L’urgenza di calarsi nella realtà come gli apostoli

pietro e paolo

Francesco testimonia l’urgenza evangelica di calarsi nella realtà. Sulle orme degli apostoli la Chiesa è chiamata a operare facendo attenzione ai segni dei tempi, senza cedere alla comodità del conformismo. Ma lasciandosi ispirare dalla preghiera. Un’ esortazione a camminare saldi nella fede in Gesù Cristo, saldi nella verità del Vangelo. L’atteggiamento dei cristiani, però, deve muoversi continuamente secondo i segni dei tempi. I cristiani sono liberi per il dono della libertà che ha donato Gesù Cristo. Ma
il lavoro dei cristiani è guardare cosa succede dentro, discernere i loro sentimenti e pensieri. E cosa accade fuori discernendo i segni dei tempi. Secondo Francesco, dunque, i tempi fanno quello che devono: cambiano. I cristiani devono fare quello che vuole Cristo. Cioè valutare i tempi e cambiare con loro, restando saldi nella verità del Vangelo. Ciò che non è ammesso è il tranquillo conformismo che, di fatto, fa restare immobili. In merito, Francesco ha citato il brano della Lettera ai Romani di San Paolo, il quale predica con tanta forza la libertà che ha salvato l’umanità dal peccato. E c’è la pagina del Vangelo nella quale Gesù parla dei segni dei tempi dando degli ipocriti a coloro che sanno comprenderli ma non fanno altrettanto con il tempo del Figlio dell’Uomo.urgenzaDio ha creato gli uomini liberi e per avere questa libertà occorre aprirsi alla forza dello Spirito. E capire bene cosa accade dentro e fuori il loro animo, usando il discernimento. Gli uomini hanno, secondo Francesco, questa libertà di giudicare quello che succede fuori di essi. Ma per giudicare devono conoscere bene quello che accade fuori da loro stessi.
E come si può fare questo? Come si può fare questo, che la Chiesa chiama conoscere i segni dei tempi? I tempi cambiano. Per Francesco è proprio della saggezza cristiana conoscere questi cambiamenti. Conoscere i diversi tempi e conoscere i segni dei tempi. Cosa significa una cosa e cosa un’altra. E fare questo senza paura, con la libertà. Jorge Mario Bergoglio riconosce che non è una cosa facile. Troppi sono i condizionamenti esterni che premono anche sui cristiani inducendo molti a un più comodo non fare. E invece prima la misericordia poi il resto. Una concezione della sua missione che fa di papa Bergoglio non solo il capo della Chiesa o il portavoce dell’intera cristianità. Bensì un interlocutore e referente morale di “tutti gli uomini di buona volontà” secondo la lezione di Giovanni XXIII. Il predecessore cui Francesco maggiormente si ispira nel magistero e che ha proclamato santo a piazza San Pietro nella stessa cerimonia di canonizzazione di Karol Wojtyla. Mettendo in fila i momenti della sua predicazione si scopre un costante richiamo alla misericordia come strumento di evangelizzazione in un mondo secolarizzato e confuso. Che ha smarrito molti valori ereditati da una fede radicata malgrado infedeltà e inadeguatezze.
UrgenzaAl centro del pontificato di Jorge Mario Bergoglio c’è una priorità. E cioè, rinnovare la scelta missionaria per “arrivare a tutti con il balsamo della misericordia. Specialmente a chi si sente lontano e ai più deboli”. Francesco lo ha ribadito ai partecipanti al Convegno delle presidenze diocesane di Azione Cattolica. L’invito del Pontefice è di lavorare per un rinnovato slancio apostolico. Animato dalla forte passione per la vita della gente. In modo contribuire alla trasformazione della società e orientarla sulla via del bene. Il presidente emerito della Corte Costituzionale, Giovanni Maria Flick, parlando due anni fa alla fondazione “Centesimus annus“, ha precisato la questione. Nell’origine ebraica di ciò che oggi traduciamo con misericordia, l’Antico Testamento usa l’espressione “rehamim”, che propriamente designa le “viscere” (al singolare, in senso materno, ventre). Della misericordia iniziale, Dio conserva memoria per gli uomini. A condizione che gli uomini siano fervidi nella speranza di riceverla, fino all’insistenza, fin quasi all’insolenza. Per Francesco l’obiettivo della predicazione è sollecitare la Chiesa a calarsi nella realtà. iraq“La teologia non può prescindere da un tempo e da uno spazio preciso che è il mondo reale. Dio, infatti, non parla in astratto, ma alle persone concrete che vivono in una data epoca”, puntualizza il cardinale Pietro Parolin. Il Segretario di Stato ha tenuto a Padova una conferenza nella Facoltà teologica del Triveneto. In piena concordanza con il richiamo di Francesco a una teologia incarnata che metta i teologi a confronto con il mondo contemporaneo. E con i suoi problemi come le “nuove migrazioni”. Di fronte alle quali occorre “farsi portatori di istanze etiche capaci di trasformarsi in azioni politiche necessariamente condivise“. urgenzaUna condivisione, osserva il cardinale Parolin, che va oltre gli stessi legami europei. Trattandosi di una realtà le cui cause sono determinate da una comunità internazionale in cui i responsabili, Stati e istituzioni intergovernative, sono preoccupati di garantire equilibri sempre più precari. Piuttosto che puntare a una stabilità e costruire situazioni pacifiche”.