LA VERA STORIA DI “ASTRO DEL CIEL”

“Chi è che suona l’organo?”, dice padre Joseph Mohr, parroco della Chiesa di Sankt Nikolaus a Oberndorf, piccola città di confine tra l’Impero asburgico e il regno di Prussia. Fuori è già notte, ed è gelida e nevosa, come spesso accade in inverno da queste parti. E’ una notte speciale, però: è il 24 dicembre, la Vigilia di Natale del 1818. All’interno della parrocchia, il giovane prete ascolta i piccoli suoni provenienti dalla stanza adiacente: c’è qualcuno che sta usando la tastiera dell’organo della chiesa! Entra di corsa, lo strumento è al suo posto e al banchetto non c’è nessuno. Allora, avvicinatosi, prova a pigiare su uno dei tasti e… nessun suono. Ne prova un altro, e un altro ancora: nessuna musica, nessuna nota… l’organo si è rotto! “Colpa dei topi! Hanno mangiato il mantice!”, si lamenta sconsolato padre Mohr, scorrendo con gli occhi lo spartito che ha in mano, da lui scritto giusto due anni prima, nel 1816, quando era assistente parrocchiale nel paese paterno di Mariapfarr. D’accordo, lo aveva composto come poesia, ma aveva giusto l’intenzione di chiedere al suo amico Franz Gruber, maestro di musica, di comporre una melodia all’organo per suonarlo proprio quella sera, davanti ai fedeli della sua parrocchia. “E ora cosa facciamo?”, chiede al musicista. Lui, nel frattempo, ha imbracciato una chitarra, iniziando a pizzicarne le corde e canticchiando sottovoce. Ed è qui che inizia la magia: la melodia che ne esce è dolce, penetrante, perfettamente intonata all’atmosfera natalizia che si respira nelle strade della cittadina. Le parole “Stille nacht! Heilige nacht! Alles schläft…”, sembrano uscire dalle finestre della sagrestia e camminare per le vie, quasi sussurrandosi ai passanti. Padre Mohr è entusiasta, e decide che la partitura verrà suonata alla Messa di mezzanotte, nella chiesa gremita di fedeli. Anche senza organo.

Sembrerebbe una bellissima storia di Natale e, in un certo senso, lo è. Una leggenda, nulla di più, anche se i suoi personaggi sono davvero esistiti, e hanno rispettivamente composto parole e musica di quello che è forse il canto natalizio più celebre. Nessuno sa se l’organo si ruppe davvero, anche se gli storici lo ritengono probabile dal momento che, quella notte, realmente, l’accompagnamento musicale venne fatto alla chitarra. Alcune versioni sostengono addirittura che i topi, pentiti del danno arrecato allo strumento, avessero rimediato soffiando loro stessi nelle canne silenti, suggerendo la melodia. Ma, qualunque sia il racconto al quale si scelga di credere, niente riesce a intaccarne la magia: “Stille nacht”, conosciuto dalle nostre parti come “Astro del Ciel”, è una pietra miliare del Natale e, senza intonarne almeno una volta le strofe, così dolci e sognanti, non sarebbe veramente festa. E, proprio quest’anno, la canzone compie 200 anni senza che, in nessun modo, la sua bellezza originale sia venuta meno.

Come narrano le cronache del tempo, la melodia fu composta nel 1818 dal maestro Franz Xaver Gruber, organista di successo e insegnante di musica, che fu chiamato a intonarla dal giovane parroco ventiseienne, Joseph Mohr, autore del testo. Le parole, per l’appunto: sono loro a costituire, da due secoli a questa parte, l’essenza del brano. Sono cariche di significato, non solo natalizio: era il 1816 e l’Europa era quella della Restaurazione. Le cose erano cambiate dalla Rivoluzione francese in poi, l’impero napoleonico era sorto e tramontato rapidamente, lasciando però indelebili segni nella società europea, impossibili da sanare anche per il Congresso di Vienna. Di lì a poco sarebbero iniziati i moti rivoluzionari. Vigevano tensioni, nuovi ideali di libertà e, soprattutto, le guerre appena terminate avevano lasciato strascichi funesti. C’era bisogno di pace e, probabilmente per questo, padre Mohr sentì il bisogno di comporre un inno in proposito, proprio in occasione della venuta di Cristo.

