966 venne scritta una cruenta pagina nel libro della storia dell’apartheid in quel Paese. In quel giorno, mentre era in corso una manifestazione di protesta contro il decreto governativo dello Urban Areas Act, il quale disponeva che i non bianchi dovevano portare con sé documenti che autorizzassero la loro presenza nelle aree riservate ai bianchi, la polizia aprì il fuoco sulla folla di dimostranti. Le vittime furono 69.

L’intervista

In occasione di questa data, Interris.it ha intervistato il coordinatore dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) della Presidenza del Consiglio dei Ministri Mattia Peradotto.

Quali sono le competenze e le funzioni dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali?

L’Unar è l’ufficio deputato dallo Stato italiano a garantire il diritto alla parità di trattamento di tutte le persone, indipendentemente dalla origine etnica o razziale, dalla loro età, dal loro credo religioso, dal loro orientamento sessuale, dalla loro identità di genere o dal fatto di essere persone con disabilità. L’Ufficio è stato istituito nel 2003 (d.lgs. n. 215/2003) in seguito a una direttiva comunitaria (n. 2000/43/CE), che impone a ciascun Stato Membro di attivare un organismo appositamente dedicato a contrastare le forme di discriminazione. L’Unar si occupa di monitorare cause e fenomeni connessi ad ogni tipo di discriminazione, di studiare possibili soluzioni, di promuovere una cultura del rispetto dei diritti umani e delle pari opportunità e di fornire assistenza concreta alle vittime. Inoltre, garantisce l’applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone e contrasta il diffondersi di fenomeni discriminatori, assistendo le vittime, controllando l’efficacia degli strumenti di tutela esistenti e analizzando le forme e le dinamiche di manifestazione del fenomeno. In particolare, raccoglie le segnalazioni e fornisce assistenza concreta alle vittime di discriminazione attraverso il proprio Contact center – uno spazio di ascolto raggiungibile chiamando il numero verde 800 90.10.10, dal lunedì al venerdì, dalle 8:00 alle 17:00 – svolge inchieste sull’esistenza di fenomeni discriminatori nel rispetto delle prerogative dell’autorità giudiziaria, formula raccomandazioni e pareri sui casi di discriminazione raccolti, da rendersi anche in eventuale giudizio, svolge studi, ricerche e attività di formazione su cause, forme e possibili soluzioni del fenomeno discriminatorio, informa il Parlamento e il governo attraverso relazioni annuali sui progressi e gli ostacoli dell’azione anti-discriminatoria in Italia, promuove una cultura del rispetto dei diritti umani e delle pari opportunità attraverso campagne di sensibilizzazione e di comunicazione e progetti di azioni positive, elabora proposte di strategie di intervento su specifici ambiti di discriminazione, volte a garantire un’effettiva integrazione sociale delle categorie interessate. Una parte della raccolta dei casi effettuata dall’Ufficio avviene anche attraverso la costante attività di monitoraggio media e web, ovvero attraverso l’analisi dei contenuti potenzialmente discriminatori provenienti dalla stampa (quotidiani, settimanali, mensili – sia nella versione cartacea che on line –, agenzie di stampa, radio e tv), dai social network e dai social media (Facebook, Twitter, GooglePlus, Youtube, blog e commenti su forum). Inoltre tra le funzioni dell’Ufficio vi è quella, attribuita da mandato istituzionale (art.7, comma 2, lettera e D.Lgs n.215/2003), di redigere dei pareri”.

Quali sono le varie forme che assumono le discriminazioni?

“L’Unar garantisce in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità l’effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, vigila sull’operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni e contribuisce a rimuovere le discriminazioni fondate sulla razza e sull’origine etnica, sull’orientamento sessuale e identità di genere, sull’età, sulla disabilità, sulla religione o convinzioni personali. Il principio di parità di trattamento fra le persone comporta che non sia praticata alcuna forma di discriminazione diretta o indiretta. La discriminazione viene definita come un comportamento – diretto o indiretto – che causa un trattamento non paritario di una persona o di un gruppo di persone, in virtù della loro appartenenza ad una determinata categoria. Si ha una discriminazione diretta quando si agisce per mettere una persona o un gruppo di persone in una situazione o in una posizione di svantaggio oppure quando una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata in un’altra situazione analoga, a causa della sua origine etnica, della religione o convinzioni personali, della sua disabilità, dell’età o del suo orientamento sessuale. Si ha una discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone in ragione della loro origine etnica, della religione o convinzioni personali, della loro disabilità, dell’età o del loro orientamento sessuale. La legge vieta e sanziona, come ulteriori forme di discriminazione, le molestie, che ricorrono ogni qualvolta sia un comportamento indesiderato avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo. Le discriminazioni sono anche multiple e interiezionali”.

