Mosul, una possibile “dirty bomb” in mano all’Isis per tre anni

Una nuova rivelazione del “Washington Post”, stavolta però non incentrata sul Russiagate: secondo il quotidiano statunitense, infatti, l’Isis avrebbe avuto la possibilità, nel 2014, di costruire una cosiddetta “bomba sporca”, conosciuta anche come “arma radiologica”. Stano a quanto riportato dalla testata americana, la materia prima per l’assemblaggio della “dirty bomb” sarebbe stata rinvenuta dai miliziani del Califfato all’indomani della conquista di Mosul, avvenuta esattamente tre anni fa. In un deposito della locale università, infatti, i combattenti Daesh avrebbero rinvenuto corpose quantità di cobalto 60, una sostanza impiegata addirittura per attaccare le cellule tumorali. In pratica, il nome di arma radiologica sarebbe legato esattamente all’eventuale mescolanza di materiale esplosivo (come il tritolo o la polvere da sparo) con sostanze altamente radioattive, come appunto il cobalto 60.

Materiali radioattivi

Quello che è stato palesato dal “Wp”, dunque, è la possibilità per il Califfato, allora, di poter costruire una bomba ad altissimo potenziale di emissione di radiazioni, tanto pericolosa da ricevere l’appellativo di “atomica dei poveri”. Una preoccupazione che, già nel 2014, era stata alimentata dalle diverse rivendicazioni dell’Isis circa la disponibilità di materiali radioattivi. A tal proposito, già all’indomani della conquista di Mosul, le Intelligence occidentali si erano adoperate per scandagliare il territorio della città irachena per stimare il bacino di risorse minerali e militari appena finito in mano alle forze Daes (tra le quali ben tre basi militari dotate di mezzi statunitensi).

Depositi intatti

A quanto pare, però, l’allarme legato alla possibile fabbricazione di una “dirty bomb” è rimasto tale: secondo quanto riferito, infatti, durante i sopralluoghi dei militari iracheni effettuati dopo la riconquista di Mosul, i depositi universitari nei quali il cobalto 60 era contenuto, sono stati ritrovati integri e il materiale intatto. Secondo una previsione delle Forze armate, la reticenza dei miliziani nell’utilizzare la sostanza, sarebbe stata legata alla difficoltà della rimozione dei sigilli senza provocare incidenti e, di conseguenza, dispersioni di pericolosissime radiazioni chimiche. La “bomba sporca”, fortunatamente, non è stata fabbricata.