Con quali occhi ci apprestiamo a guardare il Crocifisso

Pasqua
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La quinta domenica di Quaresima è una preparazione immediata alla Pasqua. Domenica prossima celebreremo la Domenica delle Palme e sarà proclamato il racconto della Passione e Morte di Gesù. Il vangelo di oggi, preso da San Giovanni, ha lo scopo di introdurci nel mistero che si avvicina, affinché possiamo viverlo, non da spettatori, ma da discepoli. È Gesù stesso che ci svela il senso di quanto sta per accadere.

Vogliamo vedere Gesù!

Siamo all’ultima Pasqua del Signore e subito dopo il suo ingresso “trionfale” a Gerusalemme. La città era piena di pellegrini, venuti da tutte le parti. Il brano del vangelo parla di un gruppo di proseliti di lingua greca che, sentendo parlare di Gesù, vorrebbero vederlo, anzi conoscerlo (è questo il senso del verbo greco). Non sapendo l’aramaico, parlano con Filippo il quale ne parla anche con Andrea. I due sono gli unici del gruppo dei Dodici che portano un nome greco e sicuramente un po’ di greco lo sapevano.

“Vogliamo vedere Gesù” è la loro richiesta e la loro e nostra “preghiera”! Ogni uomo e donna porta nelle profondità recondite del proprio cuore questa preghiera: “Il tuo volto, Signore, io cerco” (Salmo 27,8). Il fedele israelita viveva con sofferenza l’impossibilità di dare un volto e un nome al suo Dio. La grande tentazione era proprio il volere raffigurare Dio e il grande peccato sarà la fabbricazione del vitello d’oro: “Ecco il tuo Dio, o Israele!” (Esodo 32,4).

La salvezza passa dallo sguardo!

Il vangelo di Giovanni è ritenuto il più “spirituale”, eppure è il più “sensitivo”. Giovanni, infatti, dà un enorme rilievo ai sensi, dal più “carnale”, il tatto (20,17), ai più “sensuali” come il palato (2,9) e l’olfatto (12,3) e ai più “nobili”, l’ascolto e la visione. I cinque “sensi” sono le cinque vie che ci collegano con il mondo visibile, ma anche con quello invisibile. Guai a chi volesse vivere una fede “disincarnata”! Giovanni dà una particolare enfasi all’ascolto e alla parola, ma è la “visione” il senso da lui privilegiato. La sua raffigurazione come “aquila” non si deve solo ai suoi “alti voli”, ma anche al suo sguardo penetrante!

Tutto il vangelo di Giovanni si snoda tra l’invito ad andare da Gesù per vedere: “Venite e vedete!” (1,39) e l’esperienza gioiosa dei discepoli: “Abbiamo visto il Signore!” (20,25), per concludersi con l’ultima beatitudine: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (20,29). Se nella prima Alleanza il senso dell’ascolto era quello privilegiato nel rapporto con Dio, nella seconda Alleanza è quello della visione. Tutto il vangelo di Giovanni è permeato dal senso della visione. Troviamo circa 150 vocaboli collegati a questo senso. Impressionante! Dal “vedere” e dal “non vedere” passa sia la drammaticità tragica e tenebrosa della storia umana, come pure la scia di luce, di gioia e di vita che l’attraversa! La salvezza passa dallo sguardo! La storia inizia con lo sguardo compiaciuto di Dio verso la sua creazione, ripetuto sette volte: “E Dio vide che era cosa buona” (Genesi 1) e si conclude con lo sguardo contemplativo ed estasiato dell’uomo davanti alla nuova creazione: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova… E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Apocalisse 21,1-2). Allora sì, avverrà quanto dice il Qoèlet: “Non si sazierà l’occhio di guardare né l’orecchio sarà mai sazio di udire” (1,8).

