CASO CONTRADA, STRASBURGO RIBALTA LA SENTENZA: “NON ANDAVA CONDANNATO”

Occidente

A pochi giorni dalla sentenza sul G8 di Genova la Corte europea per i diritti dell’uomo torna a condannare l’Italia su un altro caso spinoso: quello di Bruno Contrada. L’ex numero 3 del Sisde era stato punito nel 1996 con 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Una decisione censurata da Strasburgo perché all’epoca dei fatti contestati, avvenuti tra il 1979 e il 1988, questo reato, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, non era ancora definito. L’Italia dovrà dunque risarcire 10 mila euro a Contrada e provvedere al pagamento delle spese processuali. L’ex 007 si era rivolto a Strasburgo nel luglio del 2008 affermando che – in base all’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani, il quale stabilisce il principio “nulla pena sine lege” – non avrebbe dovuto essere condannato perché “il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso è posteriore all’epoca in cui lui avrebbe commesso i fatti per cui è stato condannato”.

I giudici europei, a differenza di quanto fatto da quelli italiani, gli hanno dato ragione, affermando che i tribunali nazionali, nel punire Contrada, non hanno rispettato i principi di “non retroattivita’ e di prevedibilità della legge penale”. Nella sentenza i magistrati continentali affermano che “il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è stato il risultato di un’evoluzione della giurisprudenza iniziata verso la fine degli anni ’80 e consolidatasi nel 1994 e che quindi la legge non era sufficientemente chiara e prevedibile per Bruno Contrada nel momento in cui avrebbe commesso i fatti contestatigli”.

La Corte di Strasburgo sostiene anche che i tribunali italiani “non hanno esaminato approfonditamente la questione della non retroattività e della prevedibilità della legge” sollevata più volte dal condannato, e non hanno quindi risposto alla questione “se un tale reato poteva essere conosciuto da Contrada quando ha commesso i fatti imputatigli”. I giudici di Strasburgo hanno respinto la richiesta di riconoscergli quasi 30 mila euro per le spese processuali sostenute a Strasburgo, ordinando all’Italia un risarcimento limitato a 2.500 euro.