Famiglia Ulma: una beatificazione senza precedenti

L’intervista di Interris.it a Manuela Tulli, giornalista dell’agenzia Ansa e autrice con padre Paweł Rytel-Andrianik del libro “Uccisero anche i Bambini. Gli Ulma, la famiglia martire che aiutò gli ebrei”

A destra: la copertina del libro, a sinistra: Manuela Tulli (© Manuela Tulli)

Un libro pubblicato in questi giorni, intitolato “Uccisero anche i bambini. Gli Ulma, la famiglia martire che aiutò gli ebrei”, grazie ad una storia di fede e altruismo, ci aiuta ad illuminare con un frammento di luce gli anni bui della Seconda guerra mondiale, che per il mondo intero, hanno significato sofferenze, occupazione e sterminio di persone inermi.

La famiglia Ulma

A Markowa, un villaggio nel sud-est della Polonia, durante l’occupazione nazista, vivevano molte famiglie ebree e diverse famiglie di cattolici hanno deciso – a rischio della propria vita – di dar loro rifugio. Una di queste era quella degli Ulma composta da papà Josef e mamma Wiktoria, dalla cui unione sono nati Stasia, Basia, Wladziu, Franio, Antos e Marysua. A loro a breve si sarebbe unito anche un settimo bambino. Essi coraggiosamente, seguendo il Vangelo, hanno aperto la porta della loro casa a ben otto persone ebree, tra cui anche dei minori. Per questo atto di grande altruismo, il 24 marzo 1944, sono stati uccisi dai nazisti. Il prossimo 10 settembre Papa Francesco procederà alla loro Beatificazione. Interris.it, in merito a questa storia di altruismo, coraggio e fede, ha intervistato Manuela Tulli, giornalista e autrice, insieme a don Pawel Rytel-Andrianik, del libro sulla famiglia Ulma edito dalle Edizioni Ares.

La famiglia Ulma (© Manuela Tulli)

L’intervista

Lei in qualità giornalista sul fronte da tanti anni ha ascoltato molte storie. Perché ha scelto di scrivere un libro proprio su questa vicenda?

“Dico sempre che, le storie più belle, non sono quelle che si cercano ma che, in qualche modo, cercano noi. Ho conosciuto questa storia mentre mi recavo in Ucraina per seguire la guerra e, mentre passavo da questa cittadina di confine che si chiama Chmel’nyc’kyj dove, nei primi giorni del conflitto, arrivavano donne e bambini in fuga. Li, prima di prendere il treno per Kiev, sono entrata in alcune chiese e alla Caritas e ho notato che dovunque c’erano le foto della famiglia Ulma di Markova, località situata in quella diocesi. Questo mi ha incuriosito perché, accanto alle foto dei Santi come Giovanni Paolo II e suor Faustina, si trovava questa famiglia con sei bambini piccoli e uno in arrivo. In quel luogo ho incontrato il postulatore della loro causa che mi ha regalato un loro libro di fotografie in quanto, il papà di questa famiglia, era un fotografo. Subito dopo, quando sono tornata dall’Ucraina, mi sono appassionata alla loro storia ed ho pensato al legame tra la guerra di oggi e quella di ieri. La sofferenza ma anche la generosità della famiglia Ulma è come quella odierna di molti che stanno aprendo le porte a chi scappa dalle sofferenze. È stata una storia che ha cercato me, il coautore è un sacerdote polacco, don Pawel Rytel-Andrianik, con cui, pian piano, abbiamo scritto questo libro”.

Nella Beatificazione è stata inclusa anche una creatura che era nel grembo della mamma, è la prima volta nella storia della Chiesa che accade. Che significato vuole dare la Chiesa beatificando un’intera famiglia e un nascituro ancora nel grembo materno?

“E’ la prima volta che questo accade nella storia della Chiesa. Nella positio con la quale si è arrivati a decretare la beatificazione c’è la notizia che, quando c’è stato l’eccidio, questo bambino era nel grembo materno ma, quando i corpi sono stati dissotterrati per dar loro degna sepoltura, è stata trovata la sua testolina che stava per uscire dal grembo materno. È probabile che, lo shock dell’eccidio, abbia indotto la mamma al travaglio. In ogni caso è un bambino senza nome e non battezzato ma che, secondo il Dicastero delle Cause dei Santi, ha ricevuto il Battesimo del Sangue e, quindi, anche lui è un martire. Questo è molto importante ed è in linea con Papa Francesco che parla sempre della tutela dei bambini che devono nascere e della salvaguardia della vita. La Chiesa, riconoscendo per la prima volta un bambino che stava per nascere, ha sottolineato l’importanza della vita fin dal primo momento. Questa famiglia era tutta cristiana, pregavano e i bambini erano convolti attraverso l’amore che il papà e la mamma avevano trasmesso loro. Questo è il motivo per cui vengono beatificati tutti insieme”.

La famiglia Ulma (© Manuela Tulli)

Quale miracolo ha scelto il Dicastero delle cause dei Santi per la Beatificazione e per quale motivo?