Quanti casi  di discriminazione avete registrato?

“Nel 2022 i casi lavorati sono stati complessivamente 3.122, di cui 2.840 pertinenti (il 91% del totale), a fronte di 282 che a seguito dell’analisi iniziale, detta ‘istruttoria’ condotta dagli operatori, sono risultati non di pertinenza (il 9%), non rintracciandosi profili discriminatori. In tale circostanza gli esperti hanno comunque garantito un servizio di orientamento per indirizzare la persona verso soggetti eventualmente deputati ad intervenire in merito alla questione sottoposta all’attenzione dell’Ufficio. Il segmento dei casi non pertinenti, nello specifico, è costituito da segnalazioni relative a persone che hanno denunciato una discriminazione ‘percepita’ ma che in realtà non si è configurata come tale, da coloro che impropriamente si sono rivolti all’Ufficio per questioni del tutto non attinenti alle specifiche funzioni o, anche, da quanti hanno richiesto informazioni in merito al servizio offerto. I canali di rilevazione dei casi si estendono dal monitoraggio realizzato direttamente dal Contact center, a quelli che prevedono un ‘diretto’ coinvolgimento dei soggetti interessati dall’atto discriminatorio o di coloro i quali hanno assistito o sono venuti a conoscenza di un fatto – ovvero le vittime o i testimoni”.

Com’è la tendenza del fenomeno?

“Estendendo l’analisi agli ultimi cinque anni appare subito evidente il trend in aumento del 2022, con un numero di casi pertinenti intercettati dall’Ufficio (2.840) superiore rispetto alla media (1.799 nel periodo 2018-2021). Nella lettura di questi dati occorre precisare che la rilevazione del fenomeno è circoscritta all’attività di raccolta e alle segnalazioni spontaneamente effettuate da singoli individui all’Ufficio. Pertanto i risultati evidenziati non possono considerarsi del tutto esaustivi del fenomeno discriminatorio e dei trend ad esso correlati, sebbene contribuiscano alla sua comprensione soprattutto in merito all’evoluzione delle diverse e nuove forme di espressione che questo può assumere”.

Quali sono nel nostro Paese le principali vittime di discriminazioni razziali?

“Nel 2022 le discriminazioni di matrice etnico-razziale si confermano la quota più rilevante dei casi pertinenti trattati dagli operatori, 1.412 – pari al 49,7% del totale. In particolare la provenienza delle vittime a caratterizzare la maggior parte degli episodi di discriminazione. Il sottoground ‘Straniero’, con 904 casi registrati, si configura infatti come il primo motivo di discriminazione etnico razziale (31,8% del totale), cui segue la condizione di ‘Profugo’ (189, il 6,7%), il ‘Colore della pelle’ (185, il 6,5%) e l’appartenenza alle comunità dei Rom, sinti e caminanti (111, il 3,9%). Tuttavia la composizione dei ground rilevata nell’ultimo quinquennio fa emergere un progressivo ridimensionamento dell’etnico razziale a favore di altri fattori di discriminazione. Un trend riconducibile, in parte, anche all’accresciuta competenza e capacità dell’Ufficio di intercettare ambiti di discriminazione di più difficile emersione. L’incidenza delle discriminazioni etnico razziali sul totale dei casi è scesa dal 62,5% del 2018 al 49,7% del 2022, e, contestualmente, la quota degli episodi di matrice religiosa è salita dal 14,5% al 17,9% nello stesso periodo, mentre per i casi legati all’orientamento sessuale e identità di genere è passata dall’8,2% al 14,3%. Un analogo andamento ha riguardato le discriminazioni riferibili alla disabilità (erano pari al 5,6% nel 2018)”.

Quali altre categorie sono vittime di discriminazioni?

“Nel 2022 emergono in primo luogo gli episodi avvenuti in ragione del credo religioso o delle convinzioni personali (507, pari al 17,9%) e quelli originati dal diverso orientamento sessuale e identità di genere (405, pari al 14,3%). Più contenuto, ma non meno significativo, è il numero di episodi riferibili alla disabilità (338, l’11,9%) e le discriminazioni per età (53, l’1,9%). La quota residuale riguarda invece le discriminazioni che hanno coinvolto più fattori concomitanti, cosiddette multiple (41, l’1,4%) o altri ground (84, il 3%), includendo, quest’ultima categoria, le segnalazioni che pur costituendo casi di discriminazione non rientrano direttamente nell’area di intervento dell’Ufficio come, ad esempio, quelle territoriali o di genere. In particolare l’antisemitismo (272 casi, pari al 9,6%) rappresenta la seconda causa di discriminazione sul totale dei casi trattati. Anche gli episodi che originano dalle convinzioni personali rappresentano una quota significativa (154, pari al 5,4%). Con riferimento agli altri ground, i casi più frequentemente rintracciati riguardano le discriminazioni contro la comunità LGBTQ+ (156, il 5,5%) e quelle legate alle barriere architettoniche (141, il 5%)”.

