“Un segnale per l’autismo”, Ari e Anffas insieme per l’inclusione

L'intervista di Interris a Christian Fiorelli, radioamatore e padre caregiver in merito al progetto "Un segnale per l'autismo"

© Christian Fiorelli

Circa 1 bambino ogni 70 nati in Italia, è affetto da disturbo dello spettro autistico. Quest’ultimo coinvolge principalmente il linguaggio, la comunicazione, l’interazione sociale e conduce a interessi ristretti, stereotipati e comportamenti ripetitivi. Alcuni bambini mostrano segni dalla nascita, altri le manifestano tra i 18 e 36 mesi che perdurano per tutta la vita. Le cause questa patologia sono ad oggi sconosciute, anche se i ricercatori affermano che nel disturbo dello spettro autistico entrano in gioco cause neurobiologiche, genetiche e psicoambientali.

Gli sforzi per l’inclusione

L’inclusione delle persone con autismo presuppone la creazione di una società più consapevole in merito alle problematiche dell’autismo. Questo obiettivo, nella città di Sondrio, ha portato ad una collaborazione tra l’Associazione Radioamatori Italiani e l’Anffas, che è sfociata nel progetto denominato “Un Segnale Per L’Autismo”, il quale si pone la finalità di sensibilizzare la cittadinanza sulle tematiche sull’autismo con l’uso delle attrezzature e competenze tecniche del radioamatore. Interris.it, in merito a questa esperienza, ha intervistato Christian Fiorelli, padre caregiver e membro di Ari Sondrio.

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© Peter Burdon su Unsplash

L’intervista

Fiorelli, com’è nata l’iniziativa “Un segnale per l’autismo”?

“L’iniziativa è nata dal fatto che io sono padre di un bimbo autistico di sei anni, di nome Lorenzo. Egli è un bambino che, in gergo, si definisce ‘a basso funzionamento’, non verbale e necessità di assistenza continua. Il trascorrere del tempo mi ha fatto rendere conto sempre di più della necessità di far conoscere l’autismo. Sono convinto che, attraverso quest’ultima, coloro che avranno a che fare con delle persone affette da questa neuropatia, ovvero un disturbo nello sviluppo di alcune aree della cognitività, devono essere capaci di interagire e attuare delle procedure che riescano ad includerle nella società e nel mondo che ci circonda. Nella fattispecie, l’iniziativa in oggetto è nata anche dall’essere radioamatore con licenza ministeriale ed ho quindi deciso di unire questa passione con il mio essere padre caregiver. Nel mondo ci sono milioni di persone che, per comunicare, utilizzano apparecchi radioamatoriali e, pertanto, si è deciso di portare questo messaggio di inclusione, anche attraverso questo canale, oltre a quelli canonici dei mass media, per arrivare direttamente al cuore delle persone. È fondamentale dare un messaggio sociale: le persone autistiche vanno aiutate ma sono delle grandi risorse per tutti”.

In base alla vostra personale esperienza, come si possono promuovere sensibilizzare le tematiche legate all’autismo attraverso le competenze proprie dei radioamatori?

“La figura del radioamatore nasce come comunicatore. Utilizza la radio per comunicare con la voce, in gergo tecnico ‘SSB’ ovvero ‘Single Side Bande’, oppure può usare la telegrafia, ovvero il ‘Codice Morse’, un insieme di linee e punti che, prodotti con una certa frequenza, danno origine a una certa musicalità e, insieme, questi piccoli suoni, compongono un brano che consente a molte persone di comunicare. I radioamatori, quindi, possono cercare di portare avanti un messaggio con un nominativo speciale, di cui abbiamo fatto appositamente richiesta, per questa serie di eventi inclusivi dove, Ari ed Anffas, hanno creato un ponte per far conoscere l’autismo, i genitori caregiver e chi sono i radioamatori. In particolare, nel corso della serata di presentazione, un nostro collega della sezione Ari di Venezia, ha portato la sua testimonianza di insegnamento ad un ragazzo autistico ‘ad alto funzionamento’, il cui nome in codice è ‘Samuel’ in onore di Morse, la telegrafia, l’alfabeto fonetico ICAO ed hanno trovato un canale per stimolare la sua parte relativa alla comunicazione. Ciò è stato molto toccante e, la mamma di ‘Samuel’, ci ha mostrato il punto di vista della famiglia e i giovamenti che ne sono stati tratti”.

In che modo, l’utilizzo del Codice Morse, può diventare uno strumento sensoriale di comunicazione per le persone con autismo? Quali sono i vostri auspici per il futuro?

“È un mondo tutto nuovo e un progressivo sperimentare. Infatti, la definizione del radioamatore, sottolinea che, quest’ultimo, è ‘un tecnico competente e uno sperimentatore’. La telegrafia è un linguaggio standardizzato e, sulle persone autistiche, può rappresentare una chiave di volta, in quanto può andare a stimolare la sete di conoscenza e di esplorazione, propria di molti di coloro che sono definiti ‘ad alto funzionamento’. Quindi, attraverso il Codice Morse e la sua musicalità, si è cercato di comporre le prime frasi e, da qui, nel caso di ‘Samuel’, c’è stato uno stimolo, dato anche dalle tecnologie messe a disposizione che ha ampliato il suo bagaglio culturale e la sua voglia di comunicare. L’auspicio è che questa metodologia prenda piede, ma soprattutto vorrei che si possa lavorare al fianco dei professionisti con la nostra risorsa quasi a costo zero. Unendo la nostra passione, in sinergia con le indicazioni date dalle figure professionali e mediche del caso, vorremo mettere in piedi un modello da esportare per favorire l’inclusione e la relazione delle persone autistiche. Vorremmo essere un fattore in più per favorire un livello più accettabile di comunicazione”.