“Mi prendo cura di te”, il progetto del Bambino Gesù per le cure palliative pediatriche

L'intervista di Interris.it al dottor Michele Salata, responsabile del Centro di Cure Palliative Pediatriche dell’Ospedale Bambino Gesù

Mi prendo cura di te”, è il motto che anima tutto il progetto del Centro di Cure Palliative Pediatriche dell’Ospedale Bambino Gesù inaugurato lo scorso 22 marzo nella sede di Passoscuro, nel comune di Fiumicino. Si tratta della più grande struttura dedicata alla medicina palliativa pediatrica in Italia, la prima nel Lazio; solo in questa regione si stima infatti che via siano circa 1000 bambini con malattie gravi, inguaribili, ad alta complessità assistenziale, che necessitano di cure palliative, 35mila sono invece quelli che in tutto il nostro Paese non possono tornare immediatamente a casa, dopo il ricovero in Ospedale, perché necessitano di assistenza altamente specialistica o hanno bisogno che i loro genitori abbiano acquisito tutte le competenze necessarie per prendersi cura di loro a casa.

L’esigenza di dare dignità

Il Centro di Cure Palliative Pediatriche nasce quindi dall’esigenza di dare dignità, supporto e prossimità ai piccoli pazienti con malattie rare, inguaribili e ad alta complessità assistenziale. Una risposta che garantisce un aiuto concreto alle famiglie che spesso si trovano da sole ad affrontare tutto il carico assistenziale. Esistono malattie inguaribili ma non incurabili e per questo motivo il Bambino Gesù, grazie a piccoli e grandi donatori, ha realizzato un centro che si prende cura di tutti i bisogni della persona e dei suoi affetti più cari: quelli psicologici, relazionali, spirituali, sociali, educativi. Per conoscere meglio le funzioni e lo scopo di questo servizio Interri.it ha intervistato il responsabile del Centro, il dott. Michele Salata.

Dott. Salata come nasce questo nuovo grande progetto del Bambino Gesù?

“Abbiamo voluto rispondere alla legge 38 del 2010 sulle cure palliative, che in molti parti del Paese resta inapplicata sebbene sancisca il diritto di ogni persona all’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Fatto sta che la richiesta in questa direzione arrivava proprio dalla Regione Lazio. Per fare questo abbiamo voluto creare una struttura di tipo residenziale che coprisse tutti i bisogni del paziente a 360 gradi. La sua realizzazione non sarebbe stata possibile senza il grande impegno della presidente Mariella Enoc e della Fondazione Bambino Gesù a recuperare i fondi necessari”.

Le cure palliative evocano la parte terminale di una malattia inguaribile, possiamo affermare che prendersi cura dei soggetti più fragili è la risposta migliore per fronteggiare la cultura dello scarto da sempre denunciata da Papa Francesco?

“Certamente ma voglio precisare che c’è una grande differenza tra le cure palliative dedicate al momento finale della vita di un adulto e quelle che vengono fatte nel mondo pediatrico. I bambini che hanno una malattia inguaribile hanno davanti spesso mesi se non anni di vita, è un lungo percorso che prevede una grande complessità assistenziale, insomma la nostra struttura non è un hospice solo per il fine vita ma un servizio che accompagna i pazienti e le famiglie sotto molteplici aspetti. La nostra è una presa in carico globale del corpo, della mente e dello spirito del bambino e dei suoi familiari, coinvolgiamo anche i parenti e la rete amicale. Il nostro obiettivo è raggiungere la miglior qualità di vita possibile dei nostri piccoli ospiti. Per fare questo prevediamo anche il ritorno a casa del paziente e la cooperazione con il medico di famiglia e la Asl di riferimento, in altre parole abbiamo una visione olistica del prendersi cura. I bambini e le famiglie non devono sentirsi mai abbandonati, avvertire la solitudine è infatti la ferita più grande che si portano dietro”.

La famiglia resta quindi fondamentale in ogni percorso di cura?

“La famiglia è il cardine della cura, perché a questi genitori viene chiesto di trasformarsi in infermieri, medici e fisioterapisti per una cura h 24, rispondono a tutto dalla nutrizione alla mobilizzazione. C’è quindi la necessità di affiancare queste famiglie anche fuori dalla nostra struttura con i Pai – Piano Assistenziale Individualizzato – ovvero dei progetti di cure a domicilio condivisi con tutti gli attori del territorio, dalle Asl al pediatra di famiglia, in questo modo si alleggeriscono le spalle delle mamme e dei papà che possono restare tali. La famiglia è supportata in tutto anche nel consegnare documenti sanitari”.

Il Centro segue il programma di cure domiciliari e la struttura di Passoscuro completa l’offerta, è così?

“Il Centro mette a disposizione 20 mini residenze che abbiamo fatto di tutto per far sembrare degli autentici ambienti domestici non ospedalizzati. Tutto tranne il letto, altamente tecnologico per garantire il miglior confort possibile ad ogni bambino, somiglia ad una casa, c’è lo spazio per cucinare, il frigorifero, il microonde, un divano, un televisore, wi-fi, il bagno attrezzato, zone che possono essere anche personalizzate. Poi ci sono gli spazi comuni, una sala polivalente, un giardino con alberi e spazi gioco con strutture sportive, che permettono al bambino di accogliere amici e parenti e di ricreare una ambiente di comunità. Ad esempio, un bambino può ospitare gli amici e giocare a palla canestro mentre la mamma prepara una frittata”.

Perché possiamo considerarlo un centro all’avanguardia?

“Qui le famiglie imparano a prendersi cura dei propri figli, quindi otteniamo due risultati riportiamo in casa il paziente dopo il periodo di ambientamento al centro e liberiamo i posti letto nei reparti degli ospedali, molte volte anche reparti semi intesivi per i bambini che stanno male. Il Centro aiuta anche nel percorso di elaborazione del lutto dei familiari e a vivere in pienezza ogni giorno di vita di questi pazienti. Al contrario degli adulti, la letteratura scientifica riporta che solo il 5-10% dei pazienti accolti nella struttura, vive qui l’ultima fase di storia della malattia. Anche se il nostro obiettivo è “aggiungere vita ai giorni e non giorni alla vita”, perseguendo la miglior qualità di vita possibile del bambino e della sua famiglia, dobbiamo accogliere la speranza di una guarigione e il Bambino Gesù fa molta ricerca in particolare sulle malattie rare inguaribili, quindi, senza dare illusioni, possiamo dire che questo Contro completa l’offerta di cura dell’ospedale e dà una speranza in più a tanti malati”.

Siete un punto di riferimento nazionale?

“Sicuramente aver aperto una struttura così grande è uno stimolo per tante regioni che ne sono sprovviste. C’è un grade bisogno rilevato dalla commissione Affari Sociali della Camera nel 2019, secondo cui solo il 10% dei 35mila bambini che le necessitano riceve cure palliative adeguate. Un altro documento redatto da AGENAS nel 2022 rileva che di 307 hospice in Italia solo 9 sono pediatrici. Un altro aspetto fondamentale è quello formativo, manca personale specializzato, noi abbiamo puntato molto sulla formazione dell’equipe multidisciplinare. Mi permetto quindi di rilanciare un appello a tutti i domatori affinché venga rafforzata questa risposta di dignità per i più bambini fragili”.