Superga, settant'anni di memoria granata

Non è mai stato chiaro perché o per cosa, un giorno, dalle tribune del Filadelfia di Torino si sia alzato in piedi tale Oreste Bolmida, ferroviere, con la sua brava tromba di capostazione, suonando qualche squillo giusto per dare la carica ai ragazzi del Toro. Negli anni immediatamente precedenti all'ingresso dei Granata nella leggenda, nemmeno il diretto interessato, forse volutamente, aiutò cronisti e pionieri del giornalismo sportivo a capirci qualcosa. Il punto è che il momento in cui quella tromba suonava, significava una cosa sola: il Torino stava per iniziare a fare sul serio. Era un segnale per i tifosi, perché in campo bastava guardare Valentino Mazzola tirarsi su le maniche, come per dire “Ragazzi, ora si gioca”. E scattava in quel momento il Quarto d'ora granata: 15 minuti o giù di lì di gioco in cui il Torino diventava grande. Ma non solo bel gioco e goleade: in quei quindici minuti, era come se giocatori e tifo diventassero una cosa sola, cuore e muscoli, voce e creatività. Tutto condensato in qualche squillo di tromba, che suonava una carica ideale ma che ricordava anche quanto squadra e pubblico fossero legati fra loro, quasi sugellando la promessa che lo sarebbero stati per sempre.

La memoria granata

Fu mantenuta quella promessa. Oggi, a settant'anni dalla sciagura aerea che portò via il Grande Torino, il nome di Superga e di quel disastro scuote ancora i cuori degli italiani, ogni anno uniti sotto la bandiera granata per ricordarsi che quella squadra non era solo l'emblema sportivo di una città ma il fulcro di tutto quello che chi ama il calcio vorrebbe vedere. Per questo la storia di quel Toro è stata in grado di travalicare i colori, di far parlare di sé come se si parlasse della squadra di tutti. C'è dolore quando si ricorda Superga ma, ogni volta, al pronunciare quei nomi è come se li si vedesse ancora giocare, risvegliando nei cuori degli appassionati quel po' di granata che, forse, nemmeno sapevano di avere. Di loro oggi restano i ricordi, la memoria di una tragedia che altro non è stato che l'epilogo di una storia diventata leggenda, costruita attraverso la passione, l'orgoglio e l'appartenenza. Non è mai facile parlare del Grande Torino ed evitare di scadere nella retorica. Perché di grandi parole ne sono state spese in questi settant'anni, di grandi racconti ne sono stati fatti, ognuno con un punto di vista originale che, in qualche modo, ha contribuito a completare tassello dopo tassello la storia di quei campioni.


La formazione granata in posa

 

I perché di una leggenda

Forse è più semplice vivere quel ricordo, farne un momento di semplice passione, da condividere con chi ama lo sport: “Ricordare questa squadra è un dovere morale nei confronti di quegli uomini – ha raccontato a In Terris Domenico Beccaria, presidente dell'associazione Memoria storica granata -, non percepito come un obbligo ma anzi, come un piacere. Perché questa squadra ha dato tanto all'Italia e alla storia del Torino, quindi è giusto che noi tifosi in primis, ci adoperiamo per ricordare queste persone nel giorno in cui hanno concluso la loro vita terrena per entrare nella leggenda”. Un termine, questo, ormai utilizzato con frequenza per ricordare quel Toro. Perché in fondo, di storie ne esistono molte, alcune affascinanti ma non tutte in grado di restare impresse nella memoria collettiva di un Paese intero: “In quanto leggenda, quella del Grande Torino ha un fascino particolare. Perché la storia è qualcosa in continua evoluzione, che può essere letta e riletta a seconda da quale parte la si vuole guardare. Le leggende vivono di una loro unicità e di una loro trasversalità: la leggenda del Torino non è un valore strettamente granata ma è proprietà dell'intera umanità. E' un valore sportivo condiviso fra tutti quanti”.


Valentino Mazzola guida la squadra verso il centrocampo

 

Un'eredità

E' inevitabile che l'aura di miticità che circonda il Torino di quegli anni abbia contribuito a mantenere intatta quella passione che, nonostante la presenza in città di un'altra blasonata squadra come la Juventus, non ha mai smesso di far risuonare l'eco di quella tromba sugli spalti del Filadelfia: “Sicuramente l'eredità che ci portiamo dietro dal Grande Torino è quella che ha fortemente caratterizzato e tuttora mantiene in vita un granatismo che altrimenti farebbe fatica a esistere”. Ma, ha precisato il presidente Beccaria, “se è vero che questa storia è quella che ha più intensamente caratterizzato gli oltre cento anni della nostra esistenza, è anche vero che non è il tutto. Prima del Grande Torino c'è stato un Torino grande, quello degli anni 20, che ha vinto due scudetti e di buone squadre ce ne sono state anche dopo”.

E pazienza se a risentire dell'andamento altalenante del Toro dei nostri giorni sia stato il derby della Mole: quella del Torino continua a essere innanzitutto un'identificazione culturale che, nel Toro che fu “il Grande”, ogni tifoso granata continua a vedere la sublimazione della propria fede calcistica e il vincolo che lo lega alla sua città, permettendo a quel quarto d'ora, scandito allora a ritmo di tromba dalle gradinate in legno del Filadelfia, di diventare un richiamo eterno per i granata che verranno.