Carta sì, carta no… la terra dei Pos

È stata presentata una manovra economica che avrà un impatto rilevante, il prossimo anno, non solo sull’economia ma anche sulla vita degli italiani, nel mondo continuano a salire tensioni che vanno ben oltre e ostilità tra Mosca e Kiev ma che potrebbero aprire nuovi scenari critici e la BCE continua in una corsa al rialzo dei tassi per fronteggiare un rincaro dei prezzi che ha origine sui mercati delle materie prime e non in ambito valutario (rischiando di spingere la debole ripresa del continente in una nuova recessione) ma buona parte del dibattito italiano si concentra sull’obbligo di POS e sul limite per l’accettazione dei pagamenti elettronici.

In uno stato normale, come qualche anno fa si indicava la situazione non dico ideale ma quasi, nemmeno ci si sarebbe sognati di aprire una querelle su un simile argomento tirando in ballo anche l’idea, assai ingenua, che solo il contante sia moneta legale mentre carte di credito e di debito, app di pagamento e bonifici siano “moneta privata”.

In verità il contante è l’unica moneta a “corso legale” ma il fraintendimento nasce già leggendo il sito di Bankitalia dove si afferma che “sotto il profilo giuridico, il circolante (banconote e monete) è l’unica moneta con corso legale utilizzata da famiglie e imprese all’interno del territorio di uno stato” specificando, poi, che “Nel portare a termine una transazione pecuniaria famiglie e imprese possono utilizzare oltre alla moneta con corso legale anche mezzi di pagamento privati, definiti e regolati da accordi tra le parti”. Per capire cosa significhi questo, però, è bene fare un passo indietro per capire come venga emessa la “moneta”.

In realtà, in questo caso, sarebbe più corretto parlare di valuta legale, che in Italia è l’Euro, e che viene emessa dalla banca centrale prevalentemente in forma scritturale, cioè con una partita contabile, e, poi, si manifesta da una parte con la moneta fisica, quindi banconote e monete, che rappresenta il la parte più contenuta della massa monetaria circolante (la cosiddetta M0) che, poi, cresce aggiungendo i conti correnti a vista (M1), i depositi vincolati (M2) per poi aumentare, tramite il moltiplicatore del credito, e divenire il circolante (M3).

Il contante, tecnicamente, si può definire come un supporto fisico, senza alcun valore intrinseco, che rappresenta una frazione della massa monetaria e che può essere scambiato a vista. È considerato “moneta legale” perché emesso direttamente dalle autorità monetarie e distribuito tramite il circuito delle banche commerciali che si occuperanno del dispacciamento, dell’eventuale conservazione e, infine, del ritiro dei “logori” per la loro sostituzione. È evidente che per la natura stessa di questo supporto il suo scambio permetta di estinguere qualsiasi obbligazione e che non sia possibile, per obbligo di legge, rifiutarsi di incassare le somme pagate in questa maniera salvo disposizioni normative ad hoc (come la fissazione del tetto agli scambi in contante).

Carte di credito, di debito o le app rappresentano, invece, supporti di pagamento, per il trasferimento di somme espresse in valuta legale, fornite da istituti privati per agevolare le transazioni e garantire una sicurezza maggiore rispetto a banconote e monete che sono soggette non solo a furti e smarrimenti ma anche al deterioramento. La natura privatistica di questi mezzi, messi a disposizione e gestiti da imprese, sottostà a un prezzo che l’emittente impone agli utilizzatori, cioè il canone annuo ai consumatori e le commissioni di incasso in testa ai venditori. Qui si manifesta il vero nodo gordiano che sembra aver avvolto il dibattito in Italia. “Le carte costano mentre il contante è gratis” si sente da più parti.