Ci sono ambienti della società dove episodi di discriminazioni sono più frequenti?

“I dati raccolti dall’Ufficio sono organizzati in base a diversi ambiti e specifici contesti che consentono di inquadrare esattamente la situazione nella quale si verificano gli episodi di discriminazione. L’ambito della vita pubblica risulta quello maggiormente rappresentato, costituendo oltre la metà dei casi complessivamente rilevati, 1.569 (pari al 55,2%). Si tratta, nello specifico, di episodi che si verificano in contesti senza che tra responsabile e vittima vi sia necessariamente in atto un rapporto, ma che si trovano occasionalmente a frequentare, anche non contestualmente, lo stesso spazio. Coerentemente, il 29,9% dei casi ha avuto luogo nel contesto degli spazi pubblici (849), all’interno del quale si collocano sia i casi di episodi avvenuti in luoghi fisici sia quelli che hanno avuto origine sul web e, in particolare, sui social network. Contesti che veicolano molto spesso discorsi e contenuti d’odio. Seguono le scritte xenofobe, rintracciate su muri e manifesti, che, insieme alle scritte omobilesbotransfobiche, costituiscono il 7,4% delle segnalazioni, 211 casi in tutto. Anche le aggressioni raccolgono ben il 6,1% dei casi registrati (174). La salute, con 217 casi (il 7,6% del totale), rappresenta il secondo ambito di discriminazione, ponendo in evidenza una tendenza che ha riguardato in maniera specifica il 2021 ed è proseguita nel primo semestre 2022. Infatti, nell’ambito del piano vaccinale, promosso per far fronte all’emergenza sanitaria, sono stati evidenziati ostacoli di varia natura, riferibili soprattutto alla prenotazione dei vaccini o all’impossibilità di scaricare il green pass da parte di persone in particolari condizioni di vulnerabilità, perché prive di permesso di soggiorno (o con permessi di soggiorno particolari, scaduti o in fase di primo rilascio), codice fiscale (o con codici fiscali numerici/provvisori) o residenza (in particolare persone senza fissa dimora), da cui sono scaturite numerose richieste di intervento al Contact Center. Tali esclusioni hanno riguardato in maniera differenziata le Regioni e i distretti sanitari di riferimento. Complessivamente si contano 175 segnalazioni pertinenti riferibili al contesto delle Asl (pari al 6,2%) che raccolgono in prevalenza tale tipologia di casi, oltre a discriminazioni di altro genere. Molto significativa è anche l’incidenza delle discriminazioni legate all’erogazione di servizi da parte di enti pubblici (171, pari al 6%), cui segue lo sport (213, il 7,5%) che è stato oggetto di una dedicata attività di monitoraggio da parte dell’Unar e che ha confermato la prevalenza di discriminazioni di matrice etnico razziale, soprattutto riferibili al colore della pelle. Emergono poi discriminazioni legate al lavoro (132, il 4,6%), configurandosi principalmente come negato accesso all’occupazione, e quelle relative all’ambito della casa (119, il 4,2%) all’interno del quale si verificano molteplici cause di discriminazione legate all’accesso all’affitto per via di esclusioni operate dai proprietari o dalle agenzie immobiliari, a rapporti con il condominio e il vicinato o all’assegnazione di case popolari riscontrate nei bandi di edilizia pubblica”.

Quanti sono i casi di hate crime e quali sono i numeri dell’hate speech online? Come procede il contrasto al discorso d’odio?

“Nel 2022 si contano complessivamente 1.047 casi relativi all’hate crime, pari al 36,9% del totale. E’ continuato nel corso dell’ultimo anno il costante impegno nel contrasto all’hate speech, portato avanti tramite il monitoraggio quotidiano media e web, con l’utilizzo anche di un software dedicato che attraverso la ricerca di parole chiave ha consentito di rintracciare contenuti discriminatori nell’ambito di articoli, blog o commenti di forum online. A ciò si è aggiunta la consueta partecipazione alla valutazione del codice di condotta contro l’incitamento all’odio online emanato dalla Commissione europea nel 2016 insieme alle principali piattaforme social e informatiche: sono stati 107 i casi individuati in occasione della settima valutazione relativa al periodo 28 marzo al 13 maggio 2022, rispetto agli 83 dell’anno precedente). Questi rappresentano soltanto una parte delle segnalazioni che, quotidianamente, il Contact Center invia alle principali piattaforme social grazie alle collaborazioni stabilite con i principali gestori – Facebook, Google e Twitter – al fine di garantire una sicura e immediata rimozione dei contenuti. Nel 2022 sono stati raccolti complessivamente 869 casi pertinenti relativi all’hate speech (il 30,6% dei casi lavorati) – ovvero quelle forme di espressione che si diffondono, incitano, sviluppano o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo e altre forme di odio basate sull’intolleranza secondo la definizione utilizzata dal consiglio d’Europa nella Raccomandazione n.20/1997. Nel 2022, sul totale dei casi relativi all’hate speech, il 71% (620) è stato rilevato in luoghi virtuali, ovvero prevalentemente su Twitter e su Facebook”.

