Perché il comunismo è imploso

Troppe persone furono vittima della dittatura della Sed, il partito comunista della Ddr, e non le dimenticheremo mai”, ha detto alla Cappella della riconciliazione la cancelliera Angela Merkel in occasione della commemorazione per i 30 anni della caduta del Muro di Berlino: “Ricordo le persone che furono uccise su questo Muro perché cercavano la libertà e i 75 mila esseri umani che furono incarcerati per fuga dalla Repubblica”.

Reazioni italiane ed europee

Il 9 novembre 1989 “era la festa dei ragazzi che arrivavano da tutto il continente e mi è rimasta dentro l'immagine dei Vopos che da sopra al Muro fissavano, increduli, il loro mondo che si sbriciolava. Spesso ripenso anche alla domenica mattina, quando riaprirono la metro tra le due parti della città e le famiglie dell'Ovest andavano all'Est, con i fiori in mano, alle tombe dei nonni che i bambini non avevano mai visto”. È il ricordo di David Sassoli, oggi presidente del Parlamento europeo, intervistato da Repubblica sul trentennale. “Erano giorni di riconciliazione – osserva Sassoli-. La fine delle divisioni della seconda guerra mondiale. C'era anche preoccupazione per le persone che con le loro Trabant scappavano da Polonia e Ungheria, ma la gioia copriva tutto”. Dopo trent'anni, aggiunge sull'Europa, “siamo migliori di prima. Abbiamo riconciliato uno spazio geografico con uno spazio politico all'insegna dei valori di democrazia e libertà: ora l'Ue vada avanti con la Difesa europea”. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, intervenuto a Berlino alle celebrazioni per la caduta del Muro ricorda: “Mio padre aveva una foto in casa della caduta del Muro con la scritta “9 novembre 1989”. Per me ha sempre significato la caduta delle ideologie del `900. I partiti che si riconoscevano in esse sono entrati in crisi, hanno cominciato ad assomigliarsi, e il M5s in qualche modo è figlio di quel tramonto”. Trenta anni fa “veniva abbattuto il muro di Berlino, simbolo della terribile dittatura comunista, quel giorno nasceva un’Europa più unita. Trovo vergognoso che la sinistra continui a tergiversare e giocare su termini e definizioni, cercando di cancellare i crimini del comunismo dai libri di storia”, afferma Antonio Tajani, vicepresidente di Forza Italia e presidente della commissione Affari costituzionali al Parlamento europeo.

La preparazione della svolta

Il 1989 ha avuto anche una preparazione, per così dire, visibile, alla luce del sole. C’era stata la rivoluzione ungherese (1956) e la Primavera di Praga (1968), ambedue soffocate tragicamente nel sangue. Ma poi, dall’inizio degli anni Settanta, il dissenso era spuntato un po’ in tutto l’Est europeo, anche se in forme e modalità assai differenti. In Cecoslovacchia, era nata Charta 77, una protesta di élite, di circoli intellettuali. Mentre, in Polonia, il contrasto si era via via trasformato in un movimento di popolo. In Polonia, appunto. Un Paese con una popolazione a grande maggioranza cattolica. E dove la Chiesa, forte, compatta, aveva un profondo radicamento in tutti i settori sociali. Nel 1956, a Poznań, c’era stata la prima delle “piccole rivoluzioni”, come le chiamava il primate, il cardinale Stefan Wyszyński; ma, pilotata da ambienti revisionisti, ancora interna al sistema, era finita nel nulla. Nel 1968, a rivoltarsi erano stati intellettuali e studenti. Nel 1970, sul Baltico, la prima vera rivolta operaia, i primi sindacati clandestini.

Inedita solidarietà

Nel 1976, a Radom e Ursus, erano di nuovo scesi in piazza i lavoratori, ma stavolta con l’appoggio degli altri gruppi sociali: da quella inedita solidarietà, quattro anni dopo, sarebbe nato il primo sindacato libero nell’impero comunista. Senza Wojtyla la storia dell’Europa, ma anche quella del mondo intero, non sarebbero andate nel modo in cui sono andate. Infatti, oltre che per la riunificazione dell’Europa, l’azione svolta da Papa Wojtyla si era sviluppata su vari fronti. Era stata determinante per il ritorno di molti Paesi latino-americani alla democrazia, per ridare voce e dignità ai popoli del Sud, e forse addirittura, al tempo dei conflitti del Golfo, per evitare una spaventosa guerra di civiltà”. I suoi viaggi avevano fatto sì che la Chiesa, con una crescente autorevolezza morale, fosse più vicina al mondo, e il mondo, a sua volta, più vicino alla Chiesa. E spesso, nei momenti di crisi dell’umanità, con i “grandi” della Terra pavidi e silenziosi, era stato soltanto lui, Wojtyla, a parlare, a intervenire, a denunciare. Soltanto lui a testimoniare la speranza in un futuro che poteva essere diverso, nel segno della pace, della giustizia. “Tutto può cambiare”, ripeteva di continuo. “Si, noi possiamo cambiare il corso degli eventi”. Allora, come si fa a dimenticare un Papa così?

