La centralità dell’Europa sul piano internazionale alla fine del 2020

"L'Europa è già un gigante economico, perché possa diventare un gigante politico è necessario che decida di esserlo, ma per deciderlo deve interrogarsi sul chi è". Quale sarà la la sfida del nuovo europeismo? L'intervista all'europeista Mario di Ciommo per Interris.it

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Se c’è una cosa che ci lascia questo 2020 è la crescente centralità dell’Europa con le strategie messe in campo per cercare di affrontare la più grande crisi sanitaria dell’ultimo secolo. “Il taccuino nasce proprio per alimentare il confronto tra cittadini e un dibattito in chiave europea” sono le parole per Interris.it di Mario di Ciommo, autore del libro “Urgenza europea”, il quale, negli ultimi mesi, si è cimentato in quello che lui stesso definisce “un esperimento”, ossia il “Taccuino europeo” un approfondimento sulla settimana europea sui social.

Qual è la stata la scintilla che ha fatto nascere il taccuino?
“Questo taccuino è nato proprio dall’idea condivisa con l’editore di provare ad accompagnare, attraverso un’analisi della stretta attualità, l’approfondimento di alcuni dei principali temi che nel libro vengono trattati, con un’idea per cui è urgente oggi parlare di Europa. É urgente aprire ai cittadini, nella maniera più ampia possibile, il dibattito sul presente dell’Europa, per arrivare ad un futuro il più possibile partecipato, confrontandoci sui tanti perché che devono accompagnare la nostra partecipazione alla avventura europea”.

Nell’audio la riflessione di Mario Di Ciommo sul futuro dell’Europa

Qual è il suo significato?
“Davvero spero che questo libro, Urgenza Europea, come questo taccuino, possano aver dato un piccolo contributo ad aumentare la consapevolezza della centralità della vicenda europea per le nostre vite, per il nostro quotidiano. Che abbiano dato un contributo al dibattito che deve allargarsi il più possibile alle opinioni pubbliche nazionali, in un processo di formazione di una opinione pubblica europea che oggi è più vicino che mai, perché oggi è più alta che mai l’attenzione dei cittadini all’Unione Europea”.

Siamo alla fine del 2020, quanto è cambiata l’unione in questo anno e quanto ha inciso il Covid sulla sua vita politica?
“Sicuramente la crisi da pandemia ha travolto l’Unione Europea e l’ha costretta a realizzare dei cambiamenti importantissimi, a sfatare dei tabù. Uno su tutti la sospensione del patto di stabilità, il totem dei totem. É stato sospeso l’elemento che più aveva simbolicamente creato divisione, segno di come l’Europa sia stata costretta a cambiare paradigmi. La crisi da pandemia, però, si innesta in una crisi molto precedente e risalente nel tempo. Una crisi esistenziale, figlia di un’Europa che da tanto tempo aveva lasciato la sua dimensione politica e quindi “identitaria”. Il covid ci ha svegliati, ci ha fatto capire che c’è bisogno di un approccio diverso, non meramente economico. C’è stato un grosso cambiamento, uno stravolgimento dell’Unione Europea con la pandemia, ma allo stesso tempo c’è una continuità tra la crisi di oggi e le crisi dei 10/15 anni precedenti. Minimo comune denominatore di questi cambiamenti è proprio questa crisi esistenziale che l’Unione Europea vive”.

In riferimento agli ultimi avvenimenti politici: Polonia e Ungheria hanno per alcune settimane bloccato il Recovery plan sul tema dello stato di diritto. Poi lo stallo è stato sbloccato. Ma come mai si è arrivati ad un episodio così grave? Possiamo dire che, nonostante laccordo poi raggiunto, i motivi di divisione interna siano ancora in piedi?
“Il nodo è stato quello del principio del rispetto dello Stato di diritto quale condizione per accedere alla risorse che la UE sta per mettere a disposizione. Ungheria e Polonia non accettavano questa condizionalità. Ora questa vicenda ci fa capire che mentre alcuni paesi danno per scontata l’applicazione di quei principi, ce ne sono altri che invece ne danno un’interpretazione diversa, in cui la dimensione del rispetto della sovranità nazionale di ciascuno Stato resta non sindacabile dalla UE. L’origine di questa vicenda, in realtà, risale ai nodi non sciolti quando fu deciso l’allargamento ad est della UE: un allargamento deciso sulla base di criteri essenzialmente economici. Nodi che, in realtà, non vengono sciolti nemmeno dall’accordo poi raggiunto a dicembre con Ungheria e Polonia per lo sblocco del Recovery plan”.