Quali sono i principali progetti e azioni positive che porta avanti l’Unar?

“L’Ufficio finanzia, anche con l’utilizzo di fondi europei, progetti, iniziative ed azioni finalizzate a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione delle pari opportunità e che al contempo rappresentano delle buone pratiche e degli esempi replicabili. Il Progetto CO.N.T.R.O. (Counter Narratives Against Racism Online) nasce con l’obiettivo di contrastare l’incitamento all’odio e i crimini d’odio, di rafforzare e migliorare le azioni di counter speech e counter narrative sui diritti umani attraverso la definizione di una strategia di comunicazione innovativa. Il Progetto REASON – REAct in the Struggle against ONline hate speech, in continuità con il precedente, prevede la creazione di un Osservatorio nazionale per l’identificazione e l’analisi dei discorsi d’odio online, un punto di riferimento per la società civile e per gli attori istituzionali nella prevenzione di hate speech che si riferisce a discriminazioni di genere, etnico-razziali, di orientamento sessuale e religiose. Il progetto FADE, intende combattere l’antisemitismo tramite la messa in campo di azioni di sensibilizzazione e awarness raising relative alle segnalazioni, al loro monitoraggio e alla loro trattazione; cercando di definire linee guida per un più efficace contrasto del fenomeno, per un miglior supporto alle vittime e una più puntuale gestione e identificazione degli episodi. Il Pon Inclusione ha l’obiettivo di creare un modello di welfare basato sull’inclusione attiva, rafforzando i servizi territoriali e il loro ruolo nei confronti dei cittadini beneficiari delle misure di sostegno al reddito. Tra le iniziative le iniziativa ricordiamo il Giorno della Memoria il 27 gennaio, la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale il 21 marzo, la Giornata internazionale dei rom, sinti e caminanti il 8 aprile, la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia il 17 maggio, la Giornata mondiale dei Diritti Umani il 10 dicembre. Inoltre l’Unar lavora in raccordo con soggetti pubblici e privati, all’adozione di piani strategici volti ad individuare obiettivi, misure e azioni concrete in grado di evitare e compensare situazioni discriminatorie. Si tratta di programmi di lungo periodo, quali tra gli altri la Strategia Nazionale LGBT, la Strategia nazionale di inclusione di rom, sinti e caminanti, il Piano triennale d’azione contro il razzismo, e che richiedono necessariamente la messa in atto di strutture di governance complesse, di cui fanno parte le istituzioni a livello centrale, regionale e locale, la società civile, le parti sociali e altri soggetti a vario titolo coinvolti nelle tematiche di competenza”.

Cosa possiamo fare noi cittadini per rendere la società sempre più giusta, inclusiva e solidale?

“Per contribuire a una società più giusta, inclusiva e solidale ognuno dovrebbe fare la propria parte. Da una parte le Istituzioni, centrali e territoriali, che sono chiamate a mettere in campo diverse azioni quali: campagne di sensibilizzazione e di comunicazione, campagne di educazione nelle scuole, campagne di informazione nei luoghi di lavoro. L’Unar, tra le diverse attività, oltre a pareri e raccomandazioni, stipula protocolli d’intesa e accordi con enti, istituzioni, associazioni in grado di supportare e rafforzare l’azione di prevenzione e contrasto a ogni forma di razzismo, tra cui ricordiamo il Protocollo d’intesa con OSCAD del 2011, gli accordi con il Garante persone private della libertà personale e con Dipartimento Sport della Presidenza del Consiglio nel 2022, i protocolli, rispettivamente, per la costituzione dell’Osservatorio nazionale contro le discriminazioni nello sport, con l’Ordine Nazionale dei Giornalisti e Carta di Roma e con le Organizzazioni sindacali e datoriali per la non discriminazione e l’inclusione nei luoghi di lavoro, del 2020. Infine il più recente, il Protocollo d’intesa con Lega Serie A di quest’anno. Dunque da una parte le istituzioni, dall’altra i cittadini che dovrebbero assumere un ruolo sempre più centrale nella lotta delle discriminazioni e rendersi cittadinanza attiva per combattere i pregiudizi e gli stereotipi discriminatori in ogni sua forma e nonché sviluppare azioni di solidarietà ed essere promotori di azioni di sensibilizzazione territoriale sulle tematiche”.