Immagine tradizionale

Era già intrigante il titolo del libro di “Chi ha paura di Giovanni Paolo II?”. Ma dalle risposte che sono state date, a quell’interrogativo volutamente provocatorio, è via via emerso un quadro straordinario – e, spesso, con aspetti inediti – di Karol Wojtyla. Primo Papa non italiano dopo 456 anni, polacco, e che veniva perciò da oltre la cortina di ferro, quando l’Europa era ancora divisa, e due potenze geopolitiche e militari si contendevano il controllo sul mondo. Un Papa che, nel primo viaggio in Messico, cambiò completamente l’immagine tradizionale di una Chiesa, di volta in volta, legata al potere temporale o in contrasto con questo potere. “La Chiesa vuole mantenersi libera di fronte agli opposti sistemi, così da optare solo per l’uomo”. Dunque, fin da subito, un Papa controcorrente. Un Papa – come ha affermato lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio – difficile da ricordare nella sua grandezza ma anche nella sua complessità. Tradizionalista e, insieme, innovatore, quasi “eversivo”. Mistico, profondamente mistico, ma anche, senza che lo volesse, grande politico.

Il Concilio applicato nelle diocesi

“Forse l’unico Papa politico che è stato vincente. E per come ha contribuito alla caduta del Muro, alla rivoluzione del 1989, avvenuta in modo incruento, ha ribaltato per ciò stesso il paradigma rivoluzionario del 1789. E poi, ha continuato il professor Riccardi, un Papa difficile da ricordare perché, a ricordarlo, verrebbe da raccontare che “dopo le aquile sono arrivate le galline”. E cioè, verrebbe da raccontare “la rassegnazione con la quale una parte preponderante della classe dirigente ecclesia vive il nostro tempo”. Prima del Giubileo del Duemila, Giovanni Paolo II chiese a tutti i vescovi come fosse stato applicato il Concilio nelle loro diocesi. Nessuno rispose. Nell’invito del Papa c’era, implicita, la proposta di un profondo rinnovamento della Chiesa; e invece l’episcopato mondiale oppose un blocco. Un blocco che dura ancora oggi”. Di conseguenza, un Papa molto contestato. Già all’inizio, anche in Italia, in larghi settori dell’episcopato e del clero. E poi specialmente nella Curia romana. Quando si inventò l’Incontro mondiale di preghiera per la pace ad Assisi, riunendo i rappresentanti di tutte le Chiese e le religioni, l’ex Sant’Offizio gli impose di modificare il suo discorso (perché, dicevano, sembrava essere diventato il “presidente delle religioni”), e l’allora prefetto del dicastero, il cardinale Joseph Ratzinger non presenziò significativamente all’evento. E i rapporti con mons. Romero, all’inizio difficili (“il segretario di Stato mi ha detto che era filocomunista”, raccontò Wojtyla), ma cambiati radicalmente dopo l’assassinio del presule sull’altare. E il Papa volle inserirlo nell’elenco dei martiri, nella cerimonia giubilare al Colosseo. Insomma, un grande Papa, amato dal popolo. E fu Ratzinger, ovviamente, il suo successore.

Fede coraggiosa

E’ morto il padre ma c’è lo zio”, ha commentato spiritosamente Riccardi, che però ha terminato con una osservazione critica. “Dando le dimissioni, Benedetto XVI ha segnato la fine della devozione al Papa”. Un quadro a forti tinte, si diceva, e che è stato poi corredato dagli interventi degli altri due presentatori del libro. Il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo emerito di Ancona-Osimo, ha voluto analizzare i vari aspetti della “grandezza” di Giovanni Paolo II: la spiritualità, la fede coraggiosa, la riforma postconciliare, l’amore per i giovani, la misericordia, il dialogo con le religioni. Wojtyla, ha detto il cardinale, era santo già in vita e, insieme, era un uomo vero: testimone dell’Incarnazione e, nello stesso tempo, della Resurrezione. Silvia Costa, già europarlamentare, ha sottolineato la profonda attenzione di papa Wojtyla verso la donna, il “genio femminile”. Come del resto confermò nella straordinaria lettera inviata in occasione della Conferenza dell’Onu a Pechino: un parlare direttamente alle donne, perché si prendessero cura dell’uomo, del creato, ed esprimessero finalmente il loro protagonismo. E quindi, portando la sua esperienza politica, e rifacendosi al 30° anniversario della caduta del Muro, la Costa si è chiesta se, l’Europa di oggi, possa davvero considerarsi l’Europa che Giovanni Paolo II voleva. E la risposta, decisamente critica, è venuta dalla constatazione di come sia ancora così difficile il dialogo tra le due Europe. Come dire che è mancata una vera riunificazione, fondata sulle radici cristiane e su una identità comune. “Questo è ancora un lavoro da fare”.

Il Muro di celluloide

Il muro che ha diviso in due la città di Berlino per 28 anni, dal 13 agosto del 1961 fino al 9 novembre 1989, ha ispirato in quasi 60 anni moltissimi film, non tanto incentrati sul muro in sè ma sulla divisione della città e delle 'due' Germanie, ricostruisce l’Adnkronos. Il primo, datato proprio 1961, è la commedia di Billy Wilder Uno, due, tre!. Ispirata a uno spettacolo teatrale di Ferenc Molnàr, racconta le peripezie dell'americano McNamara, dirigente dello stabilimento di produzione della Coca-Cola a Berlino. McNamara, che da tempo ambisce alla più prestigiosa direzione di Londra della Coca-Cola, accetta dal suo superiore diretto di Atlanta, Mr. Hazeltine, di ospitarne a Berlino per qualche settimana la giovane figlia Rossella. Le due settimane programmate diventano due mesi e McNamara scopre ad un certo punto che il suo autista Fritz è stato ingaggiato da Rossella, la quale si fa condurre ogni sera alla Porta di Brandeburgo (dove passa il confine per Berlino Est) e si fa poi ricondurre a casa all'alba successiva. Quando McNamara è già disperato, Mr. Hazeltine gli annuncia di essere in arrivo a Berlino per riprendersi la figlia. Ma non basta: poco dopo Rossella gli annuncia di aver conosciuto un giovane studente comunista e di averlo sposato a Berlino Est. McNamara si adopera a quel punto far arrestare Otto dalla Polizia russa per attività anti-sovietiche e far distruggere il certificato di matrimonio. Ma alla notizia dell'arresto di Otto, Rossella sviene e il medico chiamato ad assisterla rivela che la ragazza è incinta.

Due mondi contrapposti

Un altro classico della filmografia sulla Berlino divisa è La spia che venne dal freddo (1965) diretto da Martin Ritt e tratto dall'omonimo romanzo di John Le Carré. La sezione di Berlino Ovest dello spionaggio britannico, diretta da Alec Leamas (interpretato da Richard Burton), non è stata ben gestita. In seguito alla morte di un suo informatore, avvenuta a un posto di blocco, Leamas viene richiamato a Londra da Controllo, capo dello spionaggio, e retrocesso da agente sul campo a grigio burocrate della sezione bancaria dell'agenzia. In realtà Controllo sta organizzando la trasformazione di Leamas in un personaggio apparentemente dedito all'alcolismo, depresso, con un misero impiego presso un istituto culturale, sperando che i servizi segreti del blocco comunista prendano contatto con lui e vaglino la sua disponibilità a operare per loro. E così accadrà, evidenzia l’Adnkronos. Tra le spy story ambientate “intorno” al muro, non si può non citare “Il sipario strappato” diretto nel 1966 da Alfred Hitchcock, con Paul Newman e Julie Andrews, dove Newman è un fisico americano che va a lavorare con scienziati comunisti nella Germania dell'Est, ma in realtà vuole servire il suo Paese da infiltrato.  Sempre del 1966 è anche Funerale a Berlino, diretto da Guy Hamilton e girato in prossimità del muro di Berlino vicino al notissimo Checkpoint Charlie. È, sottolinea l’Adnkronos, il secondo di una serie di cinque film di spionaggio realizzati negli anni sessanta e novanta, nei quali l'attore Michael Caine incarna la spia del Secret Intelligence Service Harry Palmer, personaggio creato dalla fantasia di Len Deighton. In Funerale a Berlino, il colonnello Stok, un alto ufficiale del servizio di spionaggio sovietico del Kgb responsabile della sicurezza di un settore del Muro di Berlino, sembra voler disertare e passare all'Ovest, ma le indicazioni sono contraddittorie. L'agente Harry Palmer viene inviato, dal suo capo Ross, a valutare l'offerta. Agirà in collaborazione con il capo della sezione di Berlino, Johnny Vulcan: quest'ultimo, tra i due, è il più propenso a credere alla buona fede dell'alto ufficiale sovietico.