Cardinal Bo: “Stop agli abusi sulla dignità umana in Birmania”

Per il Myanmar è tempo “di affrontare nuove sfide e porre fine agli abusi sulla dignità umana; cercare la pace e la riconciliazione; amare la libertà e perseguire la verità; celebrare la diversità e la dignità della differenza; amare la creazione”. Lo afferma il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon e presidente della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (Fabc) in una lettera pubblicata in occasione della solennità dell’Assunzione di Maria intitolata “Riflessioni dalla periferia – l’amore di Dio per il popolo e le nazioni dell’Asia”. La Birmania, ufficialmente Repubblica dell'Unione del Myanmar è uno Stato dell'Asia sudorientale tra Bangladesh, India e Cina tra i più poveri al mondo. L'8 novembre 2015 si sono svolte nuove elezioni parlamentari generali per rinnovare i seggi del parlamento elettivi (il 25% dei seggi resta riservato a membri nominati dalle forze armate). Le elezioni, giudicate le più democratiche dal 1990, hanno visto la vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi. In questi giorni, il governo del Bangladesh e la Birmania stanno trattando per consentire il rimpatrio dei profughi di etnia Rohingya fuggiti dall’ex colonia britannica dal 25 agosto del 2017, in seguito a una violentissima repressione da parte dell’esercito birmano nello stato di Rakhine che l’Onu descrisse come “ispirato ai principi della pulizia etnica”. 

Il messaggio di pace

Nella missiva inviata a AsiaNews, l’arcivescovo di Yangon esprime “le profonde preoccupazioni della Chiesa per le prove che oggi attendono il Paese”. Il presule chiarisce tuttavia di essere “un leader religioso e non un politico”, e sottolinea di non voler “schierarsi da nessuna parte, se non quella di pace, giustizia, riconciliazione, dignità umana e amore”. Nel 2020, infatti, il popolo birmano prenderà parte alle seconde elezioni democratiche dalla fine del regime militare. Il rilascio di prigionieri politici, la firma di cessate il fuoco, il voto democratico ed un governo a guida civile: negli ultimi sette anni, il Paese ha assistito a quella che pensava fosse “l'inizio di una nuova alba”. “Ma negli ultimi tempi – dichiara il card. Bo – sono riapparse nuvole molto scure, che offuscano lo scintillio della luce che aveva cominciato ad emergere. Il persistere del conflitto, gli abusi continui e la diffusione dell'odio religioso e razziale minacciano le speranze, le libertà e la dignità delle persone in tutto il Paese”. Per la Chiesa, sottolinea il cardinale, “la pace è al centro della missione”. Tuttavia, questa dev’esser sempre accompagnata da giustizia e libertà, che vengono garantite dal “rispetto della diversità etnica e religiosa” e proteggendo “i diritti umani fondamentali di ogni singola persona, indipendentemente da razza, religione o genere”. Il card. Bo invita la nazione a percorrere la via di un dialogo “basato su costruzione delle fiducia e rispetto” e senza “i rancori delle nazionalità etniche”. La soluzione da lui prospettata è un sistema federale delle nazionalità etniche, con “risorse naturali condivise e distribuite a beneficio delle persone, piuttosto che saccheggiate e accumulate da una piccola élite”. “Uniamoci come nazione basata sui valori di Metta (amorevole benignità) e Karuna (compassione) della tradizione buddista, del salam (pace) di quella islamica e del principio cristiano di amare il prossimo come se stessi ed il nemico”, l’appello del card. Bo. “La Chiesa in Myanmar – conclude – è pronta ad essere un luogo di misericordia per tutti, un centro di riconciliazione; a difendere i diritti di tutti in ogni luogo, senza eccezioni di religione o etnia; e ad abbattere le barriere, spostare recinti e contrastare l'odio con l’amore”. Leggi qui il testo integrale in lingua inglese.