Ex generale croato si avvelena in aula

Nemmeno Hermann Goering aveva osato tanto. Per porre fine alla sua esistenza il maresciallo del Reich, uno dei fedelissimi di Adolf Hitler, attese la vigilia dell'esecuzione ordinata dalla Corte di Norimberga. L'ex generale croato Slobodan Praljak è stato decisamente più plateale. Dopo la lettura della sentenza di condanna a 20 anni del Tribunale penale internazionale dell'Aja, in diretta televisiva, ha ingurgitato una bottiglietta di veleno davanti agli occhi increduli dei giudici. Trasportato in ospedale è morto poco dopo.  

Gesto choc

Prima di togliersi la vita Praljak ha disconosciuto la sentenza. “Non sono un criminale di guerra” ha urlato. Dalla tasca della giacca ha poi tirato fuori un'ampolla di vetro e ne ha svuotato il contenuto in pochi sorsi. Resosi conto di quanto stava avvenendo il presidente della sezione ha ordinato la sospensione dell'udienza e delle riprese televisive. 

Reazioni

“Nella sentenza odierna dei giudici dell'Aja non c'è una sola parola che dimostri la responsabilità personale di uno solo dei sei imputati croato-bosniaci” ha commentato Dragan Covic, presidente di turno della presidenza tripartita bosniaca, secondo il quale i crimini vengono imputati indistintamente a tutti i membri della Forza militare croata (Hvo), e insieme anche a tutti i rappresentanti dei croati di Bosnia. “Slobodan Praljak si è sacrificato per provare che è innocente”, ha aggiunto Covic. Il leader croato ha invitato i connazionali a mantenere dignità e calma, affermando che “ieri ci aspettavamo tutti una sentenza di assoluzione“, ma “siamo consapevoli che il Tpi non è una Corte di giustizia ma un tribunale politico“. Sarajevo, ha aggiunto Covic, dovrà rafforzare la comunicazione con la Croazia: “ci aspettiamo rapporti di maggiore qualità, e bisogna quanto prima orientarci verso il futuro”.

I reati

Praljak e gli altri 5 imputati erano accusati aver eseguito una vera e propria pulizia etnica per costringere i non croati a lasciare determinate aree della repubblica di Bosnia Erzegovina, che sarebbero poi dovute essere integrate in una “grande Croazia“. Secondo il tribunale ad hoc creato dall'Onu, che li aveva condannati in primo grado, per realizzare questo piano avevano commesso crimini come omicidi, violenze sessuali, detenzioni arbitrarie, deportazioni e distruzioni di proprietà. Jadranko Prlic, Bruno Stojic, Milivoj Petkovic e Valentin Coric furono riconosciuti colpevoli di 22 capi di imputazione elencati nell'atto di incriminazione. Prlic, ex presidente del Consiglio di difesa croato e successivamente a capo del governo dell'entità autoproclamata in Bosnia negli anni della guerra, l'Herzeg-Bosnia, venne condannato a 25 anni di carcere. Gli altri tre a pene comprese tra i 16 e i 20 anni. Due di loro, tra cui Praljak, vennero assolti da alcuni capi di imputazione. Praljak, già assistente del ministro della Difesa croato, fu condannato comunque a 20 anni di carcere.

Piano criminale

Il Tribunale, nell'atto d'accusa, si concentrava sui crimini commessi in otto municipalità, tra cui Mostar, considerata capitale della Bosnia Erzegovina. Nella maggior parte dei casi, concludeva, “i crimini non vennero commessi da alcuni soldati indisciplinati ma furono al contrario il risultato di un piano elaborato dagli accusati per allontanare la popolazione musulmana”. Nel caso della storica città di Mostar, venne usata una “estrema violenza” per espellere i musulmani dalla parte occidentale della città: “I musulmani venivano svegliati in piena notte, pestati e cacciati dalle loro case, molte donne, tra cui una ragazza di 16 anni, vennero violentate” dai soldati del consiglio di difesa croato. Dal giugno 1993 all'aprile 1994 Mostar Est venne tenuta sotto assedio e la popolazione musulmana fu oggetto di bombardamenti “intensi e costanti“, con molti morti e feriti tra i civili. Altre testimonianze raccolte per quel processo parlavano di abusi contro i prigionieri musulmani nei centri di detenzione del Consiglio di difesa croato, dai pestaggi alle aggressioni sessuali all'uso dei detenuti per lavori forzati sulle linee del fronte. 

Il processo

Il processo, iniziato nell'aprile 2006, vide sfilare oltre 200 testimoni, 145 dei quali chiamati a deporre dalla procura. Un aspetto importante della sentenza e del primo atto di accusa è che nell'impresa criminale, che consisteva nel voler annettere territori bosniaci alla Croazia, vennero inclusi anche l'allora presidente Franjo Tudjman e altri responsabili politici.