La purificazione dei sensi

Per vedere Dio ci vuole però la purificazione dei sensi che la trasgressione dei nostri progenitori Adamo ed Eva ha contaminato. Questa purificazione avviene dall’interno verso l’esterno. Di questa ci parla Geremia nella prima lettura, quando annuncia la “alleanza nuova”: “Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore… Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande”. A questa promessa di Dio risponde il salmista con la preghiera: “Crea in me, o Dio, un cuore puro” (Salmo 50). La Legge messa nel cuore è quella dell’amore, è Gesù stesso. Il Cristo nel cuore diventa Cristo nei sensi. “Abbiate in voi gli stessi sentimenti [lo stesso “sentire”] di Cristo Gesù”, dirà San Paolo ai Filippesi (2,5).

La conversione dello sguardo

Ci prepariamo alla Passione del Signore e il nostro sguardo sarà messo alla prova davanti alla croce. Con quali occhi guarderemo il Crocifisso? Tutti “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (19,37). Alcuni però per deriderlo ed insultarlo. Altri si copriranno la faccia per non vedere quel volto martoriato (Isaia 53). Pochi saranno capaci di cogliere la bellezza dell’amore e lo splendore della gloria di Dio nella croce.

Filippo ed Andrea siamo tu ed io!

Gli uomini e le donne di oggi cercano Gesù, in svariati modi, anche nei loro smarrimenti seguendo la via dei sensi. E si rivolgono a noi per vederlo e conoscerlo. Ma ci risulta difficile capire le loro domande perché non parliamo la loro “lingua”. Solo vivendo immersi in questa umanità, nella sua cultura e nella sua storia, nelle sue speranze e nelle sue paure, potremo interpretare la loro ricerca. La lingua che loro percepiscono non è quella delle prediche, né del catechismo, ma quella dei sensi e della testimonianza. Solo se noi stessi abbiamo udito, toccato e visto il Signore, saremo capaci di raccontarlo:

“Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi –, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1 Giovanni 1,1-3).

È venuta l’ora!… È venuta l’ora!

La risposta di Gesù alla richiesta dei greci è assai sconcertante: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto… E quando sarò innalzato da terra [sulla croce], attirerò tutti a me”. Gesù nella domanda dei greci vede già le primizie della straordinaria fecondità del “Chicco di grano”. Gesù è vissuto in vista di questa “ora”, ma sperimenta comunque, anche lui come noi, il turbamento e l’angoscia davanti alla prospettiva della sua morte imminente: “Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!”. I sinottici raccontano quest’ora del Getsemani con toni ben più drammatici.

La legge del “chicco di grano” riguarda la vita di ogni essere vivente, ma ci risulta difficile accettarla. Vorremmo rimanere un fiore sbocciato nella pienezza della sua bellezza in una eterna primavera. Giunti al frutto maturo d’estate ci attacchiamo all’albero della vita, in un disperato sforzo per resistere all’autunno e non cadere per terra… Invece lo scopo della vita è diventare un frutto d’autunno! “Sentir nascere in sé l’anima succosa del frutto: la stessa dolcezza, la stessa trasparenza dorata, la stessa sete di cadere. Distaccarsi, non per orgoglio o per stanchezza, ma per eccesso di peso e di linfa. Distaccarsi come un frutto d’autunno… Imparate il «disinteresse» del frutto maturo, la fragilità della pienezza. Una stilla di pietà, un brivido d’amore fanno traboccare la coppa ebbra dell’autunno; il minimo urto getta a terra il frutto gonfio di aromi e di sole” (Gustave Thibon, filosofo francese).

Per la riflessione settimanale:

Durante quest’ultima settimana di Quaresima chiediamo la grazia della purificazione dei sensi, specie quello della vista, ripetendo magari la preghiera, il grido di Bartimeo, il cieco di Gerico, con la sua stessa fiducia e determinazione: “Rabbunì, che io veda di nuovo!” (Marco 10,46-52). Solo così potremo seguirlo anche noi lungo la strada verso Gerusalemme!