Neonati abbandonati: cause e origine del fenomeno

Il gravissimo fenomeno dei neonati abbandonati non è un ricordo del passato bensì una calamità attuale, diffusa e in crescita

Immagine di repertorio. Foto di Gabby Orcutt su Unsplash

Il gravissimo fenomeno dei neonati abbandonati non è un ricordo del passato bensì una calamità attuale, diffusa e in crescita; ne consegue, così, una realtà ingiustificabile dello scadimento umano.

Le statistiche fanno impallidire: nonostante gli sforzi e i messaggi delle istituzioni, delle agenzie sociali, della Chiesa, del volontariato, in Italia si registrano circa 60 abbandoni ogni anno, 5 al mese; tutto questo per i casi certi, a cui è necessario aggiungere un numero oscuro non quantificabile. I reati che sfuggono, sono stimati come dieci volte superiori rispetto a quelli registrati.

La fondazione Ai.Bi. (Amici dei bambini) nell’aprile scorso chiariva alcuni dati. Si leggeva “La stima dei 3000 bambini abbandonati, dice la SIN, è un dato ‘ormai superato, in quanto risalente al 2005’. L’unico riferimento esistente più recente è del 2015 ed è figlio di un’indagine condotta su un campione nazionale di 100 Centri nascita ed effettuata dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN). In questa ricerca è stato individuato un totale di 56 neonati non riconosciuti dalle mamme su un totale di 80.060 bambini: ‘Nel 62,5% dei casi si tratta di neonati non riconosciuti da madri straniere e nel 37,5% da mamme italiane, con un’età compresa tra i 18 e i 30 anni nel 48,2% dei casi’. Questi numeri portano la SIN a stimare che ‘il fenomeno dei bambini non riconosciuti alla nascita incide a livello nazionale per circa lo 0,07% sul totale dei bambini nati vivi’”.

“Redattore sociale” nel 2019 riportava “Ogni Tribunale per i Minorenni ha il dato delle adozioni di minori non riconosciuti alla nascita realizzate nel corso dell’anno. Il dato nazionale si aggira intorno ai 1.000 neonati all’anno”.

Le civiltà, sin dall’antichità, hanno perpetrato l’infanticidio, anche nella Grecia nobile e classica. I neonati non erano abbandonati solo a Sparta, come si è indotti a pensare ma anche nella democratica Atene: la polis dei più grandi filosofi respingeva i nati fragili, malformati e indesiderati. L’antica Roma, nonostante il riferimento leggendario della Lupa, si è mantenuta nel solco greco, sino all’affermazione del Cristianesimo, quando si sono attuate misure normative a favore degli “esposti” e, successivamente, sono state create strutture e istituti propriamente dedicati all’assistenza e al ricovero (brefotrofi).

La storia ricorda come nel passato, presso alcune chiese e ospedali, vi fosse la cosiddetta “Ruota degli esposti”, in cui si collocavano, dall’esterno, i neonati non desiderati (per ragioni di svariata natura). In tal modo, i religiosi, dall’interno, si sarebbero presi cura di questi infanti, salvandoli da morte certa. Da questa tradizione traggono origine cognomi molto diffusi in Italia, fra cui Esposito, Proietti, De Angelis, De Santis, Casadei, Diotallevi.

In ossequio alla teoria ciclica della storia, ora, in diversi centri, si propone una nuova versione della Ruota degli esposti, chiamata “Culla per la vita”, in cui il fondamento, anche fisico e strutturale, è identico.

Nella “Lettera di Giovanni Paolo II ai bambini nell’anno della famiglia” (1994), si legge “Cari amici! Nelle vicende del Bimbo di Betlemme potete riconoscere le sorti dei bambini di tutto il mondo. Se è vero che un bambino rappresenta la gioia non solo dei genitori, ma della Chiesa e dell’intera società, è vero pure che ai nostri tempi molti bambini, purtroppo, in varie parti del mondo soffrono e sono minacciati: patiscono la fame e la miseria, muoiono a causa delle malattie e della denutrizione, cadono vittime delle guerre, vengono abbandonati dai genitori e condannati a rimanere senza casa, privi del calore di una propria famiglia, subiscono molte forme di violenza e di prepotenza da parte degli adulti. Come è possibile rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza di tanti bambini?”.