Ecco la contestazione si basa su un’illusione e, teoricamente, una maggiore consapevolezza da parte di tutti della natura e dei costi dei mezzi di pagamento magari potrebbe portare a snodare la questione con il mitologico colpo di spada. Diciamo subito che il contante non è gratis! Costa tanto e questo prezzo è assai subdolo, contrariamente a quello delle carte, perché nascosto sotto altri capitoli di spesa.

Anche qui ci viene in aiuto Banca d’Italia con la sua meritevole opera di divulgazione in materia di moneta e di economia, cosa, però, ignorata da tanti che preferiscono andare a ciliegie (sì è quello che in inglese viene chiamato cherry picking cioè la ricerca di quelle informazioni funzionali al sostegno della propria tesi, tralasciando tutte le altre), che pubblica i costi reali dei mezzi di pagamento in Italia.

Bene, il contante costa (su dati relativi al 2020) circa 7,1 miliardi di euro all’anno, di cui la metà (produzione e controllo anti contraffazione) è coperta dallo stato per via fiscale, quindi con le tasse di tutti noi, e l’altra metà dai privati (contabilità, trasporto valori, sicurezza, assicurazioni) cioè dalle banche che scaricano questi costi sui canoni dei conti correnti e sulle commissioni per gli altri servizi. I pagamenti elettronici, invece, sono costati in totale 772 milioni di euro nello stesso periodo cioè un decimo esatto rispetto alla gestione del contante.

Passando a una stratificazione del campione degli utilizzatori finali, sempre Bankitalia va a distribuire i costi sui commercianti, cioè su quanto pesi il costo dei mezzi di pagamento, mediamente, rispetto al fatturato totale e da qui si nota che le transazioni in contanti pesino per l’1%, quelle con carte/app lo 0,65% mentre gli incassi tramite bonifico bancario lo 0,06%.

L’obiezione canonica sarebbe “ma io non pago nulla sull’incasso in contante e su 100 euro avrei 100 euro da riutilizzare, mentre con la carta su 100 euro avrei solo 99 euro” che, però, come già detto prima non tiene conto dei costi occulti che si continuano a pagare per l’uso del contante che non si manifestano numericamente subito ma solo alle scadenze dei pagamenti fiscali e dei canoni bancari.

Un’altra sarebbe “mai io pago molto di più per una VISA rispetto a quanto riportato da Bankitalia” ma è solo perché, probabilmente, si è in possesso di un contratto molto vecchio con costi fuori mercato e mai ricontrattati anche perché le commissioni di incasso italiane sono tra le più basse in Europa e in tutto il mondo, USA compresi.

Detto tutto questo esiste un diritto del consumatore a pagare con via POS? La risposta è NI! Questo perché in assenza di obblighi di legge sarebbe corretto che ogni commerciante sia libero di accettare i supporti di pagamento preferiti (quindi, asintoticamente, potrebbe anche rifiutare il contante preferendo un altro supporto) mentre il consumatore ha la facoltà di scegliere il commerciante che applichi le condizioni migliori per la transazione, anche sui mezzi di pagamento.

Il mercato è spinto dalla domanda e, nel medio periodo, saranno le abitudini e la volontà aggregata dei consumatori a obbligare determinati sistemi di pagamento perché nessun commerciante sarà tanto fesso da perdere quote di mercato per via di un puntiglio su come incassare e regalarle, che so, ad Amazon, visto che i clienti persi difficilmente torneranno mai indietro e le ipotesi, ingenue, di discriminazione dei clienti con aggravi di costo se decidessero di pagare con le carte spingerebbero solo in questa direzione.

Quindi è giusto l’obbligo di POS? No, non è corretto anche se porterebbe a un vantaggio notevole sul sistema e non solo per contrastare una presunta evasione fiscale (che continuerà nonostante questo obbligo, proprio perché non esiste limite di pagamento o obbligo che tenga in questi casi) ma sarebbe più corretto l’incentivo ad usare pagamenti alternativi al contante, anche per via fiscale, sia lato domanda sia lato offerta e chissà se, prima o poi, questo sarà capito.