Pnrr: abbiamo ancora tempo per riportare il treno sui binari

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Foto ©Ministero economia e finanza

Due anni fa era la manna dal cielo. Oggi, meno. Ma c’è ancora tempo per riportare sui binari un treno carico di 191,5 miliardi di euro di Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). La terza rata da 21,8 miliardi di euro sembra essere assicurata, ma poi il problema ci sarà sulle prossime. Quarta e quinta rata valgono, nell’ordine, 18,4 e 20,7 miliardi di euro. E devono essere richieste nel 2023. I tempi corrono, il terzo settore colpito dalla pandemia prima, dalle implicazioni della guerra in Ucraina poi, e dall’inflazione infine, rischia di essere quello più dimenticato nel computo generale. Un errore che potrebbe avere ripercussioni a livello generazionale.

È una lunga corsa a ostacoli quella del Recovery fund italiano. Prima, si pensava che fosse la panacea per tutti i mali. Poi, la brutale invasione della Russia ai danni dell’Ucraina ha cambiato le carte in tavola. Le fiammate dei prezzi scaturite dai rincari della componente energetica si sono trasferite alla manifattura e poi ai servizi, dove è presumibile che perdurino fino a dopo l’estate che si è appena aperta. E continuano a minare l’ottimale attuazione del Pnrr. Fondamentale sarà il raggiungimento, nell’anno in corso, di 27 tra obiettivi e risultati entro il 30 giugno, e 69 (sempre tra obiettivi e risultati) prima della fine dell’anno. Altrimenti, i 39,1 miliardi di euro potrebbero subìre un rallentamento nell’erogazione. O non essere erogati del tutto. Una grana evitabile, se le compagini politiche evitassero i parapiglia classici che bloccano i processi istituzionali di frequente.

Con occhi attenti e critici guarda il terzo settore. Il quale, in un’epoca di crescenti diseguaglianze, sta cercando di trovare risorse per ridurre i gap, che siano salariali, energetici o di genere. Senza il supporto di questa componente della società civile, ha più volte sottolineato la Banca d’Italia, non ci può essere sviluppo sostenibile. E quindi crescita organica. Concordano anche gli imprenditori e l’universo della finanza. “Il Pnrr è stato progettato per affrontare le sfide economiche e sociali causate dalla pandemia, sopraggiunta in un momento storico unico, in cui il Paese era particolarmente fragile. A distanza di due anni – stando ai risultati dell’indagine EY-SWG – la percezione finale è che il Pnrr potrà lasciare in eredità nuove infrastrutture (67%), più efficaci forme di collaborazione tra pubblico e privato e degli strumenti di governance (52%), nonché migliori strumenti e know-how di gestione dei grandi investimenti pubblici (66%)”. Secondo Dario Bergamo, responsabile Mercati Regolati di EY Italia, “risulta quindi indispensabile – in questo momento in cui gli sforzi del governo italiano sono concentrati sulla riprogrammazione di risorse e progetti – valutare quali azioni possano essere intraprese in risposta alle criticità individuate per riorientare il percorso intrapreso e mantenere la promessa del Piano, trasformando così il Pnrr da strumento di resilienza a motore trainante di rilancio del Paese”.

Il nodo gordiano da sciogliere, in una fase storica così fragile e carica di incertezza, è come conciliare le esigenze del terzo settore con la geopolitica, da un lato, e le ingerenze del consenso elettorale, dall’altro. Con, sullo sfondo, le lungaggini date dalla burocrazia italiana che rallenta i processi amministrativi tanto a livello centrale quanto a livello periferico. Il rischio è quello di amplificare le diseguaglianze esistenti. Ma, come rimarcato a fine marzo dal ministro per gli Affari Europei e il Pnrr, Raffaele Fitto, “è stato dato il via a una stagione di dialogo e collaborazione fattiva utile al miglioramento stesso del Pnrr e in sintonia con la valorizzazione dell’amministrazione condivisa, della coprogrammazione e coprogettazione”. Con l’obiettivo di non lasciare indietro alcuna persona. Elemento che sarebbe un errore imperdonabile. Non solo in ottica di solidarietà sociale, bensì di sviluppo economico nel lungo periodo. Che, come sottolineato dalla Banca d’Italia, dovrà essere non solo sostenibile, ma anche inclusiva.