Ghennadi Guiducci, scrittore, docente ed educatore, ha scritto il libro “Divenire figli” (sottotitolo “Realtà e mito dei bambini senza famiglia nella letteratura dell’infanzia”), pubblicato da “Armando Editore” nel novembre scorso. Guiducci “intrecciando narrazioni, realtà storica e immaginario collettivo, si sofferma sugli autori che si sono rivelati più sensibili rispetto al tema dell’infanzia abbandonata; mette in evidenza le differenze di genere, affrontate in rapporto a certe libertà a lungo non concesse ai personaggi femminili; analizza la letteratura che meglio denuncia gli ‘sprechi d’infanzia’”.

“La pietra scartata” è la “nuova rivista semestrale di approfondimento teologico e culturale che affronta le esperienze dell’abbandono e dell’accoglienza, nella prospettiva di individuarne il significato cristiano a partire dall’ultimo grido di Gesù, pronunciato prima di spirare sulla croce ‘Eli, Eli, lemà sabactàni?”.

La normativa italiana, al fine di evitare morti quasi certe, permette la possibilità per le mamme, in ospedale, di lasciare, in anonimato, il figlio come “nato da donna che non consente di essere nominata”. Il piccolo riceve, poi, un nome dall’ufficiale di stato civile e il Tribunale per i minorenni avvia una veloce procedura per l’adozione.

Alcune partorienti nutrono timori per un anonimato garantito dalla legge ma posto a rischio da un eventuale, successivo, diritto del nascituro (divenuto adulto), di ricostruire le origini e conoscere il nome della madre. Un anonimato a rischio induce maggiormente ad abbandoni non in sicurezza. La revoca dell’anonimato, tuttavia, in seguito a richiesta del figlio, è sempre frutto di una scelta volontaria della madre (anche nel caso di esigenze legate a questioni sanitarie ereditarie). L’articolo n. 591 del Codice Penale punisce l’“Abbandono di persone minori o incapaci”. Il n. 582 riguarda la “Lesione personale”, il n. 575 l’“Omicidio”.

Si cercano di capire le cause, economiche, sociali, culturali che determinano un incremento del fenomeno nonostante una notevole sensibilizzazione. Anche i social promuovono questa coscienza attraverso approfondimenti, avvisi, riflessioni, eppure il flagello non scompare, anzi assume gravi analogie con piaghe che il nostro Paese non riesce a debellare, come i morti sul lavoro e gli omicidi di donne.

La società deve prevenire tali calamità, a livello sociale, familiare, culturale e istituzionale.

Anche il mondo del lavoro deve voltare pagina e non penalizzare le donne in gravidanza né costringerle a sottoscrivere le cosiddette “dimissioni in bianco”, in cui, all’atto dell’assunzione, oltre al contratto, si firma anche la comunicazione (inizialmente priva della data) del proprio licenziamento.

La solitudine è una delle piaghe che, purtroppo, alimentano questo triste fenomeno dell’abbandono. Una sciagura che produce altro isolamento, due nuovi “soli”: la mamma che rifiuta e il figlio esposto. Quello che poteva essere un legame eterno e sublime, si trasforma in due tragedie solitarie.

Altro elemento che suscita amarissime riflessioni è l’abbandono che avviene presso i cassonetti, in cui il parallelo è evidente: il neonato considerato come spazzatura, da gettare e dimenticare. In pochi altri casi, la brutalità umana raggiunge vette così crudeli e diaboliche. Anche in questo caso, tuttavia, è necessario prevenire, curare il terreno affinché non avvengano crimini del genere e la maternità sia solo una grande gioia attesa e vissuta.

L’onda emotiva che si innesca nei casi di abbandono, in cui i media descrivono il grave episodio, si riversa nella giusta indignazione e sull’incomprensibilità di certi avvenimenti.

Nella disgrazia degli abbandoni, nei casi propizi in cui i piccoli riescano a sopravvivere, occorre sottolineare quell’immane solidarietà che si sviluppa, a partire dalla località in cui avviene il fatto sino a raggiungere l’intero Paese. Le comunità, in questi casi, si stringono attorno ai neonati e dimostrano un attaccamento enorme, testimoniato anche da molte richieste di adozione. I piccoli, soli e segnati da un atto singolo e triste, ricevono un abbraccio infinito dal prossimo. In queste occasioni, la collettività raggiunge i suoi più alti livelli di amore e compensa l’atroce atto d’abbandono. In una comunità vera e solidale, nessuno è solo.