“Non doveva candidarsi alle primarie Pd”, nuovo addebito disciplinare per Emiliano

Michele Emiliano di nuovo nel mirino degli ex colleghi. La procura generale della Cassazione ha rafforzato l’accusa a carico del governatore pugliese nel processo disciplinare in cui è già chiamato a rispondere del mancato rispetto della norma che impedisce alle toghe di avere una tessera di partito, per aver ricoperto gli incarichi di presidente e segretario del Pd della Puglia a partire dal 2007 e sino al maggio del 2016. Si tratta di un’integrazione della originaria incolpazione, che arriva sino ai giorni nostri.

Ed è il colpo di scena che anima la prima udienza del processo, rinviato dopo poche battute su richiesta della difesa e aggiornato all’8 maggio prossimo, a primarie del Pd finite. Una scelta temporale che non sembra turbare Emiliano: “Tutto tranquillo, sono le regole del processo”, si limita a dire ai giornalisti che lo sollecitano inutilmente a dire di più. Mentre nessuno commento sulla data arriva dal suo difensore, il procuratore di Torino Armando Spataro. Nell’aula Bachelet, affollata di cronisti ma non di telecamere e di fotografi, perché Emiliano non dà il consenso a essere ripreso (mentre lo dà alla registrazione da parte di Radio radicale) è il sostituto Pg della Cassazione, Carmine Sgroi, ad annunciare la nuova iniziativa a carico del governatore, che è stata depositata qualche giorno fa, ma non ancora notificata alla difesa. E a spiegare che l’integrazione dell’incolpazione è un atto “a garanzia” del magistrato e che è giusto fare un unico processo perché si tratta della stessa condotta già oggetto di contestazione, visto che la candidatura alla segreteria del Pd “presuppone l’iscrizione al partito“, che ai magistrati non è consentita.

Una mossa forse anche funzionale a evitare il rischio che il procedimento si concluda con la prescrizione, visto che l’azione disciplinare è stata promossa nel 2014 per fatti risalenti a diversi anni prima. Spataro chiede e ottiene il rinvio dell’udienza. Ma prima avanza un’altra richiesta che, se accolta, potrebbe dare una scossa a questo processo: convocare come testimoni nove magistrati che hanno scelto la politica (in gran parte con il Pd) e che sono “in una posizione assimilabile a quella di Michele Emiliano”. Si tratta di tre esponenti del governo (il ministro per i rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro, i sottosegretari Cosimo Ferri e Domenico Manzione), quattro parlamentari (la presidente della Commissione Giustizia della Camera Donatella Ferranti, Felice Casson, Doris Lo Moro e Stefano Dambruoso), l’eurodeputata Caterina Chinnici e l’assessore della Regione Sicilia Vania Contrafatto.

Un’iniziativa che non ha il senso di una “chiamata in correità“, ma che ha lo scopo di provare che l’attività politica e istituzionale delle toghe è “autorizzata e in atto da anni“, “anche se il solo Emiliano è stato incolpato”, cioè è finito sotto procedimento disciplinare. Niente da fare, però: Sgroi si oppone spiegando che il suo ufficio sta “svolgendo accertamenti preliminari” su altri casi che tuttavia “non hanno incidenza sulla posizione specifica di Emiliano”. E dopo una breve camera di consiglio arriva il no della Sezione disciplinare: quelle testimonianze sono “irrilevanti” per la decisione che deve essere presa sul candidato alla segreteria del Pd.