Sankara Fc: l'integrazione
scende in campo

Dare un calcio a un pallone, per un ragazzo, è come respirare. E' un gesto universale, che unisce modi di vivere, fedi, etnie e stati sociali differenti. Lo vedrete compiuto sui campi d'erba morbida dei centri d'allenamento professionistici e su quelli sterrati di periferia o di qualche villaggio africano. Costruire l'integrazione attraverso lo sport (e il calcio in particolare) è, quindi, un'idea rivoluzionaria. Così come lo erano quelle di Thomas Sankara, leader carismatico del Burkina Faso divenuto simbolo della lotta contro il neocolonialismo nel Continente Nero. A lui, personaggio conosciuto da tutti gli africani, deve il suo nome il Sankara Fc, prima squadra di calcio a 7 di Viareggio composta da richiedenti asilo. Ma non solo, perché, come ricorda a In Terris Alessandro Bartolini, giornalista e presidente del club, “un team di soli rifugiati rischiava di diventare un ulteriore ghetto. Per questo abbiamo pensato a una compagine mista, con anche giocatori italiani“.

Come nasce l'idea del Sankara Fc?

“Nasce nell'ambito del 'Progetto strade' dell'Arci, finalizzato all'integrazione dei richiedenti asilo in Italia. Seguiamo una 15ina di ragazzi provenienti da diverse parti dell'Africa, in particolare Senegal, Nigeria, Costa D'Avorio e Mali, aiutandoli a inserirsi nella nostra città, a trovare un lavoro e una casa e a imparare l'italiano. L'obiettivo è quello di renderli autonomi. L'integrazione, però, passa anche attraverso il divertimento e la socializzazione, per questo abbiamo pensato al calcio, che è una lingua parlata in ogni angolo del mondo. Da lì è nato il Sankara Fc”. 

Nel quale svolgi il ruolo di presidente/giocatore…

“Sì, gioco terzino sinistro. Era necessario: nel calcio africano sono tutti votati all'attacco, per cui serviva qualcuno dietro e mi ci sono messo io”.

Quindi parallelamente all'attività sportiva c'è anche un progetto d'inserimento sociale e lavorativo… 

“Assolutamente. Seguiamo i nostri ragazzi nella ricerca di un lavoro ricorrendo ad aziende che sono convenzionate. Diverse hanno già dato la disponibilità, in particolare ristoranti, cooperative agricole e bar”. 

Lo sport, oltre ad aiutare nella socializzazione, insegna anche regole, personali e di convivenza. Come lavorate da questo punto di vista? 

“E' una bella sfida, sia per noi che per loro. Oggi il calcio viene vissuto soprattutto da un punto di vista commerciale. Noi con loro siamo voluti tornare a una dimensione originale, di sport praticato nei campi di periferia o all'oratorio. Partite e allenamenti si trasformano in un metodo di vita da applicare anche nel percorso integrativo. In altre parole imparano che si suda, si vince e si perde insieme. Le cose importanti sono la costanza e la buona volontà per raggiungere un obiettivo”. 

Come comunicate durante partite e allenamenti?

“Quando perdiamo urlando… (ride). Battute a parte: alcuni parlano inglese o francese, altri addirittura il dialetto del loro villaggio. Diciamo però che, salvo un paio di ragazzi arrivati da poco, tutti più o meno cominciano a capire l'italiano”. 

Ci sono fedi diverse all'interno del gruppo o sono tutti musulmani?

“Si dividono equamente tra musulmani e cristiani ma non c'è stato mai nessun motivo di scontro. Anche perché quando organizziamo gli alloggi facciamo in modo che siano mischiati. Questo per insegnare loro a condividere esperienze diverse, tavolte drammatiche. Nel periodo che viviamo troppo spesso si parla di immigrazione in relazione a fatti di cronaca nera. Con questo progetto vogliamo rispondere alle classiche chiacchiere da bar. A chi dice 'ecco arrivano e gli danno anche la casa!', noi replichiamo 'sì e oltre a quella gli diamo anche un'occasione di svago'”. Perché solo così potranno integrarsi pienamente con la comunità che li accoglie”. 

Viareggio come ha accolto l'iniziativa. Avete tifosi?

“Sì, ne abbiamo. Il progetto è partito con pochissimi fondi, poi abbiamo lanciato una campagna di sottoscrizione a offerta libera. La risposta di Viareggio è stata eccezionale. Del resto questa è sempre stata una città accogliente e solidale. Lasciami aggiungere una cosa: noi non vogliamo essere la squadra dell'Arci ma di quella parte della comunità che si riconosce nei valori che cerchiamo di incarnare”. 

A quale categoria partecipate?

“Facciamo il campionato Uisp Calcio a 7. Tuttavia, considerato l'elevato numero di richieste che ci stanno arrivando, stiamo valutando la possibilità di passare al calcio a 11, a partire dal prossimo anno”. 

Come si è svolto il “calciomercato”?

“Abbiamo coinvolto i ragazzi del progetto, non tutti perché ad alcuni il calcio non piace. La 'campagna acquisti' degli italiani, invece, l'ho condotta personalmente. E devo dire che c'è stato grande entusiasmo, anche da parte di persone che sull'immigrazione hanno idee diverse dalle nostre o non hanno una visione definita. Per questo dico che il calcio è una lingua parlata in tutto il mondo. Anche chi non si è mai interessato del tema dell'integrazione in questo modo può avvicinarsi e toccare con mano. Lo considero un grande successo”.  

Per la Coppa Carnevale state pensando di fare qualcosa?

“E' un po' troppo ambizioso per il nostro attuale livello ma se qualcuno ci contatta siamo a disposizione. Non ovviamente per partecipare al torneo ma magari per avere un po' di visibilità”. 

In Italia c'è la tendenza a identificare e a strumentalizzare politicamente iniziative come la vostra. E' una cosa che vi spaventa?

“Sinora nessuno ha strumentalizzato o criticato questo progetto, forse anche per la grande solidarietà di Viareggio. In ogni caso la cosa non ci spaventa. Se dovesse succedere non avremmo problemi a rivendicare quello in cui crediamo. Il successo del Sankara dimostra che le polemiche vengono spazzate via dalle azioni concrete”.