“Per i martiri non è necessario un miracolo. Il postulatore, don Witold Burda, parla di racconti che lui ha ricevuto da diverse coppie di famiglie che aspettavano bambini, i quali si sono affidati alla famiglia Ulma e poi effettivamente li hanno avuti. Queste storie però non hanno nomi e cognomi, proprio perché la Chiesa ha seguito la procedura del martirio per cui non serve il miracolo. Nel libro, inoltre, viene raccontata la storia di una famiglia americana che si è affidata agli Ulma per la guarigione del papà malato, non ha vissuto il miracolo della guarigione ma quello della conversione, vivendo tutti insieme con spirito d’amore.”

Il martirio della famiglia Ulma cosa può dire ai cristiani di oggi e alle famiglie cattoliche? Qual è il messaggio più profondo che rivela questa storia di martirio?

“Gli Ulma sono stati uccisi in odio alla fede, quindi uccisi perché cristiani. Mettevano in pratica il Vangelo e, per loro, è stato naturale aprire la porta di casa a otto ebrei, rischiando la vita e poi perdendola. Non si sono posti molte domande perché erano cristiani di fatto. Si pensi che, nella loro casa, dopo l’eccidio, è stata aperta la Bibbia ed era sottolineato con la penna rossa il passo del buon samaritano, con la scritta in polacco ‘tak’ che significa ‘si’. Gli Ulma erano conosciuti come ‘i samaritani di Markova’, leggevano il Vangelo, pregavano ed erano devoti alla Madonna mettendolo in pratica. Sono diventati samaritani nel vero senso della parola. Questo è il vero messaggio per i cristiani. Il Papa, nell’udienza dello scorso 30 agosto ha detto che ‘la loro eroicità ci dimostra come la santità si può raggiungere nella vita quotidiana’. Una vita normale all’insegna del Vangelo significa anche assumersi tutti i rischi che si hanno nell’accoglienza e nell’amore, non voltandosi dall’altra parte.”

Questa Beatificazione potrà avere qualche ripercussione positiva nel dialogo con gli ebrei?

“Assolutamente sì. C’è già un dialogo avviato se si pensa a ciò che hanno fatto Papa Francesco e i pontefici precedenti come Giovanni Paolo II. Questo libro è stato voluto dal centro del dialogo tra ebrei e cristiani dell’Università Cattolica di Lublino. Coloro che si sono occupati della causa di beatificazione parlano di un martirio ebraico – cristiano in quanto sono morti tutti insieme, quasi a sugellare che, quando si ama si ama, indipendentemente dalle religioni. Gli esempi di cristiani che hanno aperto le loro porte per salvare gli ebrei sono tanti, si pensi alle suore che hanno aperto loro i conventi. Questo è un bel segnale di amicizia con il popolo ebraico. Prima di diventare beati, gli Ulma, sono stati definiti ‘Giusti tra le Nazioni’, il più grande riconoscimento che Israele conferisce ai non ebrei.”

Markowa, la città dove vivevano gli Ulma, si trova a poche decine di km dal confine ucraino. Che cosa possiamo fare, alla luce della loro storia, per far sì che il loro esempio di compassione nei confronti del prossimo prevalga anche oggi?

“Il libro nasce dalla mia esperienza della guerra in Ucraina. Mi sono imbattuta in questa storia mentre andavo a raccontarne un’altra. Ho capito molte cose: la prima è che, dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, non abbiamo imparato nulla e ci sono nuovi orrori. Si pensi che, gli Ulma, avevano acquistato un terreno che oggi si trova in Ucraina. Gli orrori di ieri, tra cui l’uccisione dei bambini, oggi si ripetono. I bambini oggi vengono deportati o vanno a combattere. Dallo stesso punto però, possono nascere l’amicizia e l’amore che possono prevalere anche sugli orrori della guerra. Gli Ulma hanno aperto la loro porta di casa e hanno continuato a vedere la vita con amore malgrado ci fossero i nazisti. Anche oggi, nonostante le guerre, molte persone si mettono a disposizione di chi ha bisogno a scapito della propria vita. Questa storia ci può donare una luce di speranza. Quando vedo le fotografie degli Ulma non penso subito al loro eccidio, ma all’amicizia, alla generosità e all’allegria. Portare questa luce negli orrori che oggi viviamo è molto importante.”

I sacrifici e i gesti d’amore quotidiani sono stati alla base delle azioni della famiglia Ulma. In che modo, secondo lei, un cristiano può onorare il loro esempio nella società contemporanea?

“La famiglia Ulma incarna ciò che Papa Francesco chiama la ‘Santità della porta accanto’. Erano persone normali, una famiglia come tante ma santa. Improntavano la loro vita al Vangelo, salvando delle persone nel loro villaggio, insegnando ai loro bambini ad amare gli altri. La fraternità è nella vita quotidiana, mettendo in pratica il Vangelo.”