Come recuperare la centralità dei valori che ci tengono uniti nel progetto di integrazione?
“Il motto del’Europa è “Unita nella diversità”. La percezione normalmente più diffusa è relativa ai tanti motivi di diversità che ci distinguono tra Europei e che sicuramente sono una parte fondamentale del nostro stare assieme. Il vero tema è che bisognerebbe investire politicamente in occasioni di confronto “costituente” volte a riscoprire – e ricostruire – il senso dello stare uniti. La Conferenza sul futuro dell’Europa dovrebbe essere uno strumento chiave, un appuntamento cruciale da sfruttare appieno, con il coraggio di farsi mettere in discussione da una partecipazione dei cittadini davvero il più possibile effettiva ed ampia. E invece sinora la si è solo rinviata a data da destinarsi: questo è un segnale che dice di un europeismo ancora troppo poco coraggioso, che, evidentemente, ancora non ha capito quanto grave e profonda sia la crisi esistenziale in cui versa ancora la UE, e che, se si continua così, sopravviverà anche alla fine della pandemia, come è sopravvissuta al superamento della crisi finanziaria…”.

L’Europa come può affrontare in questo periodo i protagonisti politici diversi rendendosi attore politico globale?
“La frase con cui apro il libro è quella dello storico Omodeo: “Nella storia non c’è posto per chi non ha coscienza di sé”. Ritorniamo, dunque, al tema esistenziale, al tema identitario. L’Europa è già un gigante economico, perché possa diventare un gigante politico è necessario che decida di esserlo, ma per deciderlo deve interrogarsi sul chi è. La sfida dell’Europeismo vada molto oltre il lavorare a mere iniziative di coordinamento, ma richieda di lanciare un vero dibattito costituente – e partecipato – sulle ragioni dello stare insieme, cosa che richiederà anche un confronto sulle radici culturali e valoriali, che devono diventare un fattore di incontro, di riconoscimento reciproco e non un fattore divisivo, come è stato in passato. Se non saremo in grado di confrontarci su ciò che siamo stati, non arriveremo a capire chi siamo e non potremo scegliere chi essere”.

Nell’affrontare la sfida per il vaccino i 27 membri hanno deciso di affidarsi all’Europa, per avere un organo centrale che garantisse per tutti. Possiamo dire che mai come questa volta l’Europa sembra pronta per essere definita l’Unione della salute?
“Di Unione della Salute ha parlato di recente la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Diciamo che al momento vediamo gli stati affidarsi a poteri di coordinamento delle istituzioni comunitarie. Coordinamento non è pero sinonimo di integrazione. Stiamo sperimentando l’efficenza anche in termini economici e contrattuali (in riferimento all’acquisto dei vaccini) del coordinamento a livello europeo. La mia domanda è l’esperienza di questo coordinamento spingerà gli stati, visti i risultati raggiunti, ad una maggiore integrazione a livello europeo? O ci si sta limitando ad un coordinamento in questa fase emergenziale e poi finita l’emergenza si faranno passi indietro, decidendo tutt’al più di continuare a coordinarsi, lasciando così le fila della partita nelle mani dei governi? Attenzione: lasciare la partita nelle mani dei governi, significa che gli interessi dei Paesi più forti, inevitabilmente, prevarranno, portando a fughe in avanti e/o iniziative isolate. Come quella della firma da parte della Germania di un accordo bilaterale con Pfizer-BioNTech per l’acquisto di 30 milioni di dosi supplementari di vaccino: iniziative di questo tipo, oltre a indebolire l’azione congiunta a livello UE, rischiano di scatenare una corsa a azioni isolate, capaci di provocare una escalation all’insegna del “nazionalismo sanitario”. Alla luce di ciò, io credo che in questo momento l’Unione della salute resti un mero slogan – o un auspicio – più che una realtà. E tale resterà fino a quando il coordinamento a livello europeo non lascerà spazio ad una vera e propria maggiore integrazione”.