E’ stato lo stesso Gruber, in realtà, a raccontare nelle “Autentiche motivazioni” la nascita del canto, divenuto oggi, per l’Unesco, Patrimonio culturale intangibile dell’umanità (lo spartito autografo venne rinvenuto nel 1995). Lo straordinario successo ottenuto davanti al povero pubblico di Oberndorf, però, non può spiegare, da solo, una fortuna musicale immutata da ben due secoli, repertorio di grandissimi autori e musicisti, del passato e del presente. Da quanto tramandato, sembra che fu un fabbricante di organi, tale Mauraher, dopo aver ascoltato la canzone, a portarla in Tirolo nel 1819, avviandone di fatto la diffusione sul continente. Nel 1822 fu suonata a Salisburgo, davanti al sovrano austriaco, Francesco II, e allo zar Alessandro di Russia. Successivamente, nel 1839, una versione fu intonata dai fratelli Rainer a New York, mentre la notizia della prima traduzione in inglese, dal titolo “Silent night” e operata dal prete John Freeman Young, si attesta al 1859. In appena venti anni la canzone natalizia, scritta dal parroco di uno sperduto villaggio austriaco, aveva già oltrepassato l’Oceano Atlantico.

L’implicito (ed esplicito) messaggio di pace contenuto nel testo della canzone, a tratti attraversato da una vena malinconica, legata probabilmente alle condizioni sociali dell’epoca della sua creazione, trovò espressione durante uno dei più cupi momenti della storia dell’umanità. Non è possibile affermarlo con certezza ma si racconta che, durante la cosiddetta “tregua di Natale” del 1914, in piena Prima guerra mondiale, dalle fronteggianti trincee inglesi e tedesche, si levò l’inno nelle rispettive versioni, a testimoniare come nemmeno l’orrore del conflitto potesse sminuire il significato unificante della Nascita di Gesù.

Un aneddoto, questo, che rafforza ancor di più il valore assunto dal canto nel corso degli ultimi duecento anni. Sarebbe forse riduttivo citare le tantissime interpretazioni che l’hanno visto protagonista, dall’indimenticabile versione italiana scritta (ma non tradotta) dal sacerdote lombardo Angelo Meli e denominata “Astro del ciel”, a quella di Bing Crosby, che la rese uno dei singoli più venduti di tutti i tempi. Ma, d’altronde, qualunque sia il cantante o il musicista, l’essenza della carola natalizia non cessa di conservare quell’alone di magia che contraddistingue il racconto originale. C’è qualcosa di più che un semplice testo di Natale fra quelle righe, un inno alla pace che, per quanti secoli possano trascorrere, non cesserà probabilmente mai di essere attuale.

Per questo, con l’occasione del bicentenario dalla sua scrittura, “Stille nacht” verrà celebrato in tutta l’Austria durante la Vigilia di Natale, con una serie di eventi che interesseranno i luoghi della sua storia e non solo, in un susseguirsi di feste e preghiere. Già, perché in fondo, questo canto incarna l’essenza stessa della festività. Narra dell’arrivo di Cristo, certo, ma infonde negli uomini quelle necessarie riflessioni sul valore che questo evento porta con sé. Dimenticato, almeno in parte, ai giorni nostri? Forse. Ma, probabilmente, sussurrare le delicate note di questa canzone, in qualunque versione, potrebbe essere un modo per ricordare, a noi stessi, che duecento anni fa il concetto era ben chiaro. E se lo era allora, perché oggi non dovrebbe esserlo?