26 anni fa, l’ultimo addio a Ayrton Senna

L'incredibile incidente che causa la morte del pilota di Formula Uno, per sempre impresso nei cuori dei tifosi

Erano le 14:17 del 1 maggio 1994, quando la tragedia investe il mondo della Formula 1. Sulla pista di Imola, un giovane campione 34enne, di nome Ayrton Senna muore dopo lo schianto della sua autovettura, la Williams.

Il campione

A Imola la morte in pista così cruenta del pilota venuto da San Paolo ha segnato una linea tra quello che c’era prima e quanto non ci sarebbe più stato: e non solo i duelli tra curve e sorpassi con Alain Prost, quell’odio che sapeva di gomme abrase e sguardi di fuoco, ma fatto di rispetto e agonismo puro, l’amore mai nato con la Ferrari che non ha potuto scrivere nei suoi annali il nome del campione più grande. Alla Formula Uno da quel primo maggio manca un campione che la morte così prematura e violenta ha reso eroe senza tempo. Aveva 34 anni compiuti da poco, tre mondiali già vinti, e un’inquietudine più forte che mai: voleva quasi rinunciare a correre quella domenica sulla pista imolese, troppi brutti presagi.

L’eroe di tutti

Tutto vero quello che si è detto e si è scritto dopo la sua morte: Senna l’uomo, Senna il pilota, Senna il fuoriclasse e il gentiluomo. Vera anche la sua storia in pista: Senna e Prost, nemici-amici; la vittoria senza marce a Interlagos, il capolavoro in rimonta a Donington Park nel ’93, sotto il diluvio, un’impresa che è forse la migliore nella storia di questo sport. Basta citare questo, solo il “clou”, quello che tutti conoscono dell’Ayrton pilota. Anche il resto è storia ma è più per appassionati. E’ quello che tutti percepiamo di lui che conta, anche per chi non lo ricorda o non lo ha mai visto correre: lui rientra in quella ristretta cerchia di miti sportivi capaci di unire solo al pronunciarne il nome. Un uomo semplice che diventa grande: quasi una favola, quella che tutti sognano.

Il weekend maledetto della Formula Uno

Il week end maledetto era cominciato con l’incidente senza conseguenze a Rubens Barrichello, era proseguito nelle prove del sabato con la tragedia di Roland Ratzemberger: l’incidente mortale alla curva Villeneuve del pilota austriaco aveva sconvolto tutti, Senna per primo. Lui che in quelle ore aveva avuto paura, lui abituato a sfrecciare sotto la pioggia: “Nessuno ci ha ordinato di correre in formula 1, ma non siamo pagati per morire” aveva detto contestando l’avvento di regole nuove che avevano tolto sicurezza alle macchine e ai piloti. Di strada quel ragazzo pensieroso e sempre a caccia della pace interiore (la cercava in Dio diceva) ne aveva fatta tanto da quando, dopo aver scalato le serie minori, aveva esordito in F1 proprio nel Gp di casa, in Brasile nel 1984 alla guida della Toleman-Hart. Aveva 24 anni e per dieci sarebbe stato, con alterna fortuna, comunque il numero uno: e anche con la piccola scuderia inglese, infatti, riuscì ad ottenere subito risultati straordinari. Come il secondo posto a Monaco sotto un nubifragio. E da quei tornanti venne fuori il leit motiv della sua carriera: il talento sotto la pioggia e la rivalità con Prost. Nell’85 il passaggio alla Lotus: sul giro in prova imbattibile e la dicono lunga le sette pole position conquistate.

Senna, la McLaren e Prost

Ma è con la McLaren che nell’88 vince il primo mondiale, e in squadra si ritrova il nemico Prost. “Lui con me è umanamente incompatibile – diceva Senna del rivale francese – ma non potrei immaginare la mia carriera senza Alain”. E Prost alla morte del brasiliano aveva ammesso: “Senna mi mancherà”. Eppure l’odio in pista non si placò mai: nel ’90 dopo la parentesi del mondiale vinto da Prost, ma tanto contestato e che costò anche una squalifica a Senna, il brasiliano tornò sul tetto del mondo della seconda volta. Il tris arrivò la stagione successiva. Nel ’94 l’addio alla McLaren e il passaggio alla Williams: ma non era la super monoposto con cui l’anno prima Prost aveva vinto il mondiale. L’abitacolo era stretto, la guida non troppo stabile: insomma il feeling con il brasiliano proprio non era scattato. E pure a San Marino, terza prova di quel mondiale stregato, Senna aveva conquistato la pole: ma la corsa finì al settimo giro. Senna uscì di pista alla curva del Tamburello, a causa del cedimento del piantone dello sterzo. La monoposto impazzita, l’urto tremendo. Le lesioni mortali. Il soccorso in pista, i teloni a coprire il corpo inerte a terra, la corsa in ospedale a Bologna, la speranza che segue l’elicottero in volo. Ma alle 18.40 il cuore cessa di battere: devastante la frattura alla base cranica. La tragedia arriva ovunque, attraversa le tv, lascia un mondo e un Paese, il Brasile, affogato nel dolore. Perché Senna non era uno come tanti, era un predestinato, il campione dei sogni e della malinconia, del samba e della saudade. Da vent’anni Ayrton Senna da Silva è la tomba numero 11 al cimitero di Morumby: la bandiera del Brasile e un epitaffio semplice: “Nulla mi può separare dall’amore di Dio”. Nessuno lo ha dimenticato, perché quel sorriso non si è mai spento. La corsa folle finita troppo presto lo ha consegnato al mondo per sempre.