ArcelorMittal, ultimatum delle aziende dell'indotto

Continua a tenere banco il tema dell'ex Ilva, stretta ancora tra il ritiro di ArcelorMittal e la corsa contro il tempo del governo per evitare il carck definitivo, tra appelli al rispetto dei termini del contratto e fascicoli aperti dalla Procura milanese per capire se vi siano o meno violazioni. Al momento, la situazione non risulta diversa rispetto a un paio di giorni fa: gli stabilimenti tarantini restano ancora con la deadline del 4 dicembre, giorno in cui il gruppo franco-indiano dovrebbe chiudere una volta per tutte con l'ex Ilva e, soprattutto, spegnere l'altoforno principale, bloccando l'attività produttiva, mentre l'esecutivo cerca di torvare una soluzione prima di quella scadenza anche se, a ora, le possibilità di instaurare un nuovo dialogo dopo il fallimento dei colloqui al Mise di venerdì scorso restano quasi una chimera. E ora, per completare il quadro, la crisi dell'acciaieria tarantina si sposta anche nel settore dell'indotto, con le aziende degli autotrasportatori che hanno deciso di bloccare le portinerie d'ingresso ed uscita merci degli stabilimenti, dicendosi disponibili a riaprirli qualora ArcelorMittal saldi tutte le fatture dei trasporti da agosto in poi.

Caos scudo penale

Il rischo per il gruppo franco-indiano è di trovarsi di fronte allo stop prematuro di parte del sistema di produzione, con gli autotrasportatori che hanno posto un ulteriore ultimatum legato al saldo delle fatture che, qualora non avvenisse a strettissimo giro, potrebbe comportare il ritiro degli operai (si parla di un credito accumulato di cira 60 milioni). Nel frattempo, si continua a discutere dello scudo penale come unica via d'uscita dal nodo gordiano dell'ex Ilva, fattore necessario anche in virtù di un eventuale nuovo commissariamento: “Bisogna rimettere immediatamente lo scudo penale, perché senza quello non c'è commissario né privato che venga a firmare alcunché – ha spiegato Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, intercettato dai cronisti a Bologna -. Se il governo non rimette lo scudo chiunque non va a firmare nulla, perché se per investire nel Paese deve essere arrestato… Il governo rimetta lo scudo, convochi l'azienda e apra un confronto serrato a tutto campo nella salvaguardia dell'azienda e dell'occupazione”.

Posto che il ritorno al dialogo resta complicato, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio continua a mantenerlo come condizione necessaria per sbrogliare la matassa: “Tutte le scelte che verranno fatte su Ilva derivano dal fatto che Mittal si risieda al tavolo. Qui stiamo parlando di una multinazionale che se ne va. Noi speriamo ci possa essere un incontro a Palazzo Chigi”.