Papa: “Prendiamo le radici delle nostre tradizioni e andiamo oltre l’emergenza”

In un'intervista al giornalista e scrittore britannico Austen Ivereigh Francesco racconta come sta vivendo la pandemia e l’isolamento. Come prepararsi al dopo.

“Mi viene in mente un verso di Virgilio, quando Enea, sconfitto a Troia, aveva perduto tutto e gli restavano due vie d’uscita: o rimanere là a piangere e porre fine alla sua vita, o fare quello che aveva in cuore, andare oltre, andare verso i monti per allontanarsi dalla guerra. È un verso magnifico:”Mi rassegnai e sollevato il padre mi diressi sui monti“. È questo che tutti noi dobbiamo fare oggi: prendere le radici delle nostre tradizioni e salire sui monti”, afferma Francesco. Come sta vivendo il Papa la crisi causata dal Covid-19? E come prepararsi al dopo? Francesco ha risposto a distanza, registrando degli audio, alle domande del giornalista e scrittore britannico Austen Ivereigh. L’intervista viene pubblicata simultaneamente in The Tablet (Londra) e Commonweal (New York). Abc offre il testo originale in spagnolo e La Civiltà Cattolica quello italiano, rilanciato da Vatican news.

Foto © Vatican Media

Misure sanitarie

Afferma Francesco:“La Curia cerca di continuare a lavorare, di vivere normalmente, organizzandosi in turni affinché non ci siano mai troppe persone tutte insieme. Una cosa ben pensata. Manteniamo le misure stabilite dalle autorità sanitarie. Qui nella Casa Santa Marta sono stati fissati due turni per il pranzo, che aiutano ad attenuare l’afflusso. Ciascuno lavora nel suo ufficio o da casa, con strumenti digitali. Sono tutti al lavoro, nessuno resta in ozio Come lo vivo io spiritualmente? Prego di più, perché credo di doverlo fare, e penso alla gente. Mi preoccupa questo: la gente. Pensare alla gente mi unge, mi fa bene, mi sottrae all’egoismo. Ovviamente ho i miei egoismi: il martedì viene il confessore, ed è allora che metto a posto quel genere di cose. Penso alle mie responsabilità attuali e nel dopo che verrà. Quale sarà, in quel dopo, il mio servizio come vescovo di Roma, come capo della Chiesa? Quel dopo ha già cominciato a mostrarsi tragico, doloroso, per questo conviene pensarci fin da adesso. Attraverso il dicastero per lo Sviluppo umano integrale è stata organizzata una commissione che lavora su questo e si riunisce con me”. E aggiunge: “La mia preoccupazione più grande, almeno, quella che avverto nella preghiera, è come accompagnare il popolo di Dio e stargli più vicino. Questo è il significato della Messa delle sette di mattina in live streaming, seguita da molti che si sentono accompagnati; come pure di alcuni miei interventi e del rito del 27 marzo in piazza San Pietro. E di un lavoro piuttosto intenso di presenza, attraverso l’Elemosineria apostolica, per accompagnare le situazioni di fame e di malattia. Sto vivendo questo momento con molta incertezza. È un momento di molta inventiva, di creatività”.

Diversi atteggiamenti

Il Papa  fa riferimento a “I promessi sposi”, romanzo ambientato al tempo della peste di Milano del 1630, dove vengono descritti gli atteggiamenti di diversi ecclesiastici. Osserva il Papa: “Il cardinale Federigo  è un vero eroe di quella peste a Milano. In un capitolo, tuttavia, si dice che passava salutando la gente, ma chiuso nella lettiga, forse da dietro il finestrino, per proteggersi. Il popolo non ci era rimasto bene. Il popolo di Dio ha bisogno che il pastore gli stia accanto, che non si protegga troppo. Oggi il popolo di Dio ha bisogno di avere il pastore molto vicino, con l’abnegazione di quei cappuccini, che facevano così”. E prosegue: “La creatività del cristiano deve manifestarsi nell’aprire orizzonti nuovi, nell’aprire finestre, nell’aprire trascendenza verso Dio e verso gli uomini, e deve ridimensionarsi in casa. Non è facile stare chiusi in casa. Mi viene in mente in un verso dell’Eneide che, nel contesto della sconfitta, dà il consiglio di non abbassare le braccia. Preparatevi a tempi migliori, perché in quel momento questo ci aiuterà ricordare le cose che sono successe ora. Abbiate cura di voi per un futuro che verrà. E quando questo futuro verrà, vi farà bene ricordare ciò che è accaduto”. Infatti “avere cura dell’ora, ma per il domani. Tutto questo con creatività. Una creatività semplice, che tutti i giorni inventa qualcosa. In famiglia non è difficile scoprirla. Ma non bisogna fuggire, cercare evasioni alienanti, che in questo momento non sono utili”.

Soluzioni alla crisi

Evidenzia il Pontefice: “Alcuni governi hanno preso misure esemplari, con priorità ben definite, per difendere la popolazione. Ma ci stiamo rendendo conto che tutto il nostro pensiero, ci piaccia o non ci piaccia, è strutturato attorno all’economia. Si direbbe che nel mondo finanziario sacrificare sia normale. Una politica della cultura dello scarto. Da cima a fondo. Penso per esempio alla selettività prenatale. Oggi è molto difficile incontrare per strada persone con la sindrome di Down. Quando la si vede nelle ecografie, li rispediscono al mittente. Una cultura dell’eutanasia, legale o occulta, in cui all’anziano le medicine si danno fino a un certo punto. Penso all’enciclica di papa Paolo VI, la Humanae vitae. La grande problematica su cui all’epoca si concentravano i pastoralisti era la pillola. E non si resero conto della forza profetica di quell’enciclica, anticipatoria del neomalthusianismo che stava preparandosi in tutto il mondo. È un avvertimento di Paolo VI riguardo all’ondata di neomalthusianismo che oggi vediamo nella selezione delle persone secondo la possibilità di produrre, di essere utili: la cultura dello scarto. I senzatetto restano senzatetto. Giorni fa ho visto una fotografia, di Las Vegas, in cui erano stati messi in quarantena in un parcheggio. E gli alberghi erano vuoti. Ma un senzatetto non può andare in un albergo. Qui la si vede all’opera, la teoria dello scarto”.

La natura non perdona

Dice un proverbio spagnolo: “Dio perdona sempre, noi qualche volta, la natura mai“. Non abbiamo dato ascolto alle catastrofi parziali. Chi è che oggi parla degli incendi in Australia? E del fatto che un anno e mezzo fa una nave ha attraversato il Polo Nord, divenuto navigabile perché il ghiaccio si era sciolto? Chi parla delle inondazioni? Non so se sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta. Abbiamo una memoria selettiva. Vorrei insistere su questo. Mi ha impressionato la celebrazione del settantesimo anniversario dello sbarco in Normandia. C’erano personaggi di punta della politica e della cultura internazionale. E festeggiavano. Certo, è vero che fu l’inizio della fine della dittatura, ma nessuno si ricordava dei 10.000 ragazzi caduti su quella spiaggia. Quando sono stato a Redipuglia, nel centenario della fine della Prima guerra mondiale, si vedeva un bel monumento e nomi sulla pietra, e nient’altro. Ho pianto pensando a Benedetto XV (alla “inutile strage“), come pure ad Anzio, nel giorno dei defunti, pensando a tutti i soldati nordamericani sepolti là. Ognuno aveva una famiglia, al posto di ciascuno di loro potevo esserci io. Oggi, in Europa, quando si cominciano a sentire discorsi populisti o decisioni politiche di tipo selettivo non è difficile ricordare i discorsi di Hitler nel 1933, più o meno gli stessi che qualche politico fa oggi”.

Foto © Gerald Herbert per AP

Pestilenza

Aggiunge Francesco: “Mi viene  in mente un verso di Virgilio: Meminisce iuvabit. Farà bene recuperare la memoria, perché la memoria ci aiuterà. Oggi è tempo di recuperare la memoria. Non è la prima pestilenza dell’umanità. Le altre sono ormai ridotte ad aneddoti. Dobbiamo recuperare la memoria delle radici, della tradizione, che è “memoriosa”. Negli Esercizi di sant’Ignazio, tutta la prima settimana e poi la contemplazione per raggiungere l’amore nella quarta settimana seguono interamente il segno della memoria. È una conversione con la memoria”. Afferma Jorge Mario Bergoglio: “Questa crisi ci tocca tutti: ricchi e poveri. È un appello all’attenzione contro l’ipocrisia. Mi preoccupa l’ipocrisia di certi personaggi politici che dicono di voler affrontare la crisi, che parlano della fame nel mondo, e mentre ne parlano fabbricano armi. È il momento di convertirci da quest’ipocrisia all’opera. Questo è un tempo di coerenza. O siamo coerenti o perdiamo tutto. Ogni crisi è un pericolo, ma è anche un’opportunità. Ed è l’opportunità di uscire dal pericolo. Oggi credo che dobbiamo rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione e imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale. Questa è un’opportunità di conversione. Vedo segni iniziali di conversione a un’economia meno liquida, più umana. Ma non dovremo perdere la memoria una volta passata la situazione presente, non dovremo archiviarla e tornare al punto di prima. È il momento di fare il passo. Di passare dall’uso e dall’abuso della natura alla contemplazione”.

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Il necessario recupero

Conclude il Pontefice: “Noi uomini abbiamo perduto la dimensione della contemplazione; è venuto il momento di recuperarla. E a proposito di contemplazione vorrei soffermarmi su un punto: è il momento di vedere il povero. Gesù ci dice che “i poveri li avete sempre con voi”. Ed è vero. È una realtà, non possiamo negarla. Sono nascosti, perché la povertà si vergogna. A Roma, in piena quarantena, un poliziotto ha detto a un uomo: “Non può starsene per strada, deve andare a casa sua”. La risposta è stata: “Non ho una casa. Vivo in strada”. Scoprire la quantità di persone che si emarginano… e siccome la povertà fa vergognare, non la vediamo. Sono là, gli passiamo accanto, ma non li vediamo. Fanno parte del paesaggio, sono cose. Santa Teresa di Calcutta li ha visti e ha deciso di intraprendere un cammino di conversione. Vedere i poveri significa restituire loro l’umanità. Non sono cose, non sono scarti, sono persone. Non possiamo fare una politica assistenzialistica come con gli animali abbandonati. E invece molte volte i poveri vengono trattati come animali abbandonati. Non possiamo fare una politica assistenzialistica e parziale”.