“Da 25 anni salviamo la vita dei piccoli con la preghiera”

Franca Franzetti, animatrice dell'Ambito maternità e vita della Comunità Papa Giovanni XXIII, racconta a Interris.it 25 anni di impegno contro l'aborto

Preghiera contro aborto
Foto © Apg23

Una preghiera per la vita che nasce. O, forse, per la vita che vorrebbe nascere. Dal 26 marzo 1999, quando fu organizzata per la prima volta, a oggi. Sempre con la stessa intensità e con lo stesso obiettivo: alzare le mani verso il Cielo, per affidare al Signore le anime più giovani, quelle che ancora non hanno visto la luce, la cui esistenza è messa in pericolo prima ancora di nascere. Franca Franzetti, animatrice dell’Ambito maternità e vita della Comunità Papa Giovanni XXIII, quella preghiera la conosce bene. Non solo per avervi preso parte ogni martedì, negli ultimi 25 anni, dapprima al fianco di don Oreste Benzi e, successivamente, con chiunque volesse offrire la propria vicinanza a nascituri e genitori. In quella preghiera non c’è solo la vita nascente ma anche quella che scorre, pronta a testimoniare a tutti i futuri genitori che quella dell’aborto non è la via del futuro vero.

Una preghiera “da marciapiede”

“Tutto è cominciato il 26 marzo del ’99 – ha raccontato Franca a Interris.it -. Don Oreste iniziò questa modalità di preghiera davanti alla casa di cura Villa Assunta di Rimini, dove a quel tempo si facevano gli aborti. Oggi il luogo è l’ospedale Infermi. In questi venticinque anni non abbiamo mai smesso: ogni martedì, alle sette e un quarto, questo gruppo di fedelissimi è presente davanti all’ospedale”. Animato da un comune spirito di azione, oltre che di meditazione. Perché in quel tratto di strada, tra il marciapiede e l’ingresso dell’ospedale, dei cuori sommersi dai dubbi ne attraversano le porte spinti, nella maggior parte dei casi, da drammi personali che non fanno rumore: “Don Oreste un giorno ci disse: ‘Ho trovato un modo per far cessare gli aborti in Italia: andremo a pregare davanti alle cliniche dove si pratica’. Questa proposta, anche all’interno della Comunità, è stata accolta con non poche perplessità. Andare a pregare su un marciapiede era un’idea totalmente rivoluzionaria. Tuttavia, ci fidiamo di questa intuizione di don Oreste e abbiamo cominciato. Nella ‘scomodità’ del marciapiede era una presenza particolare. Da subito, però, ci siamo accorti che era una preghiera molto intensa. A pochi metri di distanza si consumava la condanna a morte di tanti bambini innocenti e inermi”.

Don Oreste Benzi

Quando a essere scartato è l’aborto

Una preghiera che incuriosisce, che attrae, che genera domande. E che, alcune volte, ha sortito l’effetto sperato. Perché, come raccontato ancora da Franca, a volte dei miracoli sono accaduti: “Ricordo una coppia di giovani fidanzati che, un giorno, si stava recando in ospedale mentre noi stavamo pregando. Io distribuivo volantini, lo diedi anche a loro e, subito, il ragazzo mi disse che loro erano lì per un aborto. Quella mattina c’era anche don Oreste, tra l’altro era il giorno del suo compleanno, il 7 di settembre: parlò con loro, mise la mano sulla pancia della ragazza e le disse di mettersi in comunicazione col suo bambino. Subito lei scoppiò a piangere e raccontò il motivo per cui stava andando”. Dopo aver ascoltato la loro storia, il cui drammatico epilogo non scaturiva da altro che da incomprensioni familiari, “Don Oreste subito si offrì di risolvere la loro situazione e le disse: ‘Francesco sarà la tua felicità’. E Francesco è nato, proprio nel giorno di Francesco di Sales”.

Dalla preghiera all’ascolto

Un episodio che ha generato un sentimento di gratitudine, andato ben oltre il semplice gesto. Anche se, per una vita salvata, tante altre non hanno avuto la stessa fortuna. Quella di incontrare un cuore e un orecchio disposti ad ascoltarne il racconto. Oppure, semplicemente, quella di convincersi che l’indifferenza rispetto a quel gruppo di persone oranti, non fosse la cosa giusta: “L’Ambito maternità e vita ha preso forma con la preghiera, che credo abbia avuto una parte molto importante per l’azione che portiamo avanti con le coppie in difficoltà e le mamme sole. Vediamo tanti frutti, prima di tutto nell’entrare in contatto con queste situazioni che, spesso, sono di grande solitudine e pressioni esterne, esercitate sulle donne affinché rinuncino alla maternità, a volte anche attraverso violenze”.

Dalla provvidenza dell’incontro al frutto da cogliere. Il passo non è breve né privo di fatica. Eppure, regala gioia vera: “Quando riusciamo a parlare con loro, tre mamme su quattro, magari orientate ad abortire perché senza soluzioni, trovano la forza di affrontare le loro difficoltà. Anche col nostro aiuto perché, oltre all’ascolto, le accompagniamo per tutto il tempo necessario e anche in base ai bisogni che hanno”.

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Foto di Heike Mintel su Unsplash

La “cultura” dell’aborto

Non sempre le buone intenzioni hanno ricevuto la giusta dose di interesse. Tuttavia, negli anni, pochi episodi hanno lasciato intendere un’avversione verso quella preghiera, tanto semplice e spontanea da aver coinvolto, in un’occasione, persino il primo cittadino: “Don Aldo Buonaiuto era venuto con un pullman di 50 persone per partecipare alla preghiera. Passò di lì il sindaco, che fu invitato da don Oreste a pregare. Si scatenò il putiferio: gli chiesero di dimettersi, si costituì addirittura un comitato per togliere don Benzi dai marciapiedi”. Quasi un unicum però: “Nel corso degli anni – ha spiegato Franca -, la gente ha capito che la nostra è una preghiera. Tanti fanno il segno della croce, si tolgono il cappello o ci consegnano delle intenzioni di preghiera. Chiaramente non tutti condividono, perché l’aborto è talmente entrato nella nostra cultura da essere letto esclusivamente come un diritto da tutelare”.

La (ri)nascita della speranza

Dall’affidamento all’ascolto, il passo è stato decisamente breve. In quella preghiera, infatti, è stato possibile scorgere una scintilla di speranza che, fin troppo spesso, per chi  sceglie la via dell’aborto sembra non accendersi mai. “Ora abbiamo un numero verde, attivo ventiquattr’ora su ventiquattro (800 035 036, ndr), e anche un altro WhatsApp. E tante ci chiamano per sfogarsi, per condividere il dolore provato per avere abortito, assieme a tutte le sue conseguenze, anche a livello psicologico, che questo comporta. La donna si trova sola, non è un dolore socialmente riconosciuto e accompagnato proprio perché frutto di una scelta. Soprattutto con la Ru486 abbiamo testimonianze scioccanti, di donne che si sono trovate sole nel travaglio dell’espulsione del feto, con conseguenze a volte anche molto gravi. Sembra un aborto più ‘semplice’ ma è peggiore rispetto a quello chirurgico: la donna è sola, lasciata a sé stessa”.

Una presenza profetica

Quel senso di abbandono, però, può essere limitato, persino superato, sempre attraverso l’ascolto e la liberazione del proprio cuore dalle angosce del mondo. Del resto, nonostante gli 11 mila piccoli per i quali non c’è stato nulla da fare, negli ultimi venticinque anni è stato possibile migliorare la coscienza degli uomini. Basti pensare che, in questi 25 anni, sul territorio di Rimini la Comunità Papa Giovanni XXIII ha accompagnato alla nascita
424 bambini/e di cui 111 salvati dall’aborto già programmato. Fino ad aprire uno spaccato sul dramma dell’aborto e, soprattutto, delle motivazioni che lo animano. Dal cui peso, quasi nella totalità dei casi, non sarà più possibile sgravarsi: “Quando si consuma un aborto, il bimbo viene scartato, privato del suo diritto alla vita. E la donna viene svuotata, umiliata da una violenza che compie dentro di sé. Don Oreste diceva sempre che nell’aborto ci sono due vittime: il bambino, che muore definitivamente, e la mamma, che ne viene ferita a vita. Senti la responsabilità che abbiamo, come società, di difendere la vita dei nascituri. Provi un senso di impotenza, perché non puoi cambiare la cultura o la legge. Ma hai questa ‘arma’ della preghiera: puoi alzare le mani al Cielo, nella fiducia che il Signore ascolta il grido dei suoi piccoli”.

Una presenza profetica, l’ha definita Franca. In grado di offrire conforto e possibilità di scelta: “Il nostro esserci, davanti all’ospedale, è un segno che loro ci sono e vorrebbero continuare a vivere. E chiediamo perdono, a nome di tutta la società, perché tutti siamo corresponsabili”.