Un dodecalogo per questo tempo di crisi educativa

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Dopo aver combattuto e vinto tante battaglie, un generale ormai divenuto molto famoso fu invitato dall’accademia in cui aveva studiato da ragazzo e da giovane come celebre ex-allievo. Gli insegnanti preparano gli allievi, affinché pongano domande all’altezza dell’ospite e relative al suo ruolo. Il generale arriva nell’aula in cui sono radunati, li guarda seduti ordinati, resta in silenzio per un po’ quasi assorto, poi dice: “Su questi banchi e su queste sedie ho iniziato a vincere la mia battaglia; grazie anche a questi banchi e a queste sedie ho vinto la guerra”. Dopo aver detto questo, quasi commosso, se ne va tra gli applausi degli studenti.

In un tempo di crisi educativa come questo, credo che la prima sfida sia quella di riportare la vita nella scuola e la passione per essa, rendendola un ambiente educativo dove si seminano i sogni, si innaffiano, vengono curati, possono diventare progetti di vita. C’è il tentativo di rendere la scuola asettica o, se non proprio il tentativo, un certo “lasciar fare”, come se l’abito della vita al suono della prima campanella debba essere appeso fuori dall’aula per indossare lo scafandro dello studente e del docente finché non suonerà l’ultima ora. Dietro questa mia riflessione non c’è sentimentalismo, né la sindrome del missionario o della crocerossina, bensì la consapevolezza che ogni contenuto delle diverse discipline è frutto della mente e del cuore umano e, come è nato da questi, a questi va destinato!

E non dimentichiamo la dimensione relazionale-affettiva, perché nella “battaglia” della vita a scuola (ma anche all’università) ci confrontiamo con persone che non selezioniamo (come nel caso degli amici che scegliamo), ci innamoriamo, scopriamo limiti e talenti, progettiamo il futuro con altri. senza una vera relazione educativa tra studenti e docenti non passerà alcun contenuto, cioè non si imparerà nulla davvero e di duraturo, poiché facciamo nostro fino in fondo sono ciò che ci meraviglia! Non è una visione romantica questa, né un modo per annacquare lo studio e l’impegno, bensì è un puntare sull’umanità, sul desiderio di conoscenza, sulla costruzione di amicizie. “Non si conosce se non ciò che si ama”! Vale per le amicizie e gli amori, vale nell’arte di imparare: più amiamo qualcosa, più la conosciamo, così come più conosciamo qualcosa, più l’amiamo. Molti non s’impegnano a studiare in aula e a casa la lingua inglese, tuttavia la parlano e la capiscono grazie alla musica che ascoltano e amano; altri non comprendono la matematica eppure sono assi del pc e smanettano sui vari dispositivi come se li avessero costruiti; diversi superano le difficoltà nello studio non solo dedicando più tempo, facendo ore ed ore di lezioni private, ma perché hanno trovato un motivo più grande per cui studiare o un compagno stimolante o un insegnante che li ha valorizzati. Si comincia dalle piccole cose, dai minimi gesti quotidiani, dalla cura di ciò che è “invisibile agli occhi”, ma si vede con il cuore.

C’è bisogno di protagonismo giovanile, di camminare insieme, di costruire materialmente qualcosa come una compagnia, consapevoli che cedere un po’ del nostro ruolo di educatori, ciò che ci connota come adulti responsabili, non vuol dire umiliarsi, ma è il primo gesto del prendersi cura. Quando si pensa oggi alla scuola o se ne parla, si fa tutti più in fretta ad elencare gli aspetti negativi che quelli positivi; quasi mai si dice quanto è stato bello quel momento in aula, che interessante il nostro progetto comune, quant’è bravo quell’alunno oppure “complimenti collega!”. A questo punto, dunque, anche a proposito della storia iniziale del “generale”, credo ci sia una “battaglia interna” da combattere avendo chiari per chi e perché.

Per noi docenti e educatori “dare credito” ai ragazzi, agli adolescenti e ai giovani è un investimento sul presente per il futuro; Don Lorenzo Milani – che tanto abbiamo celebrato in quest’anno del centenario – ha colto le sfide del suo tempo e ci ha lasciato un tesoro, ma quali sono le nostre sfide da affrontare ricchi della sua eredità? Eccone alcune mie, una sorta di “Dodecalogo del Docente e dell’Educatore”:

  1. Porsi in ascolto e non temere di perdere tempo nel farlo.
  2. Concedere fiducia in anticipo e senza bisogno di garanzie.
  3. Credere nei giovani a tal punto che non possano fare a meno di crederci anche loro.
  4. Seminare sogni, chiedere ‘qual è il tuo sogno’, perché se non abbiamo un sogno, che ci stiamo a fare?
  5. Non rimandare la risposta ad una domanda, non dire ‘quando sarai più grande capirai’.
  6. Dare sempre una risposta, fosse anche “scusa non so rispondere”, ma ragioniamo insieme.
  7. Non avere paura di mostrare la fragilità, evita invece di mostrare ciò che non sei.
  8. Che questa fragilità sia la ferita che si trasforma in feritoia, trasformando “il lamento in danza”.
  9. Incoraggiare sempre!
  10. Avere la speranza dell’agricoltore che semina qualcosa i cui frutti forse non vedrà e saranno raccolti da altri.
  11. Prendersi cura reciprocamente, addomesticarsi come ‘il Piccolo Principe e la Volpe’, nel senso di portare all’addome cioè al cuore.
  12. “Pensare che un giorno ci ammireranno per la nostra fedeltà, quando invece l’unica cosa che abbiamo fatto, è stato essere felici!”