Car-T: una terapia immunologica per sconfiggere i tumori del sangue

Il professore Federico Lussana spiega ad Interris.it il trattamento innovativo delle Car-T, efficace per la cura dei tumori onco-ematologici

Lussana - Car-Cik
A sinistra il dottore Federico Lussana. A destra al Laboratorio Lanzani del Papa Giovanni XXIII dove sono prodotte le cellule Car-Cik. Foto: Ospedale Papa Giovanni XXIII

La ricerca di nuovi e più efficaci trattamenti per le patologie ematologiche acute e croniche passa attraverso l’indagine clinica di protocolli terapeutici sperimentali, che vengono eseguiti in centri specialistici italiani ed esteri. Tra le terapie innovative in campo onco-ematologico c’è quella delle Car-T, che permette di offrire una possibilità di cura a pazienti ematologici, affetti per esempio da leucemia linfoblastica acuta, da linfomi di non-Hodgkin o da mileoma multiplo, che sono andati incontro a una ricaduta dopo una o più terapie convenzionali.

L’intervista

Interris.it ne ha parlato con il professore Federico Lussana, medico del dipartimento oncologia ed ematologia dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e professore associato di ematologia dell’Università degli Studi di Milano.

Professore, che cosa sono le Car-T?

“Si tratta di una terapia innovativa che si differenzia dalle altre perché è basata su cellule geneticamente modificate, ovvero si utilizzano specifiche cellule immunitarie, i linfociti T, geneticamente modificati per renderli in grado di riconoscere e colpire un bersaglio specifico del tumore. Questi vengono isolati da un campione di sangue del paziente, ingegnerizzati ted espansi in laboratorio e poi reinfusi nel paziente”.

Cosa accade nel momento in cui vengono introdotte nell’organismo della persona malata?

“A questi linfociti T si fa esprimere un recettore, denominato Car (recettore chimerico dell’antigene), capace di riconoscere specificamente un bersaglio specifico della malattia, ovvero una proteina espressa nella superficie della cellula tumorale. In questo modo viene insegnato al sistema immunitario del paziente a riconoscere lo specifico antigene presente nella cellula tumorale e quindi anche ad aggredirla”. 

Perché si interviene con questo tipo di terapia?

“Quando avviene una ricaduta, ovvero un fallimento di una o più terapie standard, le probabilità di ottenere un’ulteriore remissione della malattia con dei trattamenti convenzionali è molto remota. Su questi pazienti la terapia immunologia con Car-T ha dimostrato di ottenere ottimi risultati e in un futuro prossimo potrebbe anche essere usata  per la cura dei tumori solidi”.

Come avviene la somministrazione di questi linfociti-T?

“Si tratta di una terapia one shot, non dolorosa. L’infusione viene preceduta da una terapia linfodepletiva che è una forma di chemioterapia che distrugge i linfociti normali del paziente e crea la condizione ideale per i linfociti T di agire e di colpire velocemente il tumore. Durante i primi giorni dopo l’infusione i pazienti vengono monitorati per individuare precocemente eventuali effetti collaterali che si possono presentare come la sindrome da rilascio citochinico (CRS), caratterizzata da un’alterazione della temperatura, della pressione e dell’ossigenazione o da altre reazioni avverse neurologiche. Anche se talora il paziente potrebbe necessitare di essere assistito temporaneamente in terapia intensiva, nella maggior parte dei casi, le complicanze vengono identificate e trattate con successo ”.

La ricerca non si ferma e voi del Papa Giovanni XXIII con la Fondazione Tettamanti e Clinica Pediatrica di Monza, avete delineato una nuova forma di Car-T, le CARCIK. Di cosa si tratta?

“Le CARCIK (Cytokine Induced Killer) rappresentano un’evoluzione della terapia CAR-T in quanto i linfociti sono prelevati da un donatore sano attraverso un processo più semplice, meno costoso e che non richiede l’utilizzo di vettori virali, ma di trasposoni per inserire al loro interno il frammento di Dna necessario per produrre il recettore ibrido CAR. L’utilizzo di cellule allogeniche in alternativa alle cellule autologhe del paziente è di grande interesse sia in termini di qualità del prodotto, perché si utilizzano linfociti sani del donatore e non danneggiati da precedenti chemioterapie, sia di possibilità di accesso al trattamento per i pazienti con una recidiva rapidamente progressiva e che non riuscirebbero ad attendere i tempi di produzione delle cellule, che complessivamente si aggirano intorno alle cinque settimane. Usando invece dei donatori terzi, queste cellule possono essere già pronte all’uso e utilizzate all’occorrenza, abbattendo i tempi di realizzazione”.