Colombia, contagio globale

Il sole di mezzogiorno dopo l'intensa pioggia di ieri ha illuminato l'imponente manifestazione per le strade di Bogotà, dove dal pomeriggio si sono inaspriti gli scontri tra i manifestanti e le forze di sicurezza del Paese che forniscono già un primo, amaro bilancio. Secondo quanto ha dichiarato il ministro della Difesa, Carlos Holmes Trujillo, si contano almeno tre morti 273 feriti, di cui 151 agenti. Due i luoghi di protesta più simbolici: Plaza de Simón Bolívar e il campus dell'Università Nazionale, aree-chiave per capire, al di là dei gas lacrimogeni e dei roghi abusivi, lo stato di insofferenza in cui versa la Colombia. Oltre alla Capitale, anche diverse città del Paese sono a ferro e fuoco, come Buenaventura, dove si sono registrati gli episodi più violenti.

Manifestazioni corali

Lo sciopero nazionale è stato scatenato dalla riforma del taglio delle pensioni prospettato da Iván Duque ma mai formalmente annunciato. Malgrado le mancate dichiarazioni del governo, sono bastate semplici ipotesi per incrementare l'insoddisfazione nei confronti dell'attuale governo: secondo i giornali locali, da quando Duque è entrato in carica lo scorso 26 agosto, il suo rating di approvazione è sceso al 26%. Al momento, il presidente si è sottratto a un dialogo con i leader della protesta, ma in un discorso alla nazione per mezzo televisivo ha dichiarato: “Oggi i colombiani hanno parlato, li stiamo ascoltando, il dialogo sociale è stato la caratteristica principale di questo governo e dobbiamo approfondirlo con tutti i settori di questa società”. A dare voce ai manifestanti è stato Gustavo Petro, senatore dell'opposizione, che in un tweet ha scritto: “Non è l'economia che sta crescendo come dicono Duque e i suoi amici. Sono i profitti dei banchieri che stanno crescendo, il che significa che stanno svuotando l'economia”.

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Nelle ultime manifestazioni, unanime è la voce dei manifestanti che si dicono stanchi delle politiche di previdenza sociale, troppo inadeguate per coprire le pensioni future: “Oggi sto marciando perché la mia generazione ha bisogno di una pensione quando invecchiamo”, ha detto al Guardian María Rodríguez, una studentessa che stava marciando con i suoi colleghi. 

Locatelli (Limes): “La causa? Economica e politica”

“Quello che sta succedendo in Colombia s'inserisce nell'ondata di malcontento che pervade tutta l'America Latina” dice Niccolò Locatelli, coordinatore di Limes online. “Sicuramente il casus belli è il malcontento verso il presidente Duque, ma se vogliamo ampliare lo sguardo, vediamo che la Colombia non è riuscita a superare due problemi: da un lato politico, dall'altro economico”. Secondo l'esperto, “sotto un profilo economico, il Paese paga i suoi legami con l'esportazione di materie prime, in larga parte idrocarburi. Nello scorso decennio – continua Locatelli – la Colombia ha assistito a una fase di espansione dei prezzi, che ha portato a più risorse. Eppure dal 2009, con lo scoppio globale della crisi e poi con il calo del prezzo del petrolio dal 2014, l'America Latina soffre le voci di recessione che stanno sempre più prendendo corpo a livello internazionale”. Ma il Paese sta scontando anche un problema politico, acuitosi negli anni Sessanta con il movimento di resistenza dei contadini nelle aree più rurali del Paese, che hanno preso corpo in guerriglie armate. Secondo Locatelli: “nella Colombia le guerriglie, le Farc soprattutto, hanno spesso dimenticato le motivazioni alla base della loro protesta, vale a dire la riforma agraria che in Colombia non c'è. Nel 2016, si è raggiunto un accordo che non è stato rispettato dal governo. Quindi, diciamo che tutti questi problemi estemporanei si sono depositati e l'austerity annunciata da Duque non ha fatto altro che farli esplodere“.