Ictus cerebrale, tutto ciò che bisogna sapere: intervista al prof. Silvestrini

In occasione della Giornata Mondiale Contro l’Ictus Cerebrale, il Professore Mauro Silvestrini spiega come si riconosce un ictus e l'importanza di intervenire tempestivamente 

Silvestrini - ictus
A sinistra il professore Mauro Silvestrini. Foto di Robina Weermeijer su Unsplash

L’ictus cerebrale è una condizione neurologica che insorge in maniera del tutto improvvisa, tanto che può colpire anche una persona apparentemente in piena salute. Secondo il Ministero della Salute, dopo le patologie ischemiche del cuore, si tratta della seconda causa di morte e rappresenta la prima causa di invalidità per malattia. Ogni anno nel nostro Paese si registrano circa 90.000 ricoveri dovuti all’ictus cerebrale, di cui il 20% sono recidive. Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti ad un ictus guarisce completamente, mentre il 75% sopravvive con una qualche forma di disabilità, e di questi la metà è portatore di un deficit così grave da perdere l’autosufficienza. L’ictus è più frequente dopo i 55 anni e la sua prevalenza raddoppia successivamente ad ogni decade.

L’intervista 

La Giornata Mondiale Contro l’Ictus Cerebrale è nata per sensibilizzare la popolazione a prevenire l’insorgere di questa condizione e a riconoscere i sintomi che la precedono. Interris.it ne ha parlato con il professore Mauro Silvestrini, presidente ISA-AII Italian Stroke Association – Associazione Italiana Ictus.

Professore, gli ictus sono tutti uguali?

“L’ictus si differenzia in due condizioni. La prima è l’ischemia che si manifesta con la chiusura improvvisa di un’arteria, tanto che una parte più o meno ampia del cervello non riceve più sangue e va incontro a una sofferenza e a una perdita di integrità anatomica, ovvero alla morte della struttura. La seconda è l’emorragia celebrale che è la rottura di un’arteria all’interno del cervello. L’ischemia giustifica l’80% dei casi di ictus, mentre l’emorragia cerebrale il restante 20%”.

Ad ictus avvenuto come si deve intervenire?

“La persona deve subito essere portata in un ospedale dotato di un’unità ictus o di unità neurovascolare. Il nostro cervello non possiede la capacità di resistere a una crisi circolatoria e diventa dunque fondamentale somministrare la terapia farmacologica entro le 9 ore successive all’evento. Intervenire tempestivamente significa innanzitutto evitare la morte cerebrale del paziente, poi rimediare alle possibili conseguenze. Ad oggi, ci sono anche delle tecniche di neuroradiologia interventistica che consentono di deostruire il vaso, ma anche in questo caso, più si aspetta, minore è l’efficacia dell’intervento”. 

Chi sono le persone più a rischio ictus?

“Innanzitutto gli anziani e tutti quei soggetti che soffrono di ipertensione arteriosa, di diabete e di dislipidemia Inoltre, negli ultimi anni abbiamo assistito a un abbassamento dell’età media e questo accade perché uno dei fattori di rischio è il fumo e l’abuso di alcol, abitudini sempre più frequenti nei giovani. Stessa cosa vale per l’obesità che inizia a manifestarsi già in età scolare”. 

Ci sono dei sintomi che preavvisano l’arrivo dell’ictus?

“Ci sono dei segnali che compaiono solo qualche minuto prima dell’evento, come per esempio la difficoltà a parlare o a capire quello che viene detto, la perdita di forza a un braccio o a una gamba o a tutte e due, la perdita di sensibilità o del campo visivo e la bocca che si storce. Quando vi è uno di questi sintomi il paziente deve subito essere portato in ospedale. Non esistendo nessun campanello d’allarme che si manifesta con largo anticipo l’unica arma che abbiamo nelle nostre mani è la prevenzione”. 

Come si previene l’ictus?

“Innanzitutto bisogna ridurre al minimo i fattori di rischio come il fumo o l’abuso di alcol. Inoltre, è importante periodicamente sottoporsi a dei controlli per la pressione arteriosa, per i livelli della glicemia e per le condizioni delle arterie. Poi, tenendo conto dell’età anagrafica e delle condizioni di salute, è fondamentale condurre una vita sana e svolgere attività fisica”.