Taglio dei parlamentari, la legge in aula il 7 ottobre

Non è finita finché non è finita, dice un vecchio proverbio sportivo. Il taglio dei parlamentari comincia a vedere la dirittura d'arrivo, almeno nelle intenzioni dei principali corridori in gara. È stata decisa la data dell'ultima lettura. La conferenza dei capigruppo alla Camera dei Deputati ha infatti calendarizzato per il prossimo 7 ottobre l'approdo nell'aula di Montecitorio della proposta di legge costituzionale che ridurrebbe i rappresentati del popolo, 945 parlamentari eletti (a cui vanno aggiunti i sei senatori a vita), di 315 unità. Si tratta di una delle misure bandiera del Movimento 5 Stelle, che faceva parte della sua offerta politica fin dalla prima ora. Si dimostra contento l'attuale capo politico pentastellato Luigi Di Maio: “Una prova di lealtà del Partito democratico e di tutto il governo”. Il proseguimento dell'iter della proposta di modifica della Costituzione era stato infatti una delle condizioni poste dal Movimento al Pd per la formazione dell'esecutivo Conte II, anche se poi nella bozza del programma di governo ci si era limitati a dire che la misura andava calendarizzata il prima possibile. Di Maio ne ha anche, non troppo indirettamente, per l'ex alleato Matteo Salvini: “Tutto dicono che questo governo è nato per mantenere le poltrone e invece la taglia, alla faccia di chi ha fatto cadere il precedente”. Dal versante Pd, il presidente dei deputati dem Graziano Delrio rimarca che il suo partito è stato di parola e ora si aspetta lo stesso dai pentastellati: “Siamo persone serie e abbiamo inserito al primo calendario utile la riforma del taglio dei parlamentari. Abbiamo definito le garanzie e i contrappesi, e che sono già pronti per essere presentati”, cioè le modifiche sui Regolamenti delle camere e la nuova legge elettorale. Le opposizioni manifestano invece il loro disappunto. Da Forza Italiache a maggio sempre alla Camera aveva votato sì – Anna Maria Bernini attacca il Partito democratico accusandolo di essere “disposto a tutto per il potere”, anche ad accettare “una riforma contro cui ha votato ben tre volte contro”. Parla invece di “errore” del Pd Benedetto Della Vedova di +Europa in un tweet: “Una resa ufficiale all'agenda populista, antipolitica e antiparlamentare del M5S”.

Il taglio e gli effetti

Efficacia e risparmio per il paese. Con queste due parole il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico d'Incà, quota Movimento 5 Stelle, ha salutato la decisone della capigruppo. Con 345 parlamentari in meno le due Camere lavorerebbero più rapidamenti e circa 500 milioni resterebbero nelle casse dello Stato, , secondo i pentastellati. Come scrive Il Sole 24 Ore, è stata la Costituzione a fissare il numero dei rappresentati del popolo italiano alla Camera e al Senato, che dal 1963 sono 945, più i senatori a vita, oggi sei. A Montecitorio 630, a Palazzo Madama 315. La proposta dei Cinquestelle li ridurrebbe a 400 e a 200. La modifica della Carta costituzionale comportebbe la riduzione del numero minimo di senatori eletti per Regione (il Senato si vota su base regionale, a differenza della Camera che è su base circoscrizionale). La proposta prevede di portarli da sette a tre. La situazione resterebbe inalterata solo in Valle d'Aosta e in Molise, che eleggono rispettivamente uno e due rappresentati a Palazzo Madama. Subirebbero il taglio anche i parlamentari eletti nella Circoscrizione estero. Da 12 a otto i deputati e da sei a quattro i senatori. La riduzione del numero dei rappresentanti del popolo si realizzerebbe in concreto, illustra il quotidiano di Confindustria, dal primo scioglimento di Camera e Senato dopo la sua entrata in vigore. 

L'iter

Trattandosi di una modifica della Costituzione, segue il procedimento di revisione fissato dall'articolo 138 della Carta. Il progetto di legge deve essere deliberato due volte da entrambe le Camere e deve essere approvato con maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera alla loro seconda seconda votazione del testo. A quel punto viene pubblicata in Gazzetta ufficiale. Ma entro tre mesi dalla pubblicazione può essere avanzata una proposta di referendum costituzionale che abbia per oggetto quel testo, da parte di un quinto dei membri di ciascuna Camera, cinque Consigli regionali o 500mila elettori. A quel punto, la palla passerebbe alla Cassazione, scrive Open, che si dovrebbe esprimere sulla validità del quesito referendario. In due occasioni la consultazione diretta dei cittadini ha bocciato le modifiche alla Costituzione. Nel 2006, contro la riforma del centrodestra, e dieci anni dopo, nel 2016 contro quella a firma di Maria Elena Boschi che aboliva il bicameralismo perfetto, riducendo il Senato a una sorta di Camera